domenica 29 aprile 2012

Immobili in Paesi Ue o SEE: per l'Ivie rileva il valore catastale

di Sandro CERATO

Dopo numerosi travagli normativi, l'Ivie (Imposta sul Valore degli Immobili all'Estero) sembra aver trovato l'assetto definitivo, anche se, come vedremo nel presente intervento, rimangono alcune perplessità soprattutto di carattere operativo. La versione definitiva delle modifiche apportate dal D.L. n. 16/2012 (Legge n. 44/2012, pubblicata in G.U. del 28 aprile 2012), serba alcune sorprese per gli immobili situati in Paesi della Ue o aderenti allo Spazio Economico Europeo, per i quali, in deroga alla regola generale secondo cui il valore rilevante è il costo risultante dall'atto di acquisto o dai relativi contratti o, in mancanza, dal valore di mercato, la base imponibile è costituita dal valore catastale come determinato e rivalutato nel Paese in cui è situato l'immobile ai fini dell'assolvimento di imposte di natura patrimoniale o reddituale. Solamente laddove manchino tali parametri, si torna ad applicare la regola generale del costo di acquisto o del valore di mercato (applicabile in ogni caso per gli immobili situati fuori dai predetti Paesi).
Il motivo di tale impostazione è evidente: avvicinare il più possibile il criterio di tassazione degli immobili situati nella Ue o nello SEE a quello previsto per l'IMU, così da evitare possibili censure in ambito comunitario (eliminazione delle discriminazioni già segnalate dalla Corte di Giustizia Ue). Tuttavia, se l'obiettivo è chiaro, come detto, non altrettanto agevole sarà il compito del contribuente (e del suo professionista), per raccogliere i dati necessari per un corretto conteggio dell'imposta, da assolversi, ricordiamo, già nel modello Unico 2012 (righi RM33 e RM34), con versamento dell'imposta entro il prossimo 18 giugno (o 16 luglio con la maggiorazione dello 0,4%). A tale proposito, infatti, il contribuente deve seguire una rigida "scaletta" per gli immobili situati in ambito Ue o dello SEE:
- in primis, è necessario individuare l'esistenza di un valore catastale dell'immobile nel Paese in cui lo stesso è ubicato (non tutti i Paesi, infatti, hanno un sistema catastale similare al nostro), utilizzabile ai fini dell'assolvimento di imposte patrimoniali o reddituali (ad esempio, la taxe foncière in Francia). In presenza di tale parametro, si rende possibile l'applicazione dell'Ivie (0,76%) su tale valore, evidenziando a tale proposito che sarà necessaria una verifica della correttezza dell'eventuale documentazione trasmessa dal Paese in cui è ubicato l'immobile, e ciò non sarà sempre del tutto agevole;
- in secondo luogo, laddove non sia possibile fare riferimento al valore catastale dell'immobile, il contribuente deve applicare la regola generale del costo di acquisto, ovvero del valore di mercato.
A proposito di tale ultima regola, restano immutate le perplessità già manifestate in altre occasioni, ossia il significato da attribuire al costo di acquisto, soprattutto con riferimento a quelle fattispecie in cui tale parametro non deriva direttamente dall'atto di acquisto del soggetto interessato, in quanto il bene è stato acquisito per successione o donazione. In tali casi, deve essere chiarito se sia possibile riferirsi al costo di acquisto del dante causa (de cuius o donante), ovvero al valore di mercato del bene, atteso che la norma non precisa che il costo di acquisto debba essere necessariamente quello sostenuto dal soggetto passivo d'imposta. Si ritiene, a parere di chi scrive, che il legislatore abbia voluto riferirsi al costo di acquisto "oggettivo" (e quindi non necessariamente sostenuto dal soggetto passivo d'imposta), e solo in assenza di qualsivoglia riferimento in tal senso, si rende applicabile il valore di mercato dell'immobile. In caso contrario, infatti, si verrebbero a creare discriminazioni tra coloro che hanno acquisito direttamente l'immobile e coloro che lo hanno ricevuto a titolo derivativo (successione o donazione).

venerdì 27 aprile 2012

Vies e mancata iscrizione: conseguenze Iva

di Sandro CERATO

VIES
La R.M. n. 42/E pubblicata oggi dall'Agenzia conferma che in assenza di iscrizione al Vies da parte del soggetto Iva nazionale, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi intracomunitarie devono essere assoggettate ad Iva in Italia, mentre gli acquisti non possono considerarsi intracomunitari. Conseguentemente, l'acquirente italiano non deve applicare l'imposta sugli acquisti con il reverse charge (doppia annotazione), mentre il fornitroe comunitario dovrebbe applicare l'imposta del suo Paese. Domani su http://www.eutekne.info/ sarà pubblicato un mio commento a questa risoluzione.

giovedì 26 aprile 2012

Studi di settore: premio per i congrui "fedeli"

di SANDRO CERATO

Siamo a fine aprile e già si parla di studi di settore per l'anno 2011, anche se in realtà non conosciamo ancora l'impatto dei correttivi congiunturali anti-crisi per l'anno 2011. Per tale motivo, già si sta profilando un possibile slittamento del termine di versamento delle imposte previsto per il 16 giugno, probabilmente di una ventina di giorni, e quindi nella prima decade di luglio. Sappiamo che non è una novità, già da diversi anni il termine per il versamento delle imposte è ormai "mobile", in quanto il cronico ritardo nell'approvazione degli studi di settore finisce per condizionare il calendario di Unico, a scapito di tutti gli operatori del settore, che sono costretti a rivoluzionare le proprie agende lavorative (e non solo).
Tuttavia, questo possibile rinvio offre una sorta di "opportunità", in quanto nel 2011 impatta per la prima volta la norma premiale voluta dal decreto "Salva Italia" (D.L. 201/2011), secondo cui ai contribuenti congrui (anche per adeguamento) e coerenti alle risultanze di Gerico sono attribuiti i seguenti benefici:
- accorciamento di un anno del termine per la notifica degli accertamenti (salvo che non ricorrano fattispecie penalmente rilevanti);
- non esperibilità di qualsiasi forma di accertamento analitico induttivo (di cui gli studi di settore fanno parte, ossia accertamenti basati sui dati contabili, dai quali per presunzione, purché grave, precisa e concordante, si desume un maggior reddito);
- applicazione di una maggiore copertura per l'applicazione dell'accertamento sintetico, in quanto si prevede la necessità di uno scostamento tra reddito dichiarato e reddito accertato sinteticamente almeno pari ad 1/3, e non 1/5.
I descritti effetti premiali, oggettivamente importanti, sono tuttavia subordinati alla fedeltà dei dati dichiarati dal contribuente per l'applicazione degli studi di settore, in quanto è evidente che il legislatore voglia scoraggiare "taroccamenti" volti ad ottenere una congruità non fedele. La questione è delicata, atteso che si rende necessario comprendere con chiarezza il significato di fedeltà dei dati quale elemento discriminante per ottenere i benefici descritti. A parere di chi scrive, ed in attesa di necessari chiarimenti da parte dell'Agenzia delle Entrate, i dati possono essere considerati infedeli solo se l'indicazione del dato non corretto porta il contribuente ad ottenere la congruità e coerenza altrimenti non raggiungibile. Al contrario, laddove l'indicazione di un dato non corretto (o meglio non fedele) sia neutro nella funzione di Gerico (cioè non cambi il risultato finale), non si può certo affermare che lo studio di settore sia infedele, in quanto, come detto, l'obiettivo del legislatore è quello di scoraggiare il "taroccamento" dei dati, ossia l'indicazione di dati infedeli che portino il contribuente al livello di congruità altrimenti non ottenibile.
Resta inoltre la questione della coerenza, che dovrebbe riferirsi non tanto agli indicatori di normalità economica ("incorporati" nel risultato di congruità), bensì a quelli "tradizionali" che, come noto, non influenzano il risultato di congruità. Purtroppo la coerenza, come sappiamo, non è raggiungibile per adeguamento, ma costituisce un fatto "naturale", anche se in diversi studi è difficile da raggiungere.

mercoledì 25 aprile 2012

Spesometro: verso un rinvio?

di SANDRO CERATO

Dalle notizie apparse questa mattina sulla stampa specializzata, sembrerebbe possibile che la comunicazione delle operazioni rilevanti ai fini Iva, di cui all'art. 21 del D.L. 78/2010 (cd. "spesometro"), la cui scadenza per l'anno 2011 è fissata al prossimo 30 aprile, possa essere posticipata di qualche giorno. Tale mini proroga, infatti, sarebbe allo studio dei tecnici dell'Amministrazione finanziaria, in quanto la scadenza cade in un periodo compreso tra le festività del 25 aprile e del 1° maggio. Rinviando ai precedenti commenti (www.eutekne.info per maggiori approfondimenti), in questa sede ci si limita a ricordare che, a seguito del comunicato stampa del 5 aprile scorso, la comunicazione per l'anno 2011 può essere effettuata inserendo tutte le operazioni effettuate e ricevute, a prescindere dall'importo delle stesse, seguendo in buona sostanza lo stile dei "vecchi" elenchi clienti e fornitori. Tale modalità, tra l'altro, diventerà la regola per le comunicazioni future, atteso che l'art. 2 del D.L. n. 16/2012 ha modificato l'impostazione normativa, stabilendo che per le operazioni con obbligo di emissione della fattura, è necessario inserire nella comunicazione tutte le operazioni effettuate e ricevute, a prescindere dall'importo delle stesse. Resta invece ferma la soglia minima di euro 3.600, iva compresa, per le operazioni senza obbligo di emissione della fattura (quelle documentate da scontrino o ricevuta, in buona sostanza).
Tornando alla comunicazione per l'anno 2011, pur tenendo conto del possibile spostamento di qualche giorno del termine di presentazione (che, a parere di chi scrive, sembra più un palliativo che un vero aiuto), gli operatori interessati sembrano orientati verso la scelta di inserire tutte le operazioni, anche quelle di importo inferiore ad euro 3.000, tenendo conto che il software dell'Agenzia, appositamente modificato, accetta il codice "1" (operazione non frazionata) anche per importo inferiori alla predetta soglia. Resta invece di fatto "obbligatorio" il rispetto della soglia di euro 3.600 per le operazioni non certificate da fattura, in quanto solo in presenza di importo almeno pari alla citata cifra è stato obbligatoriamente inserito il codice fiscale dell'acquirente/committente nel documento rilasciato. Per completezza, si ricorda che per tali operazioni l'obbligo di comunicazione decorre da quelle effettuate dal 1° luglio 2011, ed è in ogni caso escluso se il pagamento avvenga con carte di credito, di debito o prepagate, in quanto in tali casi l'obbligo di comunicazione ricade sull'operatore finanziario che ha emesso lo strumento di pagamento (per l'anno 2011, il termine di comunicazione per gli operatori finanziari è stato tra l'altro prorogato al 15 ottobre 2012).

martedì 24 aprile 2012

Studi di settore e accertamento induttivo

Con le manovre del 2011 (D.L. n. 98/2011), e con l'ultimo decreto semplificazioni (D.L. n. 16/2012), il legislatore è intervenuto più volte in materia di studi di settore. Come noto, tale strumento di accertamento di maggiori ricavi è stato derubricato nella categoria delle presunzioni semplici (e, come tali, non sufficienti ad invertire l'onere della prova in capo al contribuente), a seguito delle famose sentenza del dicembre 2009 da parte della Cassazione a Sezioni Unite. A seguito di tale posizione della giurisprudenza di legittimità, il legislatore ha modificato il quadro normativo, inserendo, dapprima con il D.L. 6.7.2011, n. 98, e successivamente con le modifiche apportate dal recente D.L. 2.3.2012, n. 16, una nuova fattispecie di accertamento induttivo, e più precisamente l'art. 39, co. 2, lett. d-ter), del DPR 600/73, secondo cui, nella versione in vigore dal 2 marzo scorso, tale tipologia di accertamento è esperibile "in caso di omessa presentazione dei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore o di indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilita' degli studi di settore non sussistenti, nonche' di infedele compilazione dei predetti modelli che comporti una differenza superiore al quindici per cento, o comunque ad euro cinquantamila, tra i ricavi o compensi stimati applicando gli studi di settore sulla base dei dati corretti e quelli stimati sulla base dei dati indicati in dichiarazione".
In buona sostanza, con l’entrata in vigore del D.L. n. 16/2012, l'accertamento induttivo è esperibile sia nell'ipotesi di omessa presentazione del modello dei dati rilevanti per l'applicazione degli studi di settore, sia nella fattispecie di invio del predetto modello, ma con dati infedeli. Mentre nella prima fattispecie (omessa comunicazione del modello), l'accertamento induttivo può scattare in ogni caso, nella seconda ipotesi (infedele comunicazione dei dati), tale tipologia di accertamento può essere applicata solamente laddove si riscontri una differenza tra i ricavi accertati con gli studi di settore (fedeli) e quelli dichiarati (infedelmente) dal contribuente superiore al 15% o, alternativamente, superiore ad euro 50.000.
Sul punto, è bene segnalare innanzitutto che l'Agenzia delle Entrate, nella C.M. n. 8/E/2012, ha ritenuto che tali novità siano di carattere procedimentale e, come tali, applicabili a tutti gli accertamenti notificati a partire dal 2 marzo 2012 (data di entrata in vigore del D.L. n. 16/2012), pur se riferiti ad annualità precedenti (anche se lo stesso documento di prassi raccomanda agli Uffici di limitarsi alle annualità dal 2010 e successive).
Resta invece da chiarire quale sarà in concreto il comportamento seguito dagli Uffici, nel senso che si dovrà valutare se sia sufficiente, per confezionare un accertamento induttivo (per sua natura basato su presunzioni semplici), il mero scostamento rispetto a Gerico, ovvero se sarà necessario corroborare l'attività accertativa con altri elementi presuntivi. La questione non è di poco conto, in quanto se da un lato la volontà del legislatore sembrerebbe quella di ampliare l'utilizzo degli studi di settore, "sdoganandoli" sotto forma di accertamento induttivo, dall'altro non ci si può dimenticare della posizione chiara e precisa della Corte di Cassazione, secondo cui, come detto, Gerico costituisce una mera presunzione semplice. Ora, la "trasformazione" degli studi di settore (infedeli) in presunzione semplice non dovrebbe significare, tout court, che gli Uffici potranno notificare ai contribuenti accertamenti induttivi basati esclusivamente sulle risultanze di Gerico, ma si ritiene comunque necessaria un'attività investigativa più completa, al fine dunque di fornire elementi probatori che possano in effetti provare una diversa capacità contributiva del contribuente, che i soli studi di settore, ricorda la Cassazione, non sono in grado di intercettare.
Sandro Cerato

lunedì 23 aprile 2012

IMU: il "rebus" dei versamenti per l'acconto di giugno

Entro il prossimo 18 giugno (il giorno 16, infatti, cade di sabato), moltissimi contribuenti italiani dovranno fare i conti con il versamento del primo acconto della nuova Imposta Municipale Unica, la cui struttura ricalca in buona sostanza, anche se in maniera peggiorativa, quella già esistente per la "vecchia" ICI. Gli aspetti maggiormente critici riguardano la tempistica di versamento e le modalità di pagamento.
In relazione al primo aspetto, dopo il "travaglio" degli emendamenti al decreto "semplificazioni" (D.L. 2.3.2012, n. 16), la situazione è la seguente:
- l'imposta dovuta in relazione all'abitazione principale (la cui nozione è più ristretta rispetto a quella esistente in precedenza per l'ICI), e relative pertinenze, può essere eseguito in tre rate, di cui le prime due scadenti il 18 giugno ed il 17 settembre (il 16 cade di domenica), applicando a ciascuna di esse l'aliquota base dello 0,4% e le detrazioni base, e la terza entro il 16 dicembre 2012, in cui si effettuerà una sorta di conguaglio, tenendo conto dell'aliquota nel frattempo deliberata dal Comune (è consentito infatti ai Comuni di modificare la predetta aliquota base dello 0,2% in più o in meno);
- l'imposta dovuta in relazione agli altri fabbricati, ovvero ai terreni ed aree fabbricabili, resta dovuta in due rate di uguale importo, la prima da versare entro il 18 giugno e la seconda entro il 16 dicembre. Al pari di quanto visto per l'abitazione principale, mentre la prima rata dovrà essere versata tenendo conto dell'aliquota base dello 0,76%, in sede di versamento del saldo entro il 16 dicembre dovrà essere versata la differenza, tenendo conto tuttavia delle variazioni di aliquota nel frattempo deliberate dai Comuni (l'aliquota dello 0,76% è innalzabile fino all'1,06% o riducibile fino allo 0,46%).
Mentre per l'imposta riferita all'abitazione principale (nonché per quella relativa ai fabbricati rurali strumentali), si prevede che l'intero gettito sia di competenza dell'ente locale (Comune), per il tributo afferente le altre fattispecie l'art. 13, co. 11, del D.L. 201/2011 afferma che metà dell'imposta sia riservata allo Stato. Sul punto, è bene evidenziare che la quota erariale è pari alla metà dell'aliquota base (e quindi lo 0,38%), senza quindi tener conto di eventuali variazioni di aliquota deliberate dai Comuni. E' appena il caso di osservare che tale "vincolo" non costituisce certamente un incentivo alla riduzione delle aliquote da parte dei Comuni, ma al contrario la tendenza degli enti locali sarà quella di incrementare l'aliquota al fine di ottenere un maggior gettito .
Relativamente alla seconda questione, ossia la modalità di versamento del tributo, è bene ricordare anzitutto che le disposizioni normative che hanno introdotto l'IMU prevedono quale unica modalità di versamento il modello F24. Tuttavia, al fine di evitare possibili difficoltà, con la conversione in legge del decreto n. 16/2012, è stato approvato un emendamento che consentirà l'utilizzo anche del bollettino postale, ma non per il versamento del prossimo mese di giugno, in quanto i tempi sono ormai troppo stretti.
Detto ciò, veniamo al cuore del problema, ossia alla modalità di versamento del tributo che, ad esclusione di quello riferito all'abitazione principale (in tal caso, come visto, l'intero gettito è di pertinenza dei Comuni), deve avvenire contestualmente a quello dell'imposta stessa al Comune. L'utilizzo della locuzione "contestualmente" poteva essere interpretato nel senso che il contribuente potesse versare l'intero tributo dovuto, senza doversi preoccupare della suddivisione tra quota di competenza del Comune e quella di pertinenza dell'Erario. Purtroppo tale chiave di lettura è stata smentita recentemente da parte dell'Agenzia, che con la R.M. 12.4.2012, n. 35/E, ha approvato i codici tributo per il versamento del tributo, da indicare nel modello F24, distinguendo tra imposta dovuta al Comune (codice "3918") e imposta dovuta allo Stato (codice "3919"). E' evidente che tale distinzione complica il lavoro dei contribuenti, e dei loro professionisti, non tanto in sede di versamento della rata di giugno in quanto, come detto, tale prima rata va versata tenendo conto dell'aliquota base dello 0,76%, e quindi dividendo a metà tra Comune e Stato, bensì in occasione del saldo di dicembre 2012, in cui oltre ad effettuare il conguaglio il contribuente (o chi per esso) dovrà preoccuparsi di distinguere le due quote di tributo nel modello F24.
In conclusione, è abbastanza evidente che l'IMU, oltre ad essere stata introdotta tra le polemiche, non avrà vita facile nemmeno nella gestione, in quanto oltre ad esservi margini di errore sono notevoli, si fatica a comprendere le motivazioni sottostanti alla decisione di frazionare in tre parti il versamento del tributo per l'abitazione principale, mentre per le altre fattispecie le rate sono solamente due. Sulla questione, tuttavia, ci torneremo ben presto, e nel frattempo aspettiamo i vostri commenti.
Sandro Cerato

domenica 22 aprile 2012

Crediti Iva: è necessario alzare il limite alla compensazione

Nella stampa specializzata di questi giorni è frequente imbattersi in articoli che evidenziano i cronici ritardi dello Stato nell'esecuzione dei rimborsi dei crediti Iva vantati dalle imprese. Le difficoltà sono diffuse in tutta Italia, anche se nelle regioni del Nord il problema è più sentito, e ciò in funzione del maggior respiro internazionale delle imprese. Le fattispecie di credito Iva maggiormente diffuse, almeno stando alle notizie apparse sui quotidiani sono due: presenza di operazioni con l'estero (non imponibili Iva), ovvero applicazione di aliquote inferiori nelle operazioni di vendita rispetto agli acquisti (fattispecie particolarmente diffusa nel settore alimentare). In entrambi i casi, le aziende lamentano un forte ritardo nel rimborso del credito, sia annuale (derivante dalla relativa dichiarazione Iva), sia infrannuale (trimestrale), i cui tempi di pagamento vanno ben oltre l'anno rispetto alla richiesta.
Le cause del ritardo sono senz'altro di natura finanziaria, anche se la procedura per poter ottenere l'autoirzzazione all'erogazione del rimborso è alquanto tortuosa e piena di insidie. E' prassi degli Uffici finanziari, infatti, chiedere molti dettagli relativamente alla situazione del contribuente prima di poter autorizzare il rimborso stesso, ciò al fine di verificare che non vi siano richieste da parte di imprese che in realtà il credito non lo hanno mai maturato (le frodi in tal senso non sono mancate), e tali richieste allungano sensibilmente i tempi di rimborso. E' altrettanto vero che l'Amministrazione finanziaria è garantita nell'erogazione del rimborso, in quanto è necessario non dimenticare che le disposizioni normative prevedono l'obbligo di rilascio di una fideiussione (bancaria o assicurativa), a copertura dell'intero credito e degli interessi, per una durata pari al periodo di accertamento (di fatto cinque anni più o meno).
Le aziende che si trovano in questa situazione, al fine di poter far fronte alle proprie obbligazioni, ed in attesa di incassare il credito Iva, devono reperire risorse finanziarie, ed anche questa ricerca diventa spesso difficile, in quanto gli istituti di credito in questo periodo non sono certamente propensi ad elargire prestiti. Ci si trova quindi "tra incudine e martello", ragion per cui ci vorrebbe un intervento legislativo che consenta alle imprese di compensare il credito Iva con i debiti tributari dovuti allo Stato, anche per importi eccedenti l'attuale soglia massima prevista dalla legge, pari ad euro 515.456 euro per ciascun anno solare. Sul punto, vi era stata una "promessa" legislativa qualche tempo addietro, e purtroppo rimasta tale, con cui si intendeva innalzare il predetto tetto ad euro 700.000 annui, importo non ancora sufficiente, ma che costituirebbe comunque un piccolo aiuto. La questione sta diventando critica, le imprese già soffrono i mercati difficili, devono comunque far fronte ai debiti (anche tributari, pena l'applicazione di sanzioni molto severe), ragion per cui è necessario arrivare in tempi rapidi ad una soluzione normativa che consenta alle imprese di "sbloccare" i crediti. Se lo Stato non riesce a far fronte a questi impegni, almeno autorizzi le imprese a compensare il credito Iva con i debiti tributari per importi eccedenti la soglia attualmente in essere, magari facendosi garantire con una fideiussione (già prevista per il rimborso, come detto), al fine di evitare che qualche "furbetto" possa approfittare della situazione, altrimenti nel prossimo futuro vedremo molte aziende chiudere i battenti, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Sandro Cerato

giovedì 19 aprile 2012

La tassazione degli immobili all'estero: slalom di criteri

Nel prossimo mese di giugno i contribuenti dovranno vedersela anche con la nuova imposta patrimoniale sui beni immobili detenuti all'estero (art. 19, co. 13 e seguenti, del D.L. 201/2011), per i quali è prevista una tassazione, per le sole persone fisiche, con aliquota dello 0,76%. Tra le diverse problematiche da affrontare, particolare rilevanza assume quella relativa all'indivduazione della base imponibile, pur se sulla questione è intervenuto anche il recente Decreto n. 16/2012 (in corso di conversione in legge), tentando un "aggiustamento" in corsa (stabilendo tra l'altro una soglia minima di euro 200 fino alla quale l'imposta non è dovuta). A seguito delle modifiche apportate da alcuni emendamenti, il novellato co. 15 dell'art. 19 del D.L. n. 16/2012, ora stabilisce quanto segue:
- una regola generale, secondo cui l'imposta si applica sul valore dell'immobile, costituito dal costo risultante dall'atto di acquisto o dai contratti e, in mancanza, dal valore di mercato rilevabile nel luogo di ubicazione del bene (regola già presente nella versione originaria del decreto);
- una deroga, limitatamente ai beni immobili situati in un Paese Ue, o aderente allo SEE (purché via sia garanzia di adeguato scambio di informazioni), per i quali il valore di cui in precedenza "è quello catastale come determinato e rivalutato nel Paese in cui l'immobile è situato ai fini dell'assolvimento di imposte di natura patrimoniale e reddituale o, in mancanza, quello di cui al periodo precedente" (deroga aggiunta in corso di conversione in legge del decreto).
Come si desume dal contenuto normativo riportato, il criterio derogatorio introdotto in corso di conversione in legge del decreto assume una portata limitata dal punto di vista oggettivo, in quanto applicabile solamente per gli immobili ubicati nell'Unione Europea o in Paesi aderenti allo Spazio Economico Europeo. per tali immobili, dunque, il valore da prendere a base per l'applicazione dell'imposta in Italia è costituito da quello sul quale si applicano, nel Paese di ubicazione dell'immobile, eventuali imposte patrimoniali e reddituali. Solamente in mancanza di tale riferimento, torna ad essere applicabile la regola generale in precedenza descritta, ossia il costo di acquisto (se risultante dall'atto di acquisto), ovvero il valore di mercato. In buona sostanza, la persona fisica residente fiscalmente in Italia, che detiene immobili in Paesi comunitari (o aderenti allo SEE), deve seguire una "scaletta" ben precisa, in quanto:
- in primo luogo, deve verificare che nel Paese di ubicazione del bene vi siano imposte patrimoniali o reddituali applicabili all'immobile;
- in secondo luogo, se la prima verifica ha avito esito positivo, deve conoscere la base imponibile si cui sono state applicate le predette imposte, e mutuare tale valore anche per l'applicazione dell'imposta in Italia. Al contrario, laddove il contribuente abbia verificato l'insussistenza nel Paese di ubicazione del bene di imposte patrimoniali e reddituali applicabili al bene immobile, deve assumere, quale valore di riferimento per l'applicazione del tributo, il costo risultante dall'atto di acquisto ovvero dai contratti o, in mancanza, il valore di mercato desumibile in relazione al luogo di ubicazione dell'immobile.
A parere di chi scrive, il percorso normativo delineato appare sin troppo tortuoso e di non facile applicazione pratica, atteso che il contribuente (ed il proprio professionista) dovrà ottenere numerose informazioni in merito alla tassazione del proprio immobile nel Paese comunitario (o aderente allo SEE), il che non sarà sempre del tutto agevole, fermo restando che le informazioni ottenute dovranno essere verificate e vagliate al fine di applicare correttamente l'imposta in Italia. Paradossalmente, per gli immobili ubicati in Paesi extraUe (purché non aderenti allo SEE), l'applicazione diretta del costo di acquisto, ovvero del valore di mercato sembrerebbe creare meno complicazioni, anche se per tali beni torneremo in un prossimo intervento.
Sandro Cerato

Spesometro: forse è opportuno un rinvio

Sembra non aver pace la comunicazione delle operazioni rilevanti ai fini Iva, di cui all'art. 21 del D.L. 78/2010, il cui termine di presentazione, per le operazioni relative all'anno 2011, scade il prossimo 30 aprile. Sull'argomento si è scritto moltissimo, forse anche troppo (si consenta un rinvio http://www.eutekne.info/ per maggiori approfondimenti a firma del sottoscritto), ma ad oggi gli operatori economici sono alle prese ancora con moltissimi problemi operativi, ragion per cui si sta chiedendo a gran voce una proroga del termine di presentazione, oramai molto vicino. Uno dei motivi che stanno alla base della richiesta risiede nel fatto che per gli operatori finanziari la proroga del termine, inizialmente fissato anch'esso al prossimo 30 aprile 2012, è stata concessa. Si ricorda, infatti, che per le operazioni, di importo almeno pari ad euro 3.600, iva compresa, effettuate nei confronti di soggetti non passivi d'imposta ai fini Iva (segnatamente i privati), il cui pagamento avvenga con carte di credito, di debito o prepagate, l'obbligo di comunicazione non ricade sul soggetto che ha posto in essere l'operazione (commerciante al minuto), bensì in capo all'operatore finanziario che ha emesso il predetto titolo di pagamento. Per tali operazioni, l'Agenzia delle Entrate, con il provvedimento direttoriale del 13 aprile scorso, ha rinviato il termine di comunicazione (per le operazioni effettuate dal 1° luglio 2011) al prossimo 15 ottobre 2012 (in origine tale termine era fissato al 30 aprile 2012).
Ora, pur non avendo nulla da obiettare su tale decisione, appare tuttavia poco comprensibile la ragion per cui non si sia provveduto ad un più generale rinvio del termine, consentendo in tal modo a tutti i soggetti interessati di poter fruire di un termine più ampio per porre in essere l'adempimento in questione. Si consideri, a tale proposito, che in questo periodo i professionisti (che nella magigor parte dei casi assistono le imprese per lo svolgimento degli adempimenti) sono molto impegnati già su altri fronti (bilanci e dichiarazioni sopratutto), ed aggiungere un ulteriore onere è fonte di notevoli criticità.
E' pur vero che l'Agenzia, con il comunicato stampa del 5 aprile scorso, ha di fatto rimosso il vincolo della soglia minima (euro 3.000, ovvero 3.600) per l'inclusione dell'operazione nella comunicazione, anticipando in tal modo ciò che normativamente è stato previsto a far data dal 1° gennaio 2012 (sia pure limitatamente alle operazioni per le quali sussiste l'obbligo di fatturazione). Tale "apertura", del tutto facoltativa, e certamente da salutare con favore, tuttavia porta con sè anche alcune criticità, in quanto obbliga i contribuenti a valutare se avvalersi dell'opportunità di inserire anche le operazioni sotto soglia, ed i tempi per decidere il comportamento più idoneo sono molto stretti. Per una maggior ponderazione della scelta, a beneficio anche dell'Amministrazione fiananziaria, sembra quindi opportuno far slittare (magari a metà ottobre, così da far coincidere tale termine con l'altro già oggetto di proroga) i tempi per la presentazione della comunicazione.
Sandro Cerato

mercoledì 18 aprile 2012

Spesometro 2011 confermato entro il 30 aprile 2012

Il termine per l'invio della comunicazione delle operazioni rilevanti ai fini Iva, per l'anno 2011, rimane fermo al 30 aprile 2012. Nei giorni scorsi, infatti, un provvedimento direttoriale ha prorogato al 15 ottobre 2012 il termine per la comunicazione delle operazioni, di importo almeno pari a euro 3.600, iva compresa, effettuate da soggetti "privati", laddove il pagamento sia avvenuto con carte di credito, debito o prepagate. L'obbligo di comunicazione di tali operazioni, tuttavia, non interessa le imprese ed i professionisti, in quanto il soggetto cui fa capo tale adempimento è l'operatore finanziario che ha emesso la carta di credito, di debito o prepagata (tipicamente l'istituto bancario). Pertanto, è bene evidenziare che l'obbligo di comunicazione delle operazioni diverse da quelle poc'anzi citate resta confermato al 30 aprile 2012, anche se è necessario tener conto del contebuto del comunicato stampa dell'Agenzia delle Entrate del 5 aprile scorso, in cui è stato precisato che:
- è facoltà del contribuente di inserire nella comunicazione tutte le operazioni, senza rispetto quindi di alcuna soglia minima (euro 3.000 per l'anno 2011), facilitando in tal modo il compito dei contribuenti stessi;
- è stato modificato il software dell'Agenzia delle Entrate per la trasmissione telematica della comunicazione, consentendo l'inserimento anche di operazioni "sotto soglia".

martedì 17 aprile 2012

La riforma della tassazione delle attività d'impresa

Lo schema di legge delega per la riforma fiscale, approvato nella giornata di ieri, prevede numerose novità per tutti i contribuenti. In particolare, l'art. 12 di tale legge delega contiene la revisione del sistema di tassazione, in funzione della crescita e dell'internazionalizzazione, delle imprese commerciali, prevedendo tre obiettivi.
Il primo riguarda l'istituzione di un'imposta unica, sostituiva di quelle attualmente esistenti (Ires e Irpef) cui assoggettare tutte le attività d'impresa o di lavoro autonomo, a prescindere dalla forma giuridica adottata per lo svolgimento dell'attività stessa (compresi i redditi derivanti dalla partecipazione in società). In buona sostanza, l'obiettivo è di separare il reddito d'impresa o di lavoro autonomo dagli altri redditi eventualmente posseduti dal contribuente, prevedendo una tassazione proporzionale (imposta unica), così da rendere neutra la scelta della forma giuridica a mezzo della quale è svolta l'attività d'impresa o professionale. E' poi previsto che dalla base imponibile siano deducibili le somme prelevate dall'imprenditore, dal professionista, ovvero dai soci ed associati, e la contestuale concorrenza di tali somme al reddito complessivo tassato ai fini Irpef. Un aspetto che dovrà essere chiarito riguarda l'esatta individuazione delle predette somme deducibili dal reddito d'impresa o di lavoro autonomo, soprattutto considerando che l'attuale sistema distingue i "prelievi" dei soci in funzione della natura giuridica della società cui partecipano (redditi di partecipazione per i soci di società di persone, dividendi per i soci di società Ires, ecc.)
Il secondo obiettivo della disposizione in esame riguarda l'istituzione, per i soggetti di minori dimensioni, di regimi che prevedano il pagamento di un tributo forfetario, la cui misura non è specificata, in sostituzione delle imposte ordinarie dovute, pur precisando che si deve garantire l'invarianza dell'importo complessivamente dovuto, coordinando tali regimi di nuova istituzione con quelli già esistenti. Sembra quuindi di capire che non saranno aboliti i regimi attualmente esistenti per i soggetti "minimi", anche se non si può non evidenziare che il rischio è quello di complicare l'attuale quadro normativo, affiancando nuovi regimi agevolati a quelli già in essere, squilibrando il sistema.
Infine, pur in modo laconico, la disposizione in esame prevede la possibilità di prevedere forma di opzionalità anche se non è chiaro se ci si voglia riferire a quelli in questione, ovvero se trattasi di un obiettivo generico che potrà essere introdotto anche in relazione a differenti situazioni. Su tale ultimo aspetto, sarà necessario attendere l'emanazione dei decreti delegati, entro nove mesi dall'approvazione definitiva della legge delega.
Da una prima lettura della norma in questione, è probabilmente ancora prematuro esprimere un giudizio, anche se, a parere di chi scrive, la "sostanza" dell'intervento appare modesta, e non del tutto nuova. In particolare, già qualche anno fa il legislatore aveva tentato di introdurre un sistema opzionale, per i soggetti Irpef, di assoggettamento a tassazione separata del reddito d'impresa, così da evitare la tassazione progressiva Irpef, che tuttavia è rimasto sulla carta, in quanto non sono mai stati emanati i decreti attuativi. Per quanto riguarda, invece, l'introduzione di un regime forfetario per i contribuenti minori, prima di poter sbilanciarsi in qualche giudizio, è necessario conoscere il significato da attribuire alle imprese di minori dimensioni, in quanto l'individuazione dei parametri diventa fondamentale per comprendere la potenziale platea di soggetti interessati, nonchè l'eventuale "accavallamento" con i regimi forfetari già esistenti.

domenica 15 aprile 2012

Leasing: modifiche proposte

L'iter parlamentare di conversione in legge del decreto n. 16/2012 (approvato dal Governo lo scorso 2 marzo) contiene importanti novità in materia di leasing per le imprese. In particolare, un emendamento presentato al decreto prevede l'eliminazione del vincolo di durata minima del contratto anche se, come si dirà, nulla cambia per il periodo di deduzione dal reddito d'impresa. Come noto, infatti, l'art. 102, co. 7, del TUIR, prevede una durata minima del contratto di locazione finanziaria quale requisito per poter dedurre i canoni dal reddito d'impresa, ed in particolare:
- 2/3 del periodo di ammortamento, desumibile dalle tabelle di cui al D.M. 31.12.1988, per i beni mobili;
- 4 anni per le autovetture, di cui all'art. 164 del TUIR;
- da 11 a 18 anni per i beni immobili (durata variabile in funzione del coefficiente di ammortamento applicabile).
L'emendamento presentato propone di eliminare l'obbligo di stipula del contratto nel rispetto delle durate minime di cui in precedenza, ma solamente dal punto di vista finanziario, in quanto la deduzione dal reddito d'impresa rimane ancorata al periodo poc'anzi ricordato. L'obiettivo di tale modifica, sembra di capire, è duplice: accorciare il periodo di esposizione finanziaria da parte delle società di leasing, e consentire alle imprese "virtuose" di ottenere condizioni contrattuali vantaggiose, sulla scia della riduzione del termine di rientro del debito. Resta, purtroppo, il vincolo temporale per la deduzione dei canoni dal reddito d'impresa, il che costringerà i soggetti interessati ad una sorta di "doppio binario" finanziario-fiscale, con conseguente gestione delle differenze nel modello Unico. La modifica, se andrà in porto, si renderà applicabile ai contratti stipulati a partire dalla data di entrata in vigore della legge di conversione.