giovedì 28 giugno 2012

Immobili, opzione Iva per imprese di costruzione e ristrutturazione


di Sandro CERATO

L’art. 9, co. 1, lett. a), del D.L. n. 83/2012 ha modificato l’art. 10, co. 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, sostituendo i nn. 8), 8-bis) e 8-ter), per effetto dei quali sono esenti da Iva:
·    n. 8): le locazioni e gli affitti, relative cessioni, risoluzioni e proroghe, di terreni ed aziende agricole, di aree diverse da quelle destinate a parcheggio di veicoli, per le quali gli strumenti urbanistici non prevedono la destinazione edificatoria, e di fabbricati, comprese le pertinenze, le scorte e in genere i beni mobili destinati durevolmente al servizio degli immobili locati ed affittati, escluse le locazioni, per le quali nel relativo atto il locatore abbia espressamente manifestato l’opzione, di fabbricati abitativi effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi o da quelle che vi hanno eseguito, anche tramite aziende appaltatrici, interventi di ristrutturazione, di fabbricati abitativi destinati ad alloggi sociali e di fabbricati strumentali che, per le proprie caratteristiche, non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni. A questo proposito, si pone, tuttavia, un immediato problema interpretativo, con riferimento ai contratti di locazione già in corso al 26 giugno 2012, data di entrata in vigore della disposizione, stipulati in  regime di esenzione Iva e che ora, in virtù della modifica normativa, possono diventare imponibili, previo esercizio dell’opzione “nel relativo atto”, ipotesi non prospettabile, però, per i contratti pendenti: il D.L. n. 83/2012 non contiene, tuttavia, una disciplina transitoria, ponendo, pertanto, dei dubbi in merito all’esercizio dell’opzione anche con riguardo agli atti preesistenti. A questo proposito, potrebbe soccorrere un principio formulato dalla R.M. 4 gennaio 2008, n. 2/E, secondo cui – in caso di subentro in un contratto di locazione già esistente – l’impresa subentrante, che ovviamente non aveva potuto eseguire l’opzione in sede di registrazione del contratto, può effettuarla all’atto del subentro, inviando una raccomandata con ricevuta di ritorno all’Agenzia delle Entrate. Tale soluzione, in attesa di un auspicabile chiarimento dell’Amministrazione Finanziaria, sembrerebbe percorribile anche nel caso in esame, in quanto si tratta di fattispecie in cui oggettivamente l’opzione non era esercitabile all’atto della sottoscrizione del contratto, ovvero una sorta di “favor rei”, in considerazione della sopravvenuta disposizione normativa che ha introdotto un regime di vantaggio (in termini di detrazione dell’Iva) per le imprese di costruzione immobiliare;
·    n. 8-bis): le cessioni di fabbricati o di porzioni degli stessi diversi da quelli di cui al n. 8-ter), escluse quelle effettuate dalle imprese costruttrici o da quelle che vi hanno eseguito interventi di ristrutturazione, entro 5 anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell’intervento, ovvero quelle effettuate dalla stesse imprese anche successivamente, nel caso in cui nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione;
·    n. 8-ter): le cessioni di fabbricati strumentali, o porzioni degli stessi, che – per le loro caratteristiche – non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, escluse quelle effettuate dalle imprese costruttrici dei medesimi o da quelle che vi hanno eseguito, anche tramite aziende appaltatrici, gli interventi di ristrutturazione, entro 5 anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell’intervento, e quelle per le quali nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione.
Al di fuori del caso particolare degli “alloggi sociali”, i benefici previsti dal Decreto Sviluppo, ovvero l’imponibilità Iva di locazioni e cessioni, rappresentano una prerogativa soltanto per le imprese di “costruzione”, le quali possono optare per l’imponibilità Iva delle locazioni, ovvero per le cessioni di tali immobili oltre il termine di cinque anni dall’ultimazione dei lavori di costruzione o ristrutturazione degli stessi. Naturalmente, resta ferma l’applicazione dell’Iva, senza alcuna opzione, per le cessioni di immobili costruiti o ristrutturati dalle stesse entro cinque anni dall’ultimazione dei lavori. Conseguentemente, diventa determinante, ai fini dell’applicazione del regime di imponibilità Iva, lo “status” di impresa di costruzione o ristrutturazione, già puntualmente definito, in passato, dall’Agenzia delle Entrate (C.M. 11 luglio 1996, n. 182/E):
·    l’impresa di costruzione è quella che, anche occasionalmente, svolge attività di costruzione di immobili per la successiva rivendita, a nulla rilevando la modalità di esecuzione dei lavori, potendo, infatti, essere affidati – in tutto od in parte – anche ad altre imprese (CC.MM. 4 agosto 2006, n. 27/E, e 2 agosto 1973, n. 45/E), così come, peraltro, espressamente confermato dall’art. 10, co. 1, n. 8) e 8-bis), del D.P.R. n. 633/1972. Rientrano in tale casistica anche l’impresa che ha fatto costruire l’immobile, ma normalmente svolge altra attività (RR.MM. 23 aprile 2003, n. 93/E, e 21 marzo 1990, n. 430065), e la società cooperativa edilizia che costruisce direttamente, o tramite imprese, terzi, gli alloggi da assegnare successivamente ai soci;
·    l’impresa di ristrutturazione è quella che, anche tramite appalto, esegue gli interventi di recupero, di cui alle lett. c), d) ed f), dell’art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
L’art. 9, co. 1, lett. b), del Decreto Sviluppo ha, inoltre, modificato l’art. 17, co. 6, del D.P.R. n. 633/1972, sostituendo la lett. a-bis), per effetto della quale è prevista l’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile (c.d. reverse charge) “alle cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato di cui ai numeri 8-bis) e 8-ter) del primo comma dell' articolo 10 per le quali nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l'opzione per l'imposizione”.  Sul punto, si osservi che il richiamo al n. 8-bis) comporta l’operatività di tale sistema sia nei confronti dei fabbricati strumentali – come, peraltro, già previsto dalla formulazione previgente – che di quelli abitativi, qualora rientranti in ambito Iva, e non esenti. Si consideri, inoltre, che il reverse charge si applica esclusivamente alle vendite soggette ad Iva per opzione, e non anche a quelle per le quali l’alienante è tenuto ad applicare l’imposta nei modi ordinari, ovvero con l’esercizio del diritto di rivalsa.
È stato, inoltre, sostituito il n. 127-duodevicies), nella Tabella A), allegata al D.P.R. n. 633/1972, per effetto del quale sono soggette ad Iva del 10,00% le seguenti locazioni di fabbricati abitativi:
·    effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi, o da quelle che vi hanno eseguito gli interventi di ristrutturazione di cui all’art. 3, co. 1, lett. c), d) ed f), del D.P.R. n. 380/2001;
·    destinati ad alloggi sociali, come definiti dal D.M. 22 aprile 2008.

mercoledì 27 giugno 2012

Business plan per il concordato preventivo in continuità aziendale


di Michele BANA

L’art. 33, co. 1, lett. h), del D.L. n. 83/2012 ha introdotto la specifica disciplina del “concordato con continuità aziendale”, distinguendola da quella generale, rivolta all’ipotesi maggiormente frequente, ovvero la soluzione liquidatoria della crisi d’impresa. In particolare, è stata inserita una nuova disposizione nel R.D. n. 267/1942, l’art. 186-bis, applicabile al piano di concordato che prevede la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio oppure il conferimento della stessa in una o più società, anche di nuova costituzione: il progetto di risanamento può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali allo svolgimento dell’attività, ovvero non suscettibile di pregiudicare la continuità aziendale, nonché una moratoria – fino ad un anno dall’omologazione – per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno od ipoteca, salvo che sia prevista la cessione dei beni o diritti sui quali sussiste la predetta prelazione.
L’accesso a tale forma di concordato preventivo è, inoltre, subordinato alla congiunta soddisfazione di due condizioni preliminari:
·    il piano concordatario, contenente la dettagliata descrizione delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta, deve altresì riportare un’analitica indicazione dei ricavi e dei costi attesi dalla prosecuzione dell’attività dell’impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e dei corrispondenti strumenti di copertura;
·    la relazione del professionista di cui all’art. 161, co. 3, L.F., riguardante la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano concordatario, deve attestare che la prosecuzione dell’attività dell’impresa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori. Il documento in parola deve, inoltre, asseverare che – nel caso di istanza per il pagamento anticipato di crediti anteriori al concordato – gli stessi si riferiscono ad acquisti di beni e a prestazioni di servizi “essenziali per la prosecuzione dell’attività d’impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori”: tale incombente non è, tuttavia, dovuto per i pagamenti da effettuarsi sino a concorrenza dell’ammontare di nuove risorse finanziarie che vengano apportare al debitore senza obbligo di restituzione, oppure il cui rimborso sia postergato rispetto alla soddisfazione dei creditori.
Il concordato in continuità aziendale è soggetto anche al nuovo art. 169-bis del R.D. n. 267/1942, che riconosce la debitore la facoltà di richiedere, nell’ambito del ricorso di avvio della procedura, l’autorizzazione alla sospensione o allo scioglimento dei rapporti giuridici pendenti alla data di presentazione del ricorso. Tale disciplina generale deve essere coordinata con quella speciale introdotta dall’art. 186-bis, co. 3, L.F., secondo cui i contratti in corso di esecuzione all’atto del deposito del ricorso, anche stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto dell’apertura della procedura: eventuali patti contrari devono, pertanto, ritenersi inefficaci, così come quelli che prevedono, quale clausola risolutiva del rapporto, anche solo il mero deposito della domanda di concordato. In particolare, è espressamente contemplata – a norma del novellato art. 38, co. 1, lett. a), del D.Lgs. n. 163/2006 – la prosecuzione dei contratti pubblici, anche in capo alla società cessionaria o conferitaria cui siano trasferiti, qualora il professionista di cui sopra abbia attestato la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento. È altresì ammessa, in costanza del concordato preventivo, la partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici, purchè il debitore presenti, in gara, la relazione di un professionista – in possesso dei requisiti di chi all’art. 67, co. 3, lett. d), del R.D. n. 267/1942, - attestante la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento dell’appalto,  nonché la dichiarazione di c.d. avvalimento, da parte di un altro operatore, di cui all’art. 49 del codice dei contratti pubblici. È, inoltre, ammessa la partecipazione alla gara, nel rispetto dei predetti principi, congiuntamente ad altre imprese, a condizione che non rivesta la qualità di mandataria e le aziende con le quali è temporaneamente raggruppata non siano assoggettate ad una procedura concorsuale: al ricorrere di tale ipotesi, la dichiarazione di cui sopra può, pertanto, essere formulata da un operatore apparentemente all’associazione.
L’ultimo comma dell’art. 186-bis L.F. stabilisce, infine, che – nel caso in cui l’attività d’impresa cessi, oppure si rilevi manifestamente dannosa per i creditori – il tribunale provvede per la revoca dell’ammissione al concordato preventivo in continuità aziendale (art. 173 del R.D. n. 267/1942), fermo restando il diritto del debitore a modificare la proposta di concordato.

martedì 26 giugno 2012

La base imponibile Irap delle holding industriali


di Michele BANA

Le imprese che svolgono quale attività esclusiva o prevalente la gestione di partecipazioni in società diverse da quelle operanti nel settore del credito devono determinare la base imponibile Irap a norma dell'art. 6, co. 9, del D.Lgs. n. 446/1997, applicando un sistema industriale-finanziario. La disposizione in parola individua, in primo luogo, il proprio presupposto soggettivo di applicazione, ovvero la qualificazione di “holding industriale”: si tratta dell’impresa che esercita, in via esclusiva o prevalente e non nei confronti del pubblico, l’attività di assunzione di partecipazioni in società diverse da quelle esercenti attività creditizia o finanziaria, per le quali sussiste l’obbligo di iscrizione – originariamente previsto dall’art. 113 del D.Lgs. n. 385/1993 – nell’apposita sezione dell'elenco generale dei soggetti operanti nel settore finanziario. Sul punto, si riscontra, tuttavia, che quest’ultima norma è stata abrogata dall’art. 10, co. 7, del D.Lgs. n. 141/2010, con l’effetto che – ai fini della predetta qualificazione di “holding industriale” – deve ritenersi sufficiente la sussistenza del carattere sostanziale della stessa (nota Assoholding prot. n. 32/2010), ovvero la soddisfazione dei requisiti indicati dal successivo co. 10 della predetta norma abrogativa, corrispondenti a quelli già contenuti nei predetti artt. 12 e 13 del D.M. n. 29/2009, con riferimento al presupposto della “attività prevalente” di gestione delle partecipazioni industriali. A tale proposito, si rammenta che l’operatività di queste ultime disposizioni comporta una comparazione tra le attività di assunzione di partecipazioni e quelle di natura diversa (industriale, commerciale o di servizi), sulla base dei bilanci approvati relativi agli ultimi due esercizi chiusi, salvo il caso delle imprese di nuova costituzione, per le quali è sufficiente un solo rendiconto annuale approvato. In particolare, ai fini della sussistenza del requisito della suddetta prevalenza, devono risultare soddisfatte, congiuntamente, due condizioni:
1.   l'ammontare complessivo degli  elementi  dell'attivo di natura finanziaria delle attività di “assunzione e gestione di partecipazione, di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, di prestiti obbligazionari e di rilascio di garanzie”, unitariamente considerate, inclusi gli impegni ad erogare fondi e le garanzie rilasciate, sia superiore al 50% del totale  dell'attivo patrimoniale, inclusi gli impegni ad  erogare  fondi  e  le garanzie rilasciate;
2.   l’importo globale dei ricavi prodotti dagli elementi dell’attivo indicati al punto 1., dei  ricavi derivanti da operazioni di intermediazione su valute e delle commissioni attive percepite sulla prestazione dei servizi di pagamento menzionati dall’art. 106, co. 1, del TUB, sia superiore al 50% dei proventi complessivi. 
Sul punto, si riscontra, tuttavia, l’orientamento difforme dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui il requisito della prevalenza si ritiene sussistente quando il valore contabile delle partecipazioni in società industriali (C.M. n. 19/E/2009, par. 2.1) e quello degli altri elementi patrimoniali della holding – relativi a rapporti intercorrenti con le medesime società, quali, ad esempio, i crediti derivanti da finanziamenti (C.M. n. 37/E/2009, par. 1) – risultanti dal bilancio d'esercizio eccedono il 50% del totale dell'attivo patrimoniale. Il criterio in parola è applicabile anche alle partecipazioni detenute indirettamente, per il tramite di sub-holding.
Al ricorrere dei suddetti presupposti, la società qualificabile come holding industriale deve determinare la base imponibile Irap partendo dai criteri dettati per le società di capitali (art. 5 del D.Lgs. n. 446/1997), rettificando l’importo così ottenuto con una componente finanziaria, rappresentata dal risultato della differenza tra due aggregati (art. 6, co. 9, del Decreto Irap), irrilevanti ai fini Irap nel caso della generalità delle imprese esclusivamente commerciali:
1)      gli interessi attivi e i proventi ad essi assimilati;
2)      gli interessi passivi ed oneri della medesima natura ad essi assimilati, nel limite del 96,00% del proprio importo, da ritenersi applicabile – per esigenze di coerenza e sistematicità  (C.M. n. 19/E/2009, par. 2.7, e R.M. n. 56/2010) – ad entrambe le tipologie di costi finanziari, sebbene la norma citi esclusivamente gli interessi passivi. Ai fini Ires, invece, le holding industriali applicano il medesimo regime di deducibilità degli interessi passivi delle società industriali e commerciali, effettuando il confronto con il 30% del Risultato Operativo Lordo della gestione caratteristica.
In sede di individuazione delle componenti rilevanti nella determinazione del predetto differenziale finanziario, è necessario fare riferimento alla formulazione letterale dell’art. 96, co. 3, del D.P.R. n. 917/1986: “assumono rilevanza gli  interessi passivi e gli interessi attivi, nonché gli oneri e i proventi assimilati, derivanti da contratti di mutuo, da contratti di locazione finanziaria, dall’emissione di obbligazioni e  titoli similari e da ogni altro rapporto avente causa finanziaria”. L’applicazione di tale principio pone, tuttavia, alcune problematiche di natura interpretativa con riferimento a specifiche componenti:
1)  i proventi da partecipazione, in quanto il Documento interpretativo n. 1 del principio contabile nazionale Oic 12 raccomanda l'imputazione dei proventi da partecipazione nell'area finanziaria del conto economico, alla voce C)15), separatamente dal quei proventi finanziari che devono essere iscritti nella voce C)16), poichè non sono assimilabili, per natura, agli interessi. Conseguentemente, i proventi da partecipazione si devono ritenere soggetti ad una duplice esclusione ai fini Irap: dalla base imponibile individuata a norma dell’art. 5 del D.Lgs. n. 446/1997, non essendo iscritti nel valore della produzione del conto economico civilistico di cui all’art. 2425 c.c., nonostante rappresentino un ricavo caratteristico; dal differenziale finanziario di cui al successivo art. 6, co. 9, del predetto Decreto, poiché non costituiscono un provento assimilabile agli interessi attivi, come peraltro già indicato nella previgente disciplina delle holding (art. 6, co. 1-bis, del D.Lgs. n. 446/1997), che escludeva espressamente dai proventi finanziari quelli provenienti da partecipazioni. In senso conforme, si veda anche la C.M. n. 141/E/1998 (par. 3.2.2.7.2), secondo cui i proventi finanziari sono costituiti soltanto dagli interessi attivi e proventi assimilati, nonché dai proventi da partecipazione ai fondi comuni d’investimento, imputati – secondo i corretti principi contabili – alla voce C)16) del conto economico civilistico,
2)  gli interessi impliciti nei canoni di leasing, che comportano due variazioni fiscali, una in aumento – a norma dell’art. 5, co. 3, del D.Lgs. n. 446/1997, sulla base dell’art. 1 del D.M. 24 aprile 1998 (CC.MM. n. 19/E/2009, par. 2.2.3., e n. 8/E/2009, par. 4.4.) – ed una in diminuzione, in virtù di quanto stabilito dal successivo art. 6, co. 9, con riferimento al differenziale delle componenti finanziarie. In altri termini, la holding industriale, a differenza dell’impresa esclusivamente commerciale, finisce per beneficiare della deducibilità Irap degli oneri finanziari compresi nei costi relativi ai contratti di locazione finanziaria;
3)  gli effetti prodotti dagli strumenti finanziari derivati. Nel caso dei proventi e degli oneri integranti un interesse, come i flussi originati da strumenti di copertura (ad esempio, gli Interest Rate Swap), deve ritenersi sussistente il predetto contenuto finanziario, e la conseguente rilevanza ai fini Irap, anche alla luce di quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, con la R.M. n. 56/E/2010. L’assimilazione in parola deve, tuttavia, trovare fondamento in un rapporto che assolve una funzione finanziaria, ovvero di impiego di capitale: i differenziali negativi di interesse, connessi a strumenti  finanziari derivati, aventi finalità di copertura, sono soggetti alla limitazione del 96,00% della deducibilità ai fini Irap. Sotto il profilo operativo, i differenziali generati dagli strumenti derivati di copertura in commento devono, pertanto, essere sommati algebricamente al flusso di interessi generato dalle attività e passività specificamente coperte, senza scontare la limitazione di deducibilità del 96,00%, applicabile esclusivamente al risultato di tale operazione di aggregazione.

lunedì 25 giugno 2012

Compenso degli amministratori di s.r.l., profili giuridici e fiscali


di Sandro CERATO

La disciplina civilistica non prevede una specifica disposizione applicabile alle società a responsabilità limitata, con l’effetto che l’eventuale previsione del compenso è demandata all’autonomia statutaria. Non è, infatti, eccepibile una generale presunzione di onerosità dell’attività gestoria: si pensi, ad esempio, alle s.r.l. connotate – in base allo statuto, alla struttura societaria ed alla composizione dell’organo amministrativo – da un assetto tipicamente personalistico, in cui l’amministrazione è affidata, in via esclusiva, a tutti i soci.  Al ricorrere di questa ipotesi, non è dovuto un compenso per la funzione gestoria, in quanto da ritenersi ricompreso nella quota di partecipazione agli utili definita dall’atto costitutivo. In senso conforme, si riscontra anche la consolidata posizione della giurisprudenza di legittimità, secondo cui è efficace la previsione statutaria di gratuità dell’esercizio delle funzioni di amministratore: il principio dell’onerosità della carica è, infatti, stabilito per i sindaci – a norma degli artt. 2364, co. 1, n. 3, e 2402 c.c. – ma non per gli amministratori (Cass. n. 14640/2008). Con l’effetto che, qualora l’atto costitutivo riconosca esclusivamente un’indennità per lo svolgimento di particolari incarichi, l’amministratore matura il diritto al compenso soltanto se dimostra l’effettuazione di attività eccedenti i compiti propri del suo mandato, ovvero non riconducibili alla funzioni rappresentative e di spettanza (Cass. n. 7961/2009).
Le modalità ed i criteri di determinazione del compenso spettante agli amministratori devono essere stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea dei soci (applicazione analogica dell’art. 2389 c.c., previsto per le s.p.a.). In altri termini, il compenso deve essere espressamente deliberato, sulla base di una discussione consapevole, non essendo possibile invocare un’implicita decisione dei soci, in occasione dell’approvazione del bilancio: non è, infatti, sufficiente che la nota integrativa contenga la voce “compenso amministratori”, ed il relativo importo (Cass. n. 21933/2008). Diversamente, si violerebbero le norme imperative in materia di competenza degli organi sociali e di tutela dei diritti di informazione dei soci e dei terzi. In mancanza, l’amministratore può richiedere la liquidazione al tribunale, che provvede in via equitativa, sulla base di alcuni parametri oggettivi (Trib. Milano 30 giugno 2008):
     l’attività concretamente e specificamente svolta nell’adempimento dell’incarico;
     la durata del mandato;
     l’onorario riconosciuto ad altri amministratori, con riferimento a prestazioni analoghe.
Sotto il profilo fiscale, trova applicazione l’art. 95, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986, in virtù del quale – in deroga al generale criterio di competenza, sul quale è fondata la determinazione del reddito d’impresa – il costo relativo al compenso dell’amministratore persona fisica è deducibile, da parte dell’impresa gestita, nel periodo d’imposta in cui lo stesso è effettivamente erogato (c.d. principio di cassa). Con l’effetto che, nel caso dell’amministratore “professionista” (C.M. n. 105/E/2001), il compenso è fiscalmente deducibile, in capo all’impresa gestita, nel periodo d’imposta della corresponsione, e rappresenta un reddito imponibile per l’amministratore, nell’anno dell’effettiva percezione (c.d. principio di cassa ristretto). I costi sostenuti per conto della s.r.l., ed alla stessa riaddebitati, rientrano nella nozione di fiscale di “compenso”, anche qualora il professionista sia tenuto a considerare, per presunzione di legge, tali oneri soltanto parzialmente deducibili (C.M. n. 58/E/2001). Conseguentemente, secondo l’Agenzia delle Entrate, l’amministratore-professionista (avvocato, dottore commercialista, ecc.) è tenuto a fatturare anche i rimborsi chilometrici, riconducibili all’autovettura utilizzata nello svolgimento dell’attività professionale: tale orientamento non è, tuttavia, condiviso dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (Circolare 12 maggio 2008, n. 1).
Diversamente, se l’amministratore è un lavoratore dipendente o un collaboratore coordinato e continuativo dell’impresa gestita, l’onorario rileva, in sede di determinazione del reddito della s.r.l., anche se corrisposto successivamente alla chiusura del periodo d’imposta, ma non oltre il 12 gennaio (C.M. n. 57/E/2001), a norma dell’art. 51, co. 1, del Tuir, disciplinante il reddito maturato da tale tipologia di amministratore (c.d. principio di cassa allargato). A differenza del professionista, non è configurabile il principio di attrazione nel reddito di lavoro autonomo: trova, pertanto, applicazione l’art. 51, co. 5, del Tuir, per effetto del quale le indennità percepite per le trasferte o missioni, al di fuori del territorio comunale, non concorrono alla formazione del reddito del lavoratore dipendente, se non superano la soglia giornaliera di euro 46,48 (elevata ad euro 77,47 per gli spostamenti all’estero), al netto delle spese di viaggio e trasporto. Le indennità o i rimborsi di spese per le trasferte nell'ambito del territorio comunale, tranne quelli riguardanti gli oneri di trasporto comprovati da documenti provenienti dal vettore, concorrono a formare il reddito dell’amministratore-dipendente, anche se ricevuti per l’utilizzo dell’auto propria o noleggiata (R.M. n. 232/E/2002). La nozione di “territorio comunale” non coincide necessariamente con quello della sede della s.r.l., dovendo farsi esclusivo riferimento al domicilio fiscale dell’amministratore, salvo che dall’atto di nomina risulti diversamente individuata la sede di lavoro (C.M. n. 7/E/2001). Se l’amministratore è autorizzato – non necessariamente per iscritto (C.M. n. 326/E/1997) – all’utilizzo di un automezzo proprio, ovvero noleggiato, il rimborso delle spese non concorre a formare il reddito del dipendente, purchè relative a trasferte al di fuori del territorio comunale.
Non rilevano, quindi, i limiti fissati dall’art. 95, co. 3, del Tuir, ai fini della  deducibilità dei rimborsi in capo alla s.r.l.: (17 cavali fiscali, elevati a 20 per i veicoli a motore diesel). In altri termini, a prescindere dalla natura dell’autovettura utilizzata dall’amministratore, le spese rimborsate – a causa di una trasferta al di fuori del territorio comunale – sono escluse dal proprio reddito imponibile.

domenica 24 giugno 2012

Accantonamenti per rischi, deduzione Irap per cassa


di Michele BANA

I criteri di determinazione della base imponibile del tributo regionale delle società di capitali (art. 5, co. 1, del D.Lgs. n. 446/1997), nonché delle imprese individuali e delle società di persone in contabilità ordinaria che hanno esercitato l’opzione per il medesimo regime (art. 5-bis, co. 2, del predetto Decreto Irap), fondato sulla derivazione dal bilancio d’esercizio, escludono espressamente dal valore della produzione netta gli accantonamenti per rischi ed oneri. L’Agenzia delle Entrate ammette, tuttavia, una deroga, fondata su una successiva correlazione, tra la manifestazione monetaria del fondo e la natura – rilevante o meno, ai fini del tributo regionale – del costo che l’ha originata (C.M. n. 12/E/2008, par. 9.2). È, pertanto, necessario fare riferimento alle raccomandazioni del corrispondente principio contabile nazionale, l’Oic 19, che distingue i fondi per rischi ed oneri in base alla propria natura, consentendo di individuare la causa della successiva manifestazione monetaria, richiesta dall’Amministrazione Finanziaria, ai fini della verifica della conseguente deducibilità Irap.
Nel caso dei fondi di trattamento di quiescenza ed obblighi simili (voce B)1) dello stato patrimoniale passivo), i relativi accantonamenti – tra i quali rientrano anche le somme stanziate a titolo di fondi pensione oppure indennità per la cessazione dei rapporti di agenzia, rappresentanza, collaborazione coordinata e continuativa – sono imputati a conto economico, tra i costi della produzione, secondo modalità differenziate, in virtù della natura del lavoratore nei confronti del quale l’azienda ha assunto l’obbligazione (Documento Interpretativo 1 dell’Oic 12):
·    dipendente: l’accantonamento del fondo deve essere iscritto tra le spese per il personale, alla voce B)9)d) “trattamento di quiescenza e simili”, con la conseguente esclusione dalla base imponibile Irap, per espressa previsione normativa (art. 5, co. 1, del D.Lgs. n. 446/1997);
·    collaboratore coordinato e continuativo: questo accantonamento, pur essendo rappresentato nella voce B)7) “costi per servizi”, non concorre alla formazione del valore della produzione netta, in quanto reso indeducibile da una disposizione di legge, e precisamente l’art. 5, co. 3, primo periodo, del predetto Decreto. A questo proposito, si osservi la peculiare attenzione riservata all’accantonamento operato a titolo di indennità suppletiva di clientela, in quanto – a parere del richiamato documento di prassi dell’Agenzia delle Entrate – non è deducibile nell’esercizio di competenza, bensì in quello dell’effettivo sostenimento monetario, purchè sia riconducibile a costi rilevanti ai fini della determinazione della base imponibile Irap. L’orientamento dell’Amministrazione Finanziaria non è, tuttavia, condiviso dalla giurisprudenza di legittimità, che – con riferimento alla disciplina Ires dell’accantonamento all’indennità suppletiva di clientela, espressamente disciplinato dal Testo unico delle imposte sui redditi (artt. 105, ultimo co., e 16, co. 1, lett. d), del D.P.R. n. 917/1986) – ha riconosciuto la deducibilità del relativo costo in base al principio di competenza fiscale (Cass. n. 13506/2009). L’orientamento in parola è stato, inoltre, recepito dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, nel documento n. 4058/2010 (“Bilancio 2009 per i soggetti non Ias, Irap per le società industriali, commerciali e di servizi. Punti aperti e casi dubbi”), secondo il quale:
·    gli accantonamenti per indennità suppletiva di clientela, sulla base di quanto indicato nel Documento Interpretativo 1 dell’Oic 12, devono essere imputati – nel conto economico civilistico – alla voce B)7) “costi per servizi”, con la conseguente deducibilità ai fini Irap, in base alla competenza degli stessi, in virtù del principio di derivazione dal bilancio;
·    il criterio della deducibilità dell’accantonamento al momento dell’effettivo sostenimento, così come riportato nella C.M. n. 12/E/2008, deve intendersi riferito alle sole voci di natura estimativa – e, quindi, differenti dagli oneri riferibili all’indennità suppletiva di clientela, come peraltro riscontrato anche dalla Corte di Cassazione – che non devono, quindi, assumere rilevanza in sede di determinazione del valore della produzione netta del tributo regionale. Sul punto, la citata giurisprudenza di legittimità ha rilevato che gli accantonamenti operati a titolo di indennità suppletiva di clientela non assumono natura estimativa, essendo certi sia nell’an che nel quantum, a norma dell’art. 1751 c.c., con la conseguente inclusione tra i costi dell’esercizio.
Nell’ipotesi dei fondi per imposte (voce B)2) dello stato patrimoniale passivo), i corrispondenti accantonamenti riguardano tributi probabili – derivanti  da contenziosi in corso con l’Amministrazione Finanziaria (avvisi di liquidazione, rettifiche di valore, iscrizioni a ruolo, ecc.) – e presumibili accertamenti, nonché alle imposte differite, rilevate in ossequio al principio contabile Oic 25. L’ampia ed eterogenea natura dei suddetti accantonamenti può, pertanto, determinare conseguenze differenti ai fini Irap, subordinate alla specifica rappresentazione nel conto economico, coerentemente con le raccomandazioni del Documento Interpretativo 1 dell’Oic 12:
o  B)14 “oneri diversi di gestione”: questa voce comprende, tra l’altro, gli accantonamenti su rischi riguardanti l’Iva, le altre imposte indirette, l’Ici, le tasse ed i contributi, che devono, quindi, ritenersi deducibili dalla base imponibile del tributo regionale, per effetto del principio di derivazione dal bilancio;
o  E)21): negli oneri straordinari, irrilevanti ai fini della determinazione del valore della produzione netta, affluiscono, invece, le imposte riguardanti gli esercizi precedenti;
o  la fiscalità differita è rappresentata nella voce 22), comprendente altresì le imposte di competenza dell’esercizio, ed anch’esse non concorrenti alla formazione della base imponibile Irap.
Per quanto concerne, invece, la voce residuale B)3) degli altri fondi per rischi e oneri, i sottostanti accantonamenti comprendono quelli espressamente esclusi, secondo il principio di competenza, dalla base imponibile Irap (art. 5, co. 1, del D.Lgs. n. 446/1997):
·    B)12) “accantonamenti per rischi”: contratti ad esecuzione differita; garanzie prodotti oppure prestate a favore di terzi (avalli, fideiussioni, girate, lettere di patronage, ecc.), cause e controversie legali in corso;
·    B)13): “altri accantonamenti”: manutenzione ciclica di beni mobili (impianti, navi, aeromobili, ecc.); manutenzione e ripristino dei beni gratuitamente devolvibili, ovvero costituenti il complesso aziendale condotto in base ad un diritto di godimento; oneri da sostenere successivamente alla chiusura di una commessa in corso di esecuzione, ovvero di una discarica; perdite previste per lavori su ordinazione, qualora non siano state imputate in diminuzione del valore delle rimanenze; recupero ambientale. Sul punto, si riscontra, tuttavia, un recente mutato orientamento dell’Agenzia delle Entrate, con riferimento agli accantonamenti operati dell’affittuario dell’azienda, a titolo di ripristino o reintegro dei beni,  qualora le parti non abbiano derogato all’obbligo dell’affittuario di conservare l’efficacia dell’organizzazione degli impianti (artt. 2562, e 2561, co. 2, c.c.): la nota C.M. n. 26/E/2012, par. 5, ne ha, infatti, riconosciuto la deducibilità – mediante una variazione in diminuzione nella dichiarazione del tributo regionale – dalla base imponibile Irap, in virtù della mancanza di un potere discrezionale degli amministratori in ordine alla definizione del quantum, operata nel rispetto delle aliquote di ammortamento fiscalmente riconosciute in deduzione. La soluzione in parola è, inoltre, coerente con la necessità di evitare che l’affittuario, all’atto della restituzione dell’azienda ricevuta, si venga a trovare nell’impossibilità di dedurre tali oneri, a causa  di un valore della produzione netta presumibilmente non sufficientemente capiente.
C)17) “interessi ed altri oneri finanziari” e C)17-bis “utili e perdite su cambi”: rischi per contratti su strumenti finanziari derivati, aventi ad oggetto, ad esempio, la copertura della variabilità degli interessi passivi ovvero dell’oscillazione dei tassi di cambio.

giovedì 21 giugno 2012

Unico 2012, esposizione dell’Irap deducibile


di Sandro CERATO

Ai sensi dell’art. 6, co. 1, del D.L. n. 185/2008, come illustrato nel commento di ieri, è deducibile dal reddito d’impresa una quota forfetaria (10%) dell’Irap versata nel corso del periodo d’imposta 2011 (saldo 2010 ed acconti 2010), purchè – in tali periodi d’imposta – abbia sostenuto almeno una delle seguenti componenti reddituali, concorrenti alla formazione della base imponibile del tributo regionale: 
1)  costi per personale dipendente ed assimilato, da assumersi al netto delle deduzioni di cui all’art. 11, co. 1, lett. a), 1-bis, 4-bis, 4-bis.1, del D.Lgs. n. 446/1997; 
2)  interessi passivi ed oneri assimilati eccedenti quelli attivi ed i proventi della medesima natura. 
Qualora sussistano i predetti presupposti, il contribuente può beneficiare della deduzione del 10% dell’Irap pagata durante il periodo d’imposta, direttamente in sede di predisposizione della dichiarazione dei redditi. È, pertanto, necessario che il soggetto passivo del tributo regionale compili la corrispondente sezione del modello Unico 2012, secondo le seguenti modalità, differenziate a seconda della natura dello stesso:
·    esercente arti e professioni in forma individuale: rigo RE19, colonna 1, del modello Unico 2012 – Persone Fisiche. Il medesimo importo concorre, inoltre, alla formazione del totale della colonna 2, relativa alle “Altre spese documentate”, unitamente ad ulteriori componenti negativi inerenti all’attività, parzialmente deducibili (spese per autovetture, beni mobili ad uso promiscuo, ecc.).
·    esercente arti e professioni in forma associata: rigo RE19, colonna 1, del modello Unico 2012 – Società di Persone. Il corrispondente ammontare partecipa altresì alla determinazione del totale della colonna 2, relativa alle “Altre spese documentate” (spese per autovetture, beni ad uso promiscuo, ecc.);
·    imprenditore individuale in contabilità ordinaria: nel rigo RF12, deve essere indicato l’intero importo dell’Irap risultante dal conto economico del contribuente. Nel successivo rigo RF39, deve, invece, essere indicata – utilizzando il codice 12 – la quota del 10% dell’Irap versata nel periodo d’imposta 2011, sia a titolo di saldo di precedenti esercizi che di acconto di quello oggetto della dichiarazione, osservando il limite, previsto rispetto alle somme pagate in acconto, dell’imposta dovuta per il medesimo anno fiscale;
·    imprenditore individuale in contabilità semplificata: rigo RG20, colonna 2, del modello Unico 2012 – Persone Fisiche. L’importo in parola confluisce, poi, nel computo della sommatoria (“Altri componenti negativi”) da inserire in colonna 3;
·    società di persone in contabilità ordinaria: nel rigo RF16 del modello Unico 2012 – Società di Persone, deve essere esposto l’intero importo dell’Irap imputata al conto economico dell’esercizio. Il contribuente è, poi, tenuto ad indicare, nel successivo rigo RF47, tra le “Altre variazioni in diminuzione”, il 10% dell’Irap versata nel periodo d’imposta 2011, sia a saldo dei precedenti esercizi che in acconto di quello in corso, osservando altresì il predetto vincolo quantitativo dell’Irap di competenza (codice 12).
·    società di persone in contabilità semplificata: nel rigo RG21, colonna 3, del modello Unico 2012 – Società di Persone, deve essere esposta la quota del 10% dell’Irap versata nel periodo d’imposta 2011, a titolo di saldo di precedenti esercizi ed acconto di quello in corso. L’ammontare indicato deve, inoltre, essere considerato nella quantificazione dell’importo complessivo della colonna 4 (“Altri componenti negativi”);
·    società di capitali: analogamente a quelle di persone in contabilità ordinaria, devono esporre, nel rigo RF16 del modello Unico 2012 – Società di Capitali, l’intero importo dell’Irap imputata al conto economico del periodo amministrativo 2011, e nel rigo RF54, tra le “Altre variazioni in diminuzione”, il 10% dell’Irap versata nel periodo d’imposta 2011, sia a saldo di precedenti esercizi che in acconto, tenuto conto del suddetto vincolo dell’Irap di competenza (codice 12).
L’Irap dedotta deve, inoltre, essere indicata negli studi di settore allegati, ove previsto, alla dichiarazione dei redditi, secondo le modalità indicate dall’Agenzia delle Entrate (C.M. n. 29/E/2009), differenziate in base alla natura del contribuente:
·    esercenti arti e professioni: rigo G12 “Altre componenti negative” del Quadro G – Elementi contabili;
·    imprenditori: rigo F23 “Altri componenti negative”, campo 1, del Quadro F – Elementi contabili.
Così facendo, l’importo dedotto non confluisce nella determinazione dei ricavi o compensi stimati.
 

mercoledì 20 giugno 2012

Deducibile per cassa il 10% dell’Irap 2011



  di Michele BANA
L’art. 6, co. 1, del D.L. n. 185/2008 aveva introdotto la deducibilità dalle imposte dirette di una quota forfetaria (10%) dell’Irap riferibile ai costi del personale dipendente ed assimilato, al netto delle deduzioni da lavoro, ed all’eccedenza degli interessi passivi ed oneri assimilati rispetto agli interessi attivi e proventi della medesima natura. Successivamente, l’art. 2 del D.L. n. 201/2011 ha modificato il predetto regime di deducibilità dell’Irap dalle imposte sui redditi, stabilendo l’integrale rilevanza – e non più la quota forfetaria del 10% – del tributo regionale riferito al costo del personale dipendente ed assimilato, al netto delle deduzioni spettanti ai sensi dell’art. 11, co. 1, lett. a), 1-bis, 4-bis, 4-bis.1, del D.Lgs. n. 446/1997, a partire dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012. Conseguentemente, con riferimento al tributo regionale corrisposto nel 2011 (saldo 2010 ed acconti 2011), la deducibilità dello stesso, in sede di determinazione del reddito d’impresa, deve continuare ad essere verificata sulla base del citato art. 6, co. 1, del D.L. n. 185/2008, così come interpretato dalla prassi dell’Agenzia delle Entrate. L’applicazione della disposizione è riservata ai contribuenti Irap che hanno determinato la base imponibile a norma degli artt. 5, 5-bis, 6, 7 e 8 del D.Lgs. n. 446/1997: nel caso delle società “trasparenti” – di persone, per natura, o di capitali, in virtù dell’esercizio dell’opzione di cui all’art. 115 e 116 del Tuir – la deduzione dalle imposte sui redditi del 10% dell’Irap versata è effettuata dalla partecipata stessa, in sede di determinazione della base imponibile da assoggettare ad imposizione diretta (C.M. n. 8/E/2009, par. 5.2). In altri termini, la deduzione è effettuata dalla società che, conseguentemente, imputerà per trasparenza ai soci un imponibile, ai fini della tassazione diretta, ridotto per effetto dell’art. 6, co. 1, del D.L. n. 185/2008. Analogamente, nel caso di soggetti partecipanti all’istituto Ires del consolidato fiscale nazionale (art. 117 e ss. del D.P.R. n. 917/1986), la deduzione forfetaria dell’Irap deve essere operata, su base individuale, da ciascuna società inclusa nella fiscal unit, con l’effetto che la consolidante procederà alla somma algebrica dei redditi individuali già al netto della deduzione in parola. 
La deducibilità dell’Irap versata nel corso del periodo d’imposta è, inoltre, oggettivamente subordinata alla condizione che almeno una delle seguenti componenti reddituali abbia concorso alla formazione della base imponibile del tributo regionale: 
1)  costi per personale dipendente ed assimilato, da assumersi al netto delle deduzioni di cui art. 11, co. 1, lett. a), 1-bis, 4-bis, 4-bis.1, del D.Lgs. n. 446/1997. Sul punto, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che devono ritenersi spese assimilate a quelle di lavoro dipendente anche i compensi corrisposti agli amministratori, purchè costoro non rendano la propria prestazione nell’ambito dell’esercizio di un’arte o una professione (C.M. 25/E/2012, par. 5.7), né siano una società. Devono, invece, considerarsi esclusi da tale nozione i costi di natura occasionale, come per lavoro autonomo ed attività commerciale, nonché quelli ascrivibili all’associazione in partecipazione con apporto d’opera (Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Circolare n. 9/2011); 
2)  interessi passivi ed oneri assimilati eccedenti quelli attivi ed i proventi della medesima natura. 
Il riconoscimento della deduzione, nel rispetto del predetto requisito, prescinde dall’ammontare complessivamente sostenuto per oneri del personale od interessi passivi: è, tuttavia, necessario che il sostenimento di tali costi risponda a criteri di inerenza, ragionevolezza, ed economicità, nonché risulti coerente con gli obiettivi aziendali perseguiti, oltre ad osservare i corretti principi contabili, nel caso di impresa tenuta alla redazione del bilancio d’esercizio (C.M. n. 16/E/2009, par. 1). La rilevanza parziale, ai fini delle imposte sui redditi, dell’Irap riferibile a costi del personale al netto delle deduzioni e degli oneri finanziari eccedenti i proventi della medesima natura esplica i propri effetti esclusivamente nei confronti del tributo regionale versato nel corso del periodo d’imposta, intendendosi per tale sia quello pagato a saldo del precedente anno fiscale che quello in acconto per l’esercizio in corso. Rientrano nel novero dei versamenti effettuati anche quelli eseguiti a titolo di ravvedimento, oppure a seguito di accertamento, ovvero in conseguenza dell’iscrizione a ruolo di imposte dovute per effetto della riliquidazione della dichiarazione. L’art. 6, co. 1, del D.L. n. 185/2008 richiama, infatti, il co. 1 dell’art. 99 del Tuir, secondo cui le imposte, diverse da quelle sui redditi e da quelle per le quali è prevista la rivalsa anche facoltativa, “sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento”: con l’effetto che il contribuente non può far valere, in deduzione della base imponibile dei tributi, oneri per imposte che non abbiano effettivamente assolto. Si è, pertanto, in presenza di un criterio di competenza che opera nei limiti in cui si sia verificato, nell’esercizio, anche l’assolvimento per cassa degli oneri in parola. Sul punto, la C.M. n. 16/E/2009 (par. 2) ha chiarito che il predetto criterio deve essere integrato per tenere conto della circostanza che la quota di acconto versata in eccesso, rispetto all’Irap dovuta in base alla liquidazione definitiva del debito di periodo, non può essere computata nel calcolo della deduzione, in quanto – non risultando definitivamente dovuta – costituisce un credito dell’esercizio stesso. È stato altresì osservato che nei periodi d’imposta cui si riferisce il versamento, a saldo oppure in acconto, i predetti costi del personale dipendenti oppure gli oneri finanziari netti devono aver concorso alla formazione della base imponibile Irap: conseguentemente, non è consentito tenere conto, in sede di quantificazione dell’importo deducibile, del versamento effettuato a saldo con riguardo ad un periodo d’imposta il cui valore delle produzione netta Irap non risulta inciso dai costi per il personale dipendente o per interessi passivi.  
Sotto il profilo operativo, l’individuazione della quota di Irap deducibile dalle imposte sui redditi dell’esercizio 2011 richiede, pertanto, l’adozione della seguente procedura: 
·    accertare l’importo versato a saldo, con riferimento al periodo d’imposta 2010, e quanto corrisposto a titolo di primo e secondo acconto dell’esercizio 2011; 
·    determinare l’Irap di competenza del periodo d’imposta 2011, in quanto la deduzione del 10% non può eccedere il debito per il tributo regionale del medesimo periodo d’imposta (C.M. n. 16/E/2009). Con l’effetto che, qualora gli acconti versati eccedano l’Irap dovuta, il corrispondente credito non rappresenta un’imposta rimasta a carico dell’impresa, la quale può, quindi, dedurre, ai fini della tassazione diretta, il 10% del saldo Irap 2010, versato nel 2011, sommato al minor importo tra il 10% degli acconti versati nel 2011, relativi al medesimo periodo d’imposta, ed il 10% dell’Irap di competenza del 2011. 
Le metodologie sopra illustrate devono, tuttavia, essere applicate considerando che l’art. 99 del D.P.R. n. 917/1986 non deroga al criterio di competenza, ma ne costituisce una mera integrazione: è, infatti, l’osservanza del principio di cui all’art. 109, co. 4, del Tuir che subordina la deduzione dei costi, da parte dei titolari di reddito d’impresa in contabilità ordinaria, alla loro previa imputazione a conto economico (Circolare Assonime n. 14/2009). Con l’effetto che, se il tributo regionale versato in acconto nel 2011 e quello liquidato nel modello Irap 2012 – ad esempio, a causa della sopravvenuta conoscenza di elementi imponibili – eccedono l’imposta iscritta nello schema civilistico di cui all’art. 2425 c.c., dovrebbe ritenersi deducibile esclusivamente quest’ultima: la differenza rispetto all’Irap liquidata in dichiarazione dovrebbe, invece, rilevare nel successivo esercizio, ovvero quando è imputata a conto economico la corrispondente sopravvenienza passiva. In alternativa, potrebbe, tuttavia, sostenersi la prevalenza del minor importo tra quanto versato e “l’imposta effettivamente dovuta” – citata dalla C.M. n. 16/E/2009, dovendosi intendere per tale quella liquidata nel modello Irap 2012 (rigo IR22) – a prescindere dall’importo precedentemente imputato a conto economico.