mercoledì 31 ottobre 2012

Integrazione delle fatture per servizi Ue: chiarimenti dell'Agenzia

di Sandro CERATO

Con la C.M. 20.9.2012, n. 35/E, l’Agenzia delle Entrate, rispondendo ad alcuni quesiti, ha fornito interessanti chiarimenti in merito alle novità introdotte in materia di Iva dalla Legge 15.12.2011, n. 217 (Legge Comunitaria 2010), con decorrenza dalle operazioni effettuate dal 17 marzo scorso. Focalizzando l’attenzione sulla questione degli adempimenti connessi all’acquisizione di servizi presso fornitori soggetti passivi d’imposta in altro Stato, a seguito delle modifiche apportate dalla predetta Legge n. 217/2011, per le prestazioni di servizi generiche, di cui all’art. 7-ter, del DPR 633/72, ricevute da soggetti passivi Iva in altri Stati Ue, il committente nazionale, in qualità di debitore del tributo, ai sensi dell’art. 17, co. 2, del DPR 633/72, deve integrare il documento del prestatore comunitario, e non emettere autofattura, applicando in buona sostanza le medesime regole già previste per gli acquisti intracomunitari di beni.
La regola generale, poc’anzi indicata, vuole che il soggetto passivo italiano destinatario di una prestazione territorialmente rilevante ai fini Iva in Italia, resa da un soggetto stabilito in un altro Stato, sia tenuto all’emissione di autofattura ai sensi dell’art. 17 comma 2 del DPR 633/72. In buona sostanza, poiché le disposizioni che regolano la territorialità delle prestazioni di servizi sono previste nell’ambito delle disposizioni di cui al DPR 633/72, le modalità di applicazione dell’imposta devono seguire le regole ivi previste. Da ciò deriva che per l’applicazione del “reverse charge”, ossia l’applicazione dell’imposta da parte del committente in luogo del prestatore, deve avvenire con l’emissione di un’autofattura, e non con l’integrazione della fattura del fornitore comunitario, in quanto tale ultima possibilità è prevista solamente nell’ambito delle disposizioni che regolano la cd. Iva intracomunitaria”, e quindi solamente per gli acquisti intracomunitari di beni.
La questione era già stata affrontata dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 12/E del 12 marzo 2010, e confermata nella successiva C.M. n. 37/E/2011, in cui è stato, tra l’altro, precisato che il committente italiano che riceve una fattura da un operatore UE per prestazioni “generiche”, dovendo assolvere ai relativi obblighi IVA in applicazione del principio dell’inversione contabile, può, in luogo dell’emissione dell’autofattura, procedere all’integrazione della fattura emessa dal prestatore. Sostanzialmente i tecnici dell’Agenzia, preso atto che spesso il meccanismo dell’autofatturazione risulta di più difficile gestione contabile per le aziende italiane, hanno voluto prevedere la facoltà per il committente di ricorrere alla forma dell’integrazione del documento emesso dal prestatore comunitario, ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.L. n.331/93, in luogo dell’emissione dell’autofattura. Nel medesimo documento di prassi l’Agenzia ha chiarito che la facoltà di integrare la fattura del fornitore estero, in luogo dell’emissione dell’autofattura, è una facoltà prevista esclusivamente per quelle prestazioni di servizio che presentano i seguenti requisiti:
  • sono rilevanti ai fini Iva in Italia, ai sensi dell’art. 7-ter, del DPR 633/72;
  • il prestatore è un soggetto passivo d’imposta in altro Stato membro.
Come anticipato, l’art. 8 della Legge n. 217/2011 interviene modificando l’art. 17, co. 2, del DPR n. 633/72, aggiungendo il seguente periodo: “Nel caso delle prestazioni di servizi di cui all'articolo 7-ter rese da un soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro dell'Unione, il committente adempie gli obblighi di fatturazione e di registrazione secondo le disposizioni degli articoli 46 e 47 del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n.427, e successive modificazioni”. In buona sostanza, la legge comunitaria 2010 introduce una deroga alla regola generale esposta in precedenza, in ragione della quale in presenza dei seguenti requisiti:
  • servizi generici di cui all’art. 7-ter,
  • resi da un soggetto passivo d’imposta in altro Stato membro,
il committente adempie agli obblighi di fatturazione e di registrazione seguendo le medesime regole previste per gli acquisti intracomunitari di beni, di cui agli artt. 46 e 47 del D.L. n. 331/93. Secondo tali disposizioni, quindi, il committente nazionale procede come segue:
  • la fattura relativa all'acquisto del servizio, emessa dal prestatore comunitario, deve essere numerata e integrata dal committente con l'indicazione del controvalore in euro del corrispettivo e degli altri elementi che concorrono a formare la base imponibile dell'operazione, espressi in valuta estera, nonché dell'ammontare dell'imposta, calcolata secondo l'aliquota dei beni. Nella particolare ipotesi in cui si tratti di servizi senza pagamento dell'imposta o non imponibile o esente, in luogo dell'ammontare dell'imposta nella fattura deve essere indicato il titolo unitamente alla relativa norma;
  • le predette fatture, previa integrazione nei modi anzidetti, entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente ma comunque entro quindici giorni dal ricevimento, e con riferimento al relativo mese, devono essere annotate distintamente nel registro di cui all'art. 23 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, secondo l'ordine della numerazione, con l'indicazione anche del corrispettivo delle operazioni espresso in valuta estera, nonché devono essere annotate distintamente, anche nel registro di cui all'articolo 25 del DPR 633/72.
Come precisato dall’Agenzia delle Entrate con la C.M. 35/E, il richiamo all’art. 46 del D.L. n. 331/93, ad opera dell’art. 8, lett. g), della Legge n. 217/2011, comporta altresì l’applicazione del co. 5 della disposizione stessa, secondo cui se il committente nazionale:
  • non riceve la fattura da parte del prestatore Ue entro il mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, il committente stesso deve procedere ad emettere entro il mese seguente, in unico esemplare, la fattura con l'indicazione anche del numero di identificazione, attribuito agli effetti dell'imposta sul valore aggiunto, al cedente dallo Stato membro di appartenenza;
  • se riceve una fattura indicante un corrispettivo inferiore a quello reale deve emettere fattura integrativa entro il quindicesimo giorno successivo alla registrazione della fattura originaria.

lunedì 29 ottobre 2012

MOL positivo e fuoriuscita dalle società di comodo in perdita triennale

di Sandro CERATO

Come noto, il D.L. 13.8.2011, n. 138, ha apportato importanti e rilevanti modifiche alla disciplina delle società non operative, di cui all’art. 30 della Legge n. 724/1994. In particolare, in sede di conversione in legge del citato D.L. 138/2011 sono stati aggiunti all’art. 2 del citato D.L. 138 i commi da 36-quinquies a 36-duodecies, che non incidono direttamente sull’art. 30 della Legge n. 724/94, ma contengono disposizioni volte ad inasprire sia la tassazione delle società di comodo, sia le condizioni per la verifica della non operatività. In particolare, le novità possono essere così schematizzate:
  • maggiorazione di 10,5 punti percentuali dell’aliquota Ires, nei confronti delle società e degli enti soggetti Ires che realizzano le condizioni di non operatività, anche laddove partecipino alla trasparenza fiscale o al consolidato fiscale nazionale;
  • previsione di una nuova ipotesi di non operatività, nel caso in cui la società o l’ente presentino dichiarazioni in perdita per tre periodi d’imposta consecutivi, ovvero dichiarino perdite per due periodi d’imposta e nel terzo realizzino un reddito imponibile inferiore a quello richiesto dall’art. 30 della Legge n. 724/94.
In tale ambito, in data 11 giugno 2012, è stato emanato un provvedimento direttoriale con cui sono state individuate determinate situazioni oggettive al ricorrere delle quali è possibile disapplicare la disciplina delle società in perdita sistematica di cui al D.L. n. 138/2011, senza dover presentare l’istanza di interpello. Alla medesima data dell’11 giugno, l’Agenzia ha emanato altresì la C.M. n. 23/E/2012, con cui ha fornito importanti chiarimenti sulla presentazione delle istanze di interpello per le società in perdita sistematica.
In merito all’operatività delle cause di disapplicazione individuate nel suddetto provvedimento, è bene osservare che si prevede che le società in questione possono legittimamente disapplicare il regime delle società non operative in perdita sistematica laddove in almeno uno dei periodi d’imposta del triennio in perdita realizzino una delle condizioni indicate nel provvedimento direttoriale stesso. Pertanto, in base al contenuto del provvedimento, l’efficacia delle condizioni che consentono di disapplicare la disciplina delle società non operative opera non in relazione al periodo d’imposta in cui si applica la presunzione di non operatività (anno successivo al triennio di “osservazione”), bensì in relazione a ciascuno dei periodi d’imposta contenuti nel triennio di monitoraggio. A tale proposito, si legge nella C.M. n. 23/E/2012, “ai fini della disciplina sulle società in perdita sistematica, le cause di esclusione riguardano solo i periodi di imposta di applicazione della disciplina in esame (anno n), mentre le cause di disapplicazione automatica indicate nel provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate dell’11 giugno 2012, prot. n. 2012/87956, assumono rilevanza esclusivamente nel periodo di osservazione (anni n-1, n-2 e n-3)”. Tale diverse cause di disapplicazione, la lett. f) del provvedimento direttoriale dell’11 giugno prevede tale possibilità per le società che conseguono un margine operativo lordo (MOL) positivo in almeno uno dei tre periodi d’imposta del triennio di osservazione. In tale ambito, il MOL è costituito dalla differenza tra il valore della produzione, di cui alla lettera A) del conto economico, ed i costi della produzione, di cui alla lett. B), dello stesso conto economico, senza tuttavia tener conto delle voci relative ad ammortamenti, svalutazioni ed accantonamenti, di cui ai numeri 10), 12) e 13). La presente causa di disapplicazione è interessante in quanto “sposta” l’oggetto della verifica, in quanto nonostante la perdita fiscale, la società potrebbe risultare operativa per il fatto di presentare un MOL positivo (come detto, è sufficiente che tale verifica dia esito positivo in almeno uno dei periodi d’imposta che compongono il triennio). Sembra tuttavia che tale causa di esclusione, che scatta quando il MOL è maggiore di zero, possa essere particolarmente apprezzabile da parte di quelle società, soprattutto del settore immobiliare, che sono penalizzato per effetto del peso degli oneri finanziari, i quali sono collocati nell’area C) del conto economico, influenzando in tal modo il risultato finale, ma non anche il margine operativo lordo, che potrebbe quindi prenotarsi positivo ed evitare la “tagliola” in esame.

Responsabilità fiscale per Iva e ritenute ai soli appalti nel settore edile

di Sandro CERATO

L’art. 13-ter del D.L. 83/2012, inserito in sede di conversione in legge, ha modificato l’art. 35, co. 28, del D.L. n. 223/06, relativamente al tema della responsabilità fiscale negli appalti. Tale disposizione, riscrivendo integralmente la disciplina in questione, prevede in estrema sintesi, quanto segue:
·       la responsabilità solidale opera esclusivamente nei rapporti tra appaltatore e subappaltatore, escludendo quindi il committente;
·       il committente, tuttavia, è soggetto ad una sanzione pecuniaria, da un minimo di euro 5.000 ad un massimo di euro 200.000, qualora provveda ad effettuare il pagamento del corrispettivo senza chiedere l’esibizione, da parte dell’appaltatore, della documentazione idonea alla dimostrazione del corretto assolvimento degli obblighi fiscali, sia in capo all’appaltatore, sia in capo al subappaltatore e se, effettivamente, siano state accertate inadempienze in capo ai predetti soggetti;
·       la possibilità, per l’appaltatore, di evitare la responsabilità in questione, laddove acquisisca dal subappaltatore, prima del pagamento del corrispettivo, un’asseverazione, rilasciata dai CAF o dai soggetti iscritti negli albi dei dottori commercialisti ed esperti contabili, dei consulenti del lavoro, in cui si attesti il corretto assolvimento degli adempimenti (già scaduti) connessi al versamento dell’Iva e delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente;
·       la responsabilità solidale è limitata all’ammontare del corrispettivo dovuto;
·       esclusione, dalla nuova disciplina, delle stazioni appaltanti pubbliche, di cui all’art. 3, co. 33, del D.Lgs. n. 163/2006.
Come abbiamo già avuto modo di osservare in un intervento precedente, nonostante l’Agenzia delle Entrate sia intervenuta con la C.M. 8.10.2012, n. 40/E, per fornire i primi chiarimenti, soprattutto diretti a stabilire la decorrenza delle novità in questione ed il contenuto della documentazione per escludere la responsabilità dell’appaltatore e del committente, numerosi sono ancora gli aspetti che devono essere oggetto di chiarimento. In primo luogo, deve essere stabilito quale sia l’ambito oggettivo della disposizione in questione, ed in particolar modo quali siano i contratti di appalto cui la norma stessa si riferisce. Sul punto, è bene osservare che l’art. 13-ter è inserito nel capo III del decreto, dedicato alle “misure per l’edilizia”, ragion per cui sembra corretto ritenere che l’ambito applicativo sia limitato ai contratti di appalto stipulati da parte di imprese che operano nel settore edile. Se tale conclusione fosse corretta, è evidente che l’ambito applicativo verrebbe giustamente ridimensionato, ed avrebbe un collegamento con la disciplina del reverse charge per le prestazioni eseguite nel settore edile in esecuzione di contratti d’appalto o d’opera.
E proprio tale ultima osservazione pone un’ulteriore questione, relativa alla possibilità di applicare le regole previste dall’art. 13-ter non solo ai contratti d’appalto, ma anche a quelli d’opera. Sul punto, ricordando che tali accordi sono disciplinati da differenti disposizioni del codice civile, sembrerebbe più corretto, alla luce della precedente considerazione secondo cui rientrerebbero solamente i contratti stipulati nel settore edile, sposare un’interpretazione “estensiva” del concetto di appalto, comprendendo in tale ambito anche i contratti d’opera, fermo restando che anche su tale aspetto si rendono necessari immediati chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate.

giovedì 25 ottobre 2012

Detrazione 36% per interventi iniziati prima del 26 giugno

di Sandro CERATO

Relativamente agli interventi eseguiti sulla stesa unità immobiliare, iniziati prima del 26 giugno 2012, per i quali le spese sono state sostenute sia prima che dopo tale data, con la risposta all’interrogazione parlamentare n. 5-07249 del 4 luglio 2012, sono stati forniti i seguenti chiarimenti:
·   il nuovo limite di spesa, pari a euro 96.000, non si applica alle sole spese sostenute dal 26 giugno 2012, ma “attrae” anche quelle sostenute prima di tale data, per le quali resta ferma la detrazione al 36%;
·    il limite di euro 96.000 costituisce il limite massimo con riferimento all’anno solare.
Dal contenuto della risposta all’interrogazione parlamentare citata, deriva che, relativamente all’anno 2012, la detrazione spetta nelle seguenti misure:
·    36% per le spese sostenute dal 1° gennaio 2012 fino al 25 giugno 2012, per un ammontare massimo di euro 48.000;
·    50% per le spese sostenute dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2012, per un ammontare massimo di euro 96.000 al netto delle spese già sostenute al 25 giugno 2012, comunque nel limite di euro 48.000, per le quali resta ferma la detrazione del 36%.
Si consideri, ad esempio, che per un intervento di ristrutturazione di un’abitazione siano state sostenute le seguenti spese: fino al 25 giugno 2012, euro 40.000, con detrazione del 36%; dal 26 giugno 2012 (ed entro il 31 dicembre 2012), euro 56.000, con detrazione del 50%.
Nel caso di specie, il contribuente ha esaurito il “plafond” di euro 96.000, alla cui formazione hanno contribuito sia le spese sostenute fino al 25 giugno 2012 che quelle successive, nella restante parte del periodo d’imposta.
In alternativa, si consideri, ad esempio, che per un intervento di ristrutturazione di un’abitazione siano state sostenute le seguenti spese:
·    fino al 25 giugno 2012, euro 60.000, con detrazione del 36% su euro 48.000 (l’eccedenza di euro 12.000 è persa);
·    dal 26 giugno 2012 ed entro il 31 dicembre 2012), euro 56.000, con detrazione del 50% sull’importo di euro 48.000.
Nel’esempio, il contribuente ha fruito della detrazione massima consentita per l’importo di spesa di euro 96.000, pur avendo sostenuto una spesa complessiva di euro 116.000. Infatti, relativamente ai 60.000 euro spesi gino al 25 giugno 2012, periodo nel quale il palfond massimo era di euro 48.000, la detrazione è stata calcolata su euro 48.000, mentre per le spese sostenute successivamente, pari ad euro 56.000, la detrazione del 50% è stata clacolata sui residui 48.000 dati dalla differenza tra euro 96.000 ed euro 48.000 (questi ultimi già “detratti” fino al 25 giugno 2012). In altre parole, l’eccedenza di euro 12.000 per le spese sostenute fino al 25 giugno 2012 non ha intaccato il “plafond” di euro 48.000 residuo a seguito dell’innalzamento dello stesso ad opera dell’art. 11 del D.L. n. 83/2012.
Nella risposta all’interrogazione parlamentare del 4 luglio 2012, è stata affrontata anche la questione del calcolo della detrazione con riferimento all’anno 2013, il quale è suddivisivbile in due periodi:
·    dal 1° gennaio al 30 giugno, in cui il limite massimo di psesa agevolabile è pari ad euro 96.000, con detrazione del 50%. Nella risposta, si legge che si deve tener conto, ai fini del raggiungimento del limite massimo di spesa, “in caso di mera prosecuzione dei lavori, delle spese sostenute negli anni precedenti”;
·    dal 1° luglio al 31 dicembre, in cui il limite torna ad essere di euro 48.000. Per tale periodo, si precisa nel predetto chiarimento, “se alla data del 30 giugno 2013 sono state sostenute spese per un ammontare pari o superiore a 48.000 euro, le ulteriori spese sostenute nel periodo di imposta non consentiranno alcuna detrazione del 36 per cento”.
In altre parole, il limite di spesa va riferito all’intervento, nella sua continuità. Se lo stesso intervento si protrae sulla medesima unità immobiliare residenziale e/o sulle relative pertinenze a cavallo del 31 dicembre 2012, le spese sostenute tra il 1° gennaio 2013 ed il 30 giugno 2013 rileveranno fino a concorrenza della differenza positiva tra il tetto di euro 96.000,00 e quanto già speso nel 2012 per il medesimo intervento.

mercoledì 24 ottobre 2012

Affitto d’azienda, fiscalità dei canoni differenziata

di Michele BANA

Gli effetti tributari del trasferimento temporaneo dell’azienda sono rappresentati, principalmente, dalla rilevanza dei canoni di affitto concordati tra le parti, e della deduzione delle quote di ammortamento o di accantonamento al fondo di reintegrazione dei beni ricompresi nel complesso affittato.
Il regime fiscale dei canoni dell’affitto d’azienda è determinato dalla natura del concedente, a seconda che si tratti o meno dell’imprenditore individuale che loca l’unica azienda: in caso affermativo, tale soggetto perde momentaneamente la qualifica di soggetto commerciale, e la corrispondente partita Iva è sospesa (salvo cessazione), con l’effetto che tali fitti sono esclusi dal campo di applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, rientrando, quindi, in quello dell’imposta di registro proporzionale, nella misura del 3% (C.M. n. 26/1985). Ai fini Irpef, il canone percepito è qualificabile come reddito diverso, ai sensi dell’art. 67, co. 1, lett. h), del D.P.R. n. 917/1986 e, quindi, rilevante in base al principio di cassa: è soggetta ad imposizione la differenza tra i canoni percepiti e le eventuali spese sostenute per la produzione degli stessi (CTC n. 2489/2002), come le spese di manutenzione e riparazione straordinaria ed ammodernamento (art. 71, co. 2, del Tuir). Diversamente, non rientra nel capo di applicazione dell’Irap, per carenza del requisito soggettivo, non essendo più un imprenditore. Specularmente, se l’affittuario – alla data del contratto di concessione in godimento dell’azienda – non rivestiva già la qualifica di imprenditore commerciale, la acquisisce per effetto di tale operazione: il canone d’affitto diventa, quindi, un costo deducibile dal reddito d’impresa e dalla base imponibile Irap (C.M. n. 148/E/2000).
Nel caso di successiva cessione dell’unica azienda affittata dall’ex imprenditore individuale, la plusvalenza è determinata a norma degli artt. 58 e 86 del D.P.R. n. 917/1986, ma l’importo così ottenuto concorre a formare il reddito complessivo del cedente, quale reddito diverso di cui all’art. 67, co. 1, lett. h), del Tuir.  Non è, tuttavia, applicabile il regime di rateizzazione della plusvalenza di cui all’art. 86, co. 4, del D.P.R. n. 917/1986. L’alienazione dell’unica azienda data in affitto può, invece, beneficiare dell’istituto della tassazione separata, qualora ricorrano le seguenti condizioni (art. 17, co. 1, lett. g), del Tuir):
·      l’azienda commerciale è posseduta da più di 5 anni;
·     sia esercitata la relativa opzione, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di realizzo della plusvalenza.
Qualora l’affitto sia effettuato dall’imprenditore individuale che loca un ramo dell’unica azienda, oppure una delle proprie aziende, o da parte di società, i canoni sono soggetti ad Iva ordinaria del 21% e all’imposta di registro in misura fissa (euro 168), e concorrono alla formazione del reddito d’impresa e della base imponibile Irap, come componenti positivi.
Per quanto concerne, invece, la disciplina fiscale delle quote di ammortamento o degli accantonamenti relativi al deperimento dei beni, devono essere seguiti criteri differenti, a secondo del regime civilistico adottato:
·  ordinario, ovvero convenzionale (art. 2561, co. 4, c.c.), in virtù del quale l’affittuario ha l’obbligo di conservare il valore dei beni facenti parte dell’azienda e di liquidare in denaro, in favore del concedente, l’eventuale perdita di valore corrente accusata dall’azienda al termine del rapporto (c.d. conguaglio). Conseguentemente, l’ammortamento dei beni affittati, pur rimanendo iscritti nella contabilità del concedente, non è effettuato da quest’ultimo: al contrario, l’affittuario opera degli accantonamenti ad uno specifico fondo di ripristino, la cui entità corrisponde alle quote di ammortamento individuate in base ai coefficienti riportati nel D.M. 31 dicembre 1988, deducibili a norma degli artt. 102, co. 8, e 103, co. 4, del Tuir. Il corrispondente costo, ancorchè qualificato come un accantonamento (voce B)13) del conto economico), rileva anche ai fini Irap, mediante un’apposita variazione in diminuzione, come recentemente confermato dall’Agenzia delle Entrate, con la C.M. n. 26/E/2012;
·   derogatorio, previa indicazione in contratto, secondo cui l’affittuario non è tenuto a conservare il valore dei beni aziendali, con conseguente esclusione dell’obbligo di corresponsione di conguagli tra le parti. L’ammortamento dei beni affittati è, pertanto, effettuato dal concedente, che deduce le relative quote secondo i criteri ordinari, mentre nessun accantonamento è operato dall’affittuario.
Per quanto concerne, invece, il conguaglio finale, dovuto nel regime convenzionale (e non in quello derogatorio), si segnala che, avendo natura risarcitoria, non è soggetto ad Iva, a differenza del canone, ai sensi dell’art. 2, co. 3, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972.

martedì 23 ottobre 2012

Affitto d’azienda, effetti sui rapporti di lavoro


di Michele BANA

Il temporaneo trasferimento di un complesso aziendale, comprendente oltre 15 dipendenti, richiede il preventivo assolvimento della procedura individuata dall’art. 47 della Legge n. 428/1990. In primo luogo, deve essere inviata una comunicazione scritta alle organizzazioni sindacali, almeno 25 giorni prima dell’atto, con l’indicazione di alcune informazioni essenziali: la data prevista dell’operazione ed i relativi motivi; gli effetti economici giuridici e sociali per i lavoratori; i provvedimenti che si propongono di adottare. Entro 7 giorni dal ricevimento della predetta missiva, le organizzazioni sindacali possono richiedere un esame congiunto: a seguito di tale istanza, entro 7 giorni dalla stessa deve essere avviata la consultazione, che si intende estinta nel caso in cui non venga raggiunto un accordo entro 10 giorni dal suo inizio.
La successiva stipulazione del contratto d’affitto d’azienda impone a carico del concedente alcuni incombenti, tra i quali una comunicazione ai dipendenti, con la precisazione del mantenimento, presso l’affittuario, dei diritti acquisiti: è, inoltre, tenuto a trasferire a quest’ultimo i dati contabili relativi ai lavoratori subordinati compresi nel complesso aziendale affittato, per l’assunzione dei corrispondenti adempimenti (conguaglio complessivo fiscale di fine anno, predisposizione delle certificazioni Cud, redazione ed invio del modello 770, prestazioni di assistenza fiscale).
Analogamente, l’affittuario deve informare i dipendenti, il giorno stesso della decorrenza dell’atto, del sopravvenuto trasferimento temporaneo dell’azienda, specificando i dati del nuovo rapporto di lavoro.
L’affitto dell’azienda, inclusi i rapporti di lavoro, è soggetto, come anticipato in un precedente commento, alla disciplina di cui all’art. 2112 c.c., in quanto applicabile ad ogni operazione suscettibile di comportare – in seguito a cessione contrattuale o fusione – il mutamento della titolarità in un’attività economica organizzata preesistente, che conserva la propria identità. La disposizione in parola prevede la generale sostituzione dell’affittuario, nei contratti di lavoro stipulati dal concedente: il rapporto continua, pertanto, con l’affittuario, che è tenuto a garantire i diritti maturati presso il concedente. Sono, inoltre, previste altre garanzie a favore del lavoratore:
·  l’affitto d’azienda non costituisce, di per sé, un giustificato motivo di licenziamento. È, tuttavia, riconosciuto al dipendente l’esercizio del diritto di recesso, qualora risulti che le condizioni di lavoro sono mutate sostanzialmente, nei primi tre mesi dell’affitto d’azienda;
·    l’affittuario deve rispettare i trattamenti economici e normativi stabiliti dai contratti collettivi, anche aziendali, vigenti alla data dell’affitto e sino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri accordi collettivi applicabili, nel medesimo settore, all’impresa dell’affittuario;
·    il concedente e l’affittuario sono obbligati in solido, senza possibilità di deroga in base ad un accordo delle parti, per tutti i crediti (retributivi, previdenziali, assicurativi, ecc.) vantati dal lavoratore al momento del trasferimento, purchè a tale data non sia intervenuta l’estinzione del rapporto, per i cui debiti risponde il solo concedente. Nel caso di responsabilità solidale, il lavoratore può, tuttavia, acconsentire – nell’ambito di un procedimento di conciliazione, a norma degli artt. 410 e 411 c.p.c. – alla liberazione del concedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.

lunedì 22 ottobre 2012

Affitto d’azienda, successione parziale nei contratti pendenti


di Michele BANA

L’affitto d’azienda, operazione disciplinata dal combinato disposto di cui agli artt. 2562 e 2561 c.c., comporta il temporaneo trasferimento, a titolo oneroso, di un complesso di beni e diritti organizzati per l’esercizio dell’impresa. Può, quindi, trattarsi dell’intera azienda, o di un ramo della stessa, purchè rappresenti un insieme di beni organizzati avente l’attitudine a conseguire gli obiettivi per i quali è preposta tale aggregazione: la circostanza in parola ricorre, pertanto, anche nel caso di azienda di nuova formazione non ancora effettivamente entrata in funzione, oppure la cui gestione risulti temporaneamente sospesa.
In virtù del predetto trasferimento, l’affittuario è tenuto ad assolvere alcuni adempimenti:
·    conservare la destinazione economica del complesso aziendale, l’efficienza della struttura organizzativa e degli impianti;
·    corrispondere al concedente il canone di locazione, secondo le scadenze e modalità prestabilite;
·    restituire l’azienda affittata al termine del contratto, salvo l’esercizio dell’eventuale diritto di prelazione ad esso accordato per l’acquisto del complesso condotto in godimento.
Il contratto di affitto d’azienda è soggetto alla medesima disciplina prevista per la cessione, individuata dall’art. 2556 c.c.: deve, dunque, essere redatto in forma scritta, in quanto richiesta per la prova ed ai fini dell’opponibilità nei confronti dei terzi. Tale atto deve essere trasmesso, a cura del notaio rogante od autenticante, all’Agenzia delle Entrate (entro 20 giorni) e al Registro delle imprese (non oltre 30 giorni).
Trovano, inoltre, applicazione altre disposizioni civilistiche riguardanti la cessione d’azienda: in primo luogo, l’art. 2557 c.c., per effetto del quale il concedente è tenuto ad astenersi – per tutta la durata del contratto di affitto d’azienda – dall’avviare una nuova impresa idonea a sviare la cliente del complesso affittato, salvo che le parti vi abbiano espressamente derogato nel contratto di affitto d’azienda. Qualora il concedente sia una società di persone, il divieto di concorrenza opera anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili: riguardando esclusivamente il caso di “nuova attività”, non può, tuttavia, esplicare i propri effetti qualora il concedente prosegua l’esercizio di un’impresa preesistente all’affitto del ramo d’azienda, oppure quando l’azienda affittata non sia ancora stata esercitata, purchè ciò non si traduca di fatto in un’elusione del divieto (Cass. n. 2112/1984).
Analogamente, per i contratti opera la medesima disciplina stabilita per la cessione d’azienda, contenuta nell’art. 2558 c.c.: i rapporti giuridici – ad eccezione di quelli aventi carattere personale (appalto, mandato o prestazione d’opera intellettuale,  ma non agenzia), e di quelli espressamente esclusi dalla parti – si trasferiscono, quindi, all’affittuario, senza richiedere il consenso del terzo contraente. Costui può, tuttavia, recedere dal contratto, entro 3 mesi dalla notizia del trasferimento,  se sussiste una giusta causa, come, ad esempio, la carente affidabilità morale o patrimoniale del cessionario: al ricorrere di tale ipotesi, il concedente è responsabile, nei confronti del terzo contraente, per l’eventuale risarcimento del danno.
Nel caso delle locazioni commerciali immobiliari, trova applicazione l’art. 36 della Legge n. 392/1978, secondo cui il conduttore può sublocare il fabbricato o cedere il contratto anche senza il consenso del locatore, purchè venga ceduta o locata l’azienda,  e ne sia data comunicazione al concedente, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Quest’ultimo adempimento è indispensabile, in quanto consente al locatore di esercitare, in presenza di gravi motivi (ad esempio, lo svolgimento di attività illecite), il proprio diritto di opposizione alla sublocazione o cessione contrattuale, da manifestare entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione.
Non operano, invece, le disposizioni in materia di crediti e debiti dell’azienda ceduta, in quanto gli artt. 2559 e 2560 c.c. non richiamano espressamente l’ipotesi del contratto di affitto, a differenza delle precedenti norme in materia di divieto di concorrenza e successione nei contratti (artt. 2557 e 2558 c.c.).
Per quanto concerne, infine, i rapporti di lavoro pendenti alla data dell’affitto, trova applicazione l’art. 2112 c.c., per effetto del quale l’affittuario subentra nei contratti stipulati dal concedente. Il dipendente conserva i diritti maturati presso il concedente, in quanto il trasferimento d’azienda non costituisce, di per sé, motivo di licenziamento: al contrario, è riconosciuto al lavoratore l’esercizio del diritto di recesso, per giusta causa, qualora le condizioni di lavoro siano mutate sostanzialmente nel corso dei primi 3 mesi di affitto d’azienda (art. 2219, co. 1, c.c.).
Il concedente e l’affittuario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti vantati dal lavoratore al momento del trasferimento, ad eccezione di quelli derivanti da rapporti già estinti alla data di stipulazione del contratto d’affitto d’azienda, per i quali è responsabile il solo concedente.

domenica 21 ottobre 2012

Liquidazione del patrimonio del debitore, possibile l’esdebitazione

di Michele BANA

Il D.L. n. 179/2012 ha introdotto una disposizione, l’art. 14-terdecies della Legge n. 3/2012, che riconosce al debitore persona fisica la possibilità di beneficiare, previa istanza da depositarsi entro l’anno successivo alla chiusura della liquidazione, della liberazione dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali e non soddisfatti (c.d. esdebitazione). Al fine di accedere a tale agevolazione, è, tuttavia, necessario che risultino soddisfatte, in capo al debitore, le seguenti condizioni:
·    abbia cooperato al regolare ed efficace svolgimento della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utili, nonché adoperandosi per la proficua esecuzione delle operazioni;
·    non abbia, in alcun modo, ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura;
·    non abbia beneficiato di altra esdebitazione, negli 8 anni precedenti la domanda;
·    non sia stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per uno dei reati previsti dall’art. 16, della Legge n. 3/2012, puniti con la reclusione da 6 mesi a 2 anni, e la multa da euro 1.000 ad euro 50.000. È il caso, ad esempio, del debitore che omette l’indicazione di beni nell’inventario oppure – nel corso della procedura – effettua pagamenti in violazione dell’accordo o aggrava la propria posizione debitoria, o non rispetta intenzionalmente i contenuti dell’intesa. La medesima pena è posta a carico del debitore che, al fine di ottenere l’accesso alla procedura, ha presentato documentazione contraffatta od alterata, oppure ne ha sottratta, occultata o distrutta una parte relativa alla propria situazione debitoria o contabile;
·    abbia svolto, nei 4 anni successivi al deposito della domanda, un’attività produttiva di reddito adeguata alle proprie competenze, e alla situazione di mercato, oppure, in  ogni caso, abbia cercato un’occupazione e non abbia rifiutato, senza giustificato motivo, proposte di impiego;
·    i cui creditori per titolo e causa anteriore al decreto di apertura della liquidazione siano stati soddisfatti, almeno in parte.
L’esdebitazione, tuttavia, non è invocabile rispetto alle passività derivanti da obblighi di mantenimento ed alimentari, da risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale, nonché per le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti: parimenti, non è prospettabile per i debiti fiscali che, pur avendo una causa anteriore al decreto di apertura delle procedure di composizione della crisi, sono stati successivamente accertati, in ragione della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.
In ogni caso, l’esdebitazione è esclusa quando il sovraindebitamento è imputabile ad un ricorso al credito colposo del debitore, e sproporzionato rispetto alle proprie capacità patrimoniali: analogamente, l’istituto in commento non è applicabile se il debitore – nei 5 anni precedenti l’apertura della liquidazione, o nel corso della stessa – ha posto in essere atti in frode ai creditori, pagamenti od altre operazioni dispositive del proprio patrimonio, ovvero simulazioni di titoli di prelazione, allo scopo di favorire alcuni creditori a danno di altri. Quest’ultima ipotesi, se accertata dopo l’emanazione del provvedimento di esdebitazione, può altresì costituire la causa di revoca dell’atto, su istanza dei creditori, così come quando risulta che è stato dolosamente, o con colpa grave, aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo oppure simulate attività inesistenti.
Il provvedimento di esdebitazione è assunto, previa verifica dei relativi presupposti e sentiti i creditori pagati parzialmente, dal tribunale, con decreto, che dichiara inesigibili nei confronti del debitore i crediti non soddisfatti integralmente.

giovedì 18 ottobre 2012

Realizzo del patrimonio del debitore non fallibile, adempimenti del liquidatore

di Michele BANA

L’ammissione al procedimento di liquidazione del patrimonio (art. 14-ter e ss. della Legge n. 3/2012), così come introdotto dall’art. 18 del Decreto Sviluppo-bis firmato ieri dal Presidente della Repubblica ed in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, comporta l’assolvimento di una serie di adempimenti da parte del liquidatore, nominato dal tribunale in sede di apertura della procedura, tra i soggetti aventi i requisiti per la nominata a curatore fallimentare (art. 28 del R.D. n. 267/1942). In primo luogo, deve verificare l’elenco dei creditori e l’attendibilità della documentazione depositata, forma l’inventario dei beni da realizzare, provvedendo altresì a comunicare ai creditori e ai titolari di diritti reali e personali, mobiliari e immobiliari, su immobili o cose in possesso o nella disponibilità del debitore:
·  che possono partecipare alla liquidazione, depositando o trasmettendo – anche mediante posta elettronica certificata, purchè vi sia la prova della ricezione – la relativa istanza;
·   il termine ultimo per la presentazione della predetta domanda, e la data entro cui il liquidatore comunicherà al debitore ed ai creditori lo stato passivo ed ogni altra informazione utile.
Entro 3 giorni dalla formazione dell’inventario, il liquidatore deve altresì redigere un programma di liquidazione, dandone comunicazione al debitore ed ai creditori, provvedendo anche al relativo deposito nella cancelleria del tribunale: tale documento deve assicurare, tra l’altro, la ragionevole durata della procedura.
Il liquidatore deve, poi, esaminare le domande dei creditori pervenute, predisponendo il progetto di stato passivo, lo comunica ai creditori o titolari di diritti su beni, assegnando un termine di 15 giorni per la formulazione di eventuali osservazioni. In assenza di queste ultime, il liquidatore approva lo stato passivo, dandone comunicazione alle parti: diversamente, in caso di osservazioni, il liquidatore – qualora le ritenga fondate – provvede, entro 15 giorni dal ricevimento dell’ultima osservazione, alla redazione di un nuovo progetto di stato passivo, seguendo, quindi, la citata procedura. Nell’ipotesi di contestazioni non superabili, il liquidatore rimette gli atti al giudice che lo ha nominato, il quale provvede alla definitiva formazione dello stato passivo.
Nel corso della procedura, il liquidatore dispone, inoltre, dei seguenti poteri:
·    ha l’amministrazione dei beni che compongono il patrimonio di liquidazione;
·   cede i crediti, anche se oggetto di contestazione, dei quali non è probabile l’incasso nei 4 anni successivi al deposito della domanda;
·   effettua le vendite e gli altri atti realizzativi, in esecuzione del programma di liquidazione, tramite procedure competitive;
·   può subentrare nelle azioni esecutive pendenti. L’art. 14-decies, della Legge n. 3/2012 attribuisce, inoltre, al liquidatore il diritto di esercitare ogni azione prevista dalla legge, finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio da liquidare e, in ogni caso, con lo svolgimento della predetta attività di amministrazione.
A norma dell’art. 14-duodecies, della Legge n. 3/2012, i creditori con causa o titolo posteriore, rispetto alla pubblicità dell’apertura della procedura, non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto di liquidazione: la disposizione stabilisce, inoltre, che i crediti sorti in occasione o funzione della liquidazione, o del procedimento di composizione della crisi, sono soddisfatti prioritariamente rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti.
L’art. 14-novies, co. 5, della Legge n. 3/2012 stabilisce, infine, che il giudice, accertata la completa esecuzione del programma di liquidazione e comunque non prima del decorso di 4 anni dal deposito della domanda, dispone, con decreto, la chiusura della procedura: ai sensi dell’art. 14-undecies, della Legge n. 3/2012 i beni sopravvenuti nei 4 anni successivi al deposito della domanda di liquidazione costituiscono, infatti, oggetto della stessa, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi.