sabato 22 dicembre 2012

Avviso a tutti i lettori e colleghi

Il servizio di aggiormanento di "Notizie Fiscali" rimarrà sospeso sino al 6 gennaio 2013.
L'occasione ci è gradita per ringraziare del crescente seguito che ci state riservando, e formulare i nostri migliori Auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo, con l'auspicio che possa essere ricco di soddisfazioni personali e professionali.


Sandro Cerato e Michele Bana

giovedì 20 dicembre 2012

Novità Iva anche per le operazioni Ue


di Michele BANA

L’art. 1 del D.L. n. 216/2012 è intervenuto pure sulla disciplina comunitaria delle cessioni e degli acquisti, riformulando l’art. 39 del D.L. n. 331/1993, con l’intento di ossequiare le disposizioni europee secondo cui l’acquisto intracomunitario di beni si considera effettuato nel momento in cui si ritiene eseguita un’analoga cessione interna: in particolare, è stato stabilito, al co. 1 della novellata norma, che il momento di effettuazione sia della cessione che dell’acquisto intracomunitario di beni coincide con la data di consegna o spedizione degli stessi a partire dallo Stato membro di provenienza. È stato, inoltre, modificato il successivo co. 2, per tenere conto dell’abrogazione – operata dalla Direttiva 2010/45/UE – dell’obbligo di emissione della fattura per gli acconti incassati in relazione ad una cessione intracomunitaria. Nel rispetto di tale fonte comunitaria, che ha imposto agli Stati membri di consentire – con riferimento alle cessioni di beni e prestazioni di servizi intracomunitarie – l’emissione della fattura entro il 15 mese successivo, è stato altresì modificato, per le cessioni intracomunitarie di beni, l’art. 46, co. 2, secondo periodo, del D.L. n. 331/1993, analogamente a quanto stabilito dalla disciplina interna per le prestazioni di servizi intracomunitarie (art. 21, co. 4, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972). È stato anche riformulato il successivo co. 5 dell’art. 46 del D.L. n. 331/1993, riguardante il caso del cessionario di un acquisto intracomunitario di cui al precedente art. 38, co. 2 e 3, lett. b), che non ha ricevuto la relativa fattura entro il secondo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione: costui deve procedere all’emissione della stessa – in un unico esemplare – non oltre il 15 del terzo mese successivo a quello del predetto momento di effettuazione dell’operazione. Diversamente, qualora la fattura sia stata effettivamente ricevuta, ma risulta emessa per un corrispettivo inferiore a quello reale, il cessionario deve emettere una fattura integrativa entro il 15 del mese successivo alla registrazione della fattura originaria.
Il riferimento al “giorno 15 del mese successivo” è stato inserito anche nel co. 1 dell’art. 47 del D.L. n. 331/1993, per la distinta annotazione – rispetto alla data di ricezione, e con riguardo al mese precedente, nel registro dei documenti emessi (art. 23 del D.P.R. n. 633/1972) – delle fatture relative agli acquisti intracomunitari di cui al precedente art. 38, co. 2 e 3, lett. b), previa integrazione, a norma dell’art. 46, co. 1. Fermo restando che, ai fini della detrazione dell’Iva, tali fatture devono essere annotate distintamente anche nel registro degli acquisti. Qualora le suddette fatture siano ricevute da uno degli enti di cui all’art. 4, co. 4, del D.P.R. n. 633/1972, non soggetti passivi d’imposta, devono essere annotate da costoro – previa loro progressiva numerazione – entro i medesimi termini di cui sopra, in un apposito registro, tenuto e conservato a norma dell’art. 39 del Decreto Iva (art. 47, co. 3, del D.L. n. 331/1993). Nel caso in cui, al di fuori di tale ipotesi, i soggetti in parola abbiano effettuato acquisti intracomunitari per i quali è dovuta l’imposta, sono tenuti altresì a presentare – in via telematica, ed entro ciascun mese – una dichiarazione relativa agli acquisti registrati con riferimento al secondo mese precedente, redatta in conformità al modello approvato con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate (art. 49, co. 1, del D.L. n. 331/1993).
È stato, infine, sostituito il co. 4 dell’art. 47 del D.L. n. 331/1993, per effetto del quale le fatture relative alle cessioni intracomunitarie sono annotate distintamente nel registro delle fatture emesse, secondo l’ordine della numerazione ed entro il termine di emissione, con riferimento al mese di effettuazione dell’operazione.

mercoledì 19 dicembre 2012

Fatturazione, cambiano le regole dal 1° gennaio 2013


di Michele BANA

Le principali novità introdotte, ai fini dell’imposta del valore aggiunto, dall’art. 1 del D.L. n. 216/2012 – applicabile alle operazioni che saranno effettuate dal prossimo 1° gennaio 2013 – riguardano le modalità ed i termini di fatturazione delle cessioni di beni e prestazioni di servizi. In particolare, il co. 2, lett. d) della disposizione ha sostituito integralmente i co. 1-6 dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972, stabilendo, in primo luogo, che per fattura elettronica s’intende quella emessa e ricevuta in qualunque formato elettronico, il cui valido ricorso è subordinato all’accettazione da parte del destinatario. È stato, inoltre, precisato che la fattura, cartacea od elettronica, si considera emessa – oltre che nei casi di consegna, spedizione o trasmissione – all’atto della messa a disposizione del cessionario o committente.
È stato altresì esteso il contenuto minimo della fattura, inserendo l’obbligo di fornire alcune ulteriori informazioni (art. 21, co. 2, del D.P.R. n. 633/1972), tra le quali il numero di partita Iva del cessionario o committente, ovvero – in caso di soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro dell’Unione Europea – il numero di identificazione Iva attribuito nel Paese di stabilimento: qualora il cessionario o committente, residente o domiciliato nel territorio dello Stato, non agisca nell’esercizio di impresa, arte o professione, deve essere indicato il codice fiscale dello stesso. È, inoltre, prevista l’indicazione dei corrispettivi, e non più del valore normale, degli altri beni – diversi da quelli di cui all’art. 15, co. 1, n. 2), del D.P.R. n. 633/1972 – ceduti a titolo di sconto, premio od abbuono.
La riformulazione del co. 3 dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972 riguarda, invece, la fattura elettronica: il soggetto passivo assicura, sino al termine del proprio periodo di conservazione, la leggibilità della fattura, nonché l’autenticità dell’origine e l’integrità del contenuto, mediante sistemi di controllo di gestione che assicurino un collegamento affidabile tra la fattura e la cessione dei beni o la prestazione dei servizi ad essa riferibile, oppure tramite l’apposizione della firma elettronica qualificata o digitale dell’emittente, o attraverso sistemi EDI di trasmissione elettronica dei dati o altre tecnologie in grado di garantire l’autenticità dell’origine e l’integrità dei dati. È stato, inoltre, stabilito, mediante la riformulazione dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1972, che le fatture elettroniche devono essere conservate in modalità elettronica, in conformità alle disposizioni del Decreto Ministeriale emanato ai sensi dell’art. 21, co. 5, del D.Lgs. n. 82/2005: possono essere conservate elettronicamente le fatture create in formato cartaceo ed elettronico, comprese quelle generate in formato elettronico, ma che non possono definirsi fatture elettroniche a causa della mancata accettazione da parte del destinatario.
Il successivo co. 4 dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972 è stato rivisto nel senso di prevedere alcune deroghe al principio di emissione della fattura al momento dell’effettuazione dell’operazione, come nel caso delle cessioni di beni effettuate dal cessionario nei confronti di un soggetto terzo, per il tramite del proprio cedente: la fattura è emessa entro il mese successivo a quello della consegna o spedizione dei beni. È, invece, stabilito il termine del giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione per le prestazioni di servizi rese a soggetti passivi stabiliti in un altro Stato comunitario, non soggette all’imposta ai sensi dell’art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972, e per quelle di cui al precedente art. 6, co. 6, primo periodo, rese a o ricevute da un soggetto passivo stabilito al di fuori dell’Unione Europea.
La nuova formulazione del co. 6 dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972 prevede l’obbligatoria esposizione in fattura dell’annotazione del regime fiscale applicabile alla fattispecie che ne forma oggetto:
·    operazione non soggetta, per le cessioni relative a beni in transito o depositati in luoghi sottoposti a vigilanza doganale, escluse dall’applicazione dell’Iva, a norma dell’art. 7-bis, co. 1, del D.P.R. n. 633/1972;
·    operazione non imponibile, per le esportazioni e fattispecie assimilate, servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali, cessioni a soggetti residenti o domiciliati al di fuori del territorio comunitario (artt. 8, 8-bis, 9 e 38-quater, del Decreto Iva);
·    operazione esente, con riferimento alle fattispecie di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972, ad eccezione di quelle indicate al n. 6) della medesima disposizione;
·    regime del margine – beni usati, regime del margine – oggetti d’arte, regime del margine – oggetti di antiquariato o collezione, a seconda dei casi di cui al D.L. n. 41/1995;
·    regime del margine – agenzie di viaggio, per le operazioni soggette alla disciplina di cui all’art. 74-ter del D.P.R. n. 633/1972.
L’art. 21 del Decreto Iva è stato, inoltre, integrato con il co. 6-bis, che pone a carico dei soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato l’obbligo di emissione della fattura anche in relazione alle seguenti operazioni non rilevanti in Italia, ovvero non soggette ad Iva ai sensi degli artt. da 7 a 7-sepites:
a)     cessioni di beni e prestazioni di servizi – diverse da quelle finanziarie esenti di cui all’art. 10, nn. 1)-4) e 9), del D.P.R. n. 633/1972 – effettuate nei confronti di un soggetto passivo debitore dell’importa in un altro Stato comunitario. Al ricorrere di tale ipotesi, nella fattura – in luogo dell’ammontare dell’Iva – deve essere apposta la dicitura “inversione contabile”, con l’eventuale specificazione della disposizione di riferimento;
b)    cessioni di beni e prestazioni di servizi che si considerano effettuate al di fuori dell’Unione Europea. In tale caso, nel documento fiscale deve essere indicata l’annotazione “operazione non soggetta”, e l’eventuale fonte normativa.
È stato, infine, aggiunto il co. 6-ter dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972, per effetto del quale le fatture emesse dal cessionario o committente, in virtù di un obbligo proprio, devono riportare l’annotazione “autofatturazione”.
Nell’ambito delle novità Iva introdotte dall’art. 1 del D.L. n. 216/2012, ve n’è anche una riguardante l’emissione della fattura semplificata. È stato, infatti, inserito l’art. 21-bis del D.P.R. n. 633/1972, secondo cui è possibile avvalersi di tale agevolazione per la fattura di ammontare complessivo non superiore ad euro 100, oppure per la nota di variazione di cui al successivo art. 26. È, tuttavia, attribuito al Ministro dell’economia e delle finanze – a norma del co. 3 della nuova disposizione – il potere di ampliare l’ambito di operatività della facoltà di emissione della fattura semplificata, secondo due modalità distinte: l’aumento del limite massimo del corrispettivo complessivo, da euro 100 ad euro 400; l’esclusione di qualsiasi soglia, per le operazioni effettuate nell’ambito di specifici settori di attività, o da peculiari tipologie di soggetti, per i quali le pratiche commerciali od amministrative o le condizioni tecniche di emissione delle fatture rendono particolarmente difficoltoso il rispetto degli obblighi di cui agli artt. 13, co. 4, e 21, co. 2, del D.P.R. n. 633/1972.
Al ricorrere delle predette condizioni, è dunque possibile emettere la fattura in forma semplificata, riportando – in sostituzione dei dati identificativi del cessionario o committente stabilito in Italia – esclusivamente il codice fiscale o il numero di partita Iva dello stesso: qualora costui sia, invece, stabilito in un altro Stato comunitario, si può esporre il numero di identificazione Iva attribuito da tale Paese estero. È altresì previsto che nella fattura semplificata non è necessario indicare la base imponibile Iva, essendo sufficiente l’esposizione del corrispettivo complessivo e dell’imposta incorporata, ovvero dei dati che permettono di calcolarla: in altri termini, è possibile indicare soltanto il prezzo totale (Iva inclusa) e l’aliquota d’imposta applicata.
In ogni caso, l’emissione della fattura semplificata non è ammessa con riferimento alle cessioni intracomunitarie (art. 41 del D.L. n. 331/1993), né alle vendite di beni e prestazioni di servizi – diverse da quelle finanziarie esenti di cui all’art. 10, nn. 1)-4) e 9), del D.P.R. n. 633/1972 – effettuate nei confronti di un soggetto passivo debitore dell’imposta in un altro Stato comunitario (art. 21, co. 6-bis, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972).

martedì 18 dicembre 2012

Novità Iva dal 1° gennaio 2013: base imponibile, soggetti passivi e volume d’affari


di Michele BANA

L’art. 1 del D.L. n. 216/2012 (“Disposizioni urgenti volte a evitare l’applicazione di sanzioni dell’Unione Europea”), ha introdotto diverse novità normative riguardanti l’Iva, al fine di recepire il sistema comune dell’imposta, così come prospettato dalla Direttiva 2010/45/UE. Il legislatore ha, infatti, modificato – con effetto nei confronti delle operazioni che saranno effettuate dal 1° gennaio 2013 – il D.P.R. n. 633/1972 ed il D.L. n. 331/1993, con particolare riferimento alla disciplina della base imponibile, dei soggetti passivi e del volume d’affari – come meglio illustrato nel prosieguo – nonché della fatturazione e registrazione delle operazioni, che costituiranno oggetto di un successivo commento.
In primo luogo, l’art. 1, co. 2, lett. a), del D.L. n. 216/2012 ha riscritto l’art. 13, co. 4, del D.P.R. n. 633/1972 – cui ora rinvia, per le operazioni intracomunitarie, l’art. 43 del D.L. n. 331/1993 – in virtù del quale, ai fini della determinazione della base imponibile, i corrispettivi dovuti, le spese e gli oneri sostenuti in valuta estera sono computati secondo il cambio del giorno di effettuazione dell’operazione o –  nel caso di omessa indicazione nella fattura – del giorno di emissione della stessa. In mancanza, la quantificazione è eseguita sulla base della quotazione del giorno antecedente più prossimo. È, inoltre, stabilito che la conversione in euro, per tutte le operazioni effettuate nell’anno solare, può essere fatta in virtù del tasso di cambio pubblicato dalla Banca Centrale Europea: non è, pertanto, necessaria una specifica comunicazione all’Amministrazione Finanziaria.
Il Decreto “Salva infrazioni” ha, inoltre modificato la disciplina riguardante i soggetti passivi dell’Iva: nel co. 2 dell’art. 17 del D.P.R. n. 633/1972, è stato confermato il principio generale, secondo cui gli obblighi relativi alle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti, nei confronti di soggetti passivi ivi stabiliti, sono assolti dai cessionari o committenti. La novità è rappresentata dalla previsione che, nel caso di cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro dell’Unione Europea, il cessionario o committente adempie gli obblighi di fatturazione e registrazione di cui agli artt. 46 e 47 del D.L. n. 331/1993. Al successivo co. 5 del citato art. 17 del Decreto Iva, è stato altresì inserito l’obbligo di esposizione, nella fattura emessa dal cedente senza addebito dell’imposta, dell’annotazione “inversione contabile”, derubricando ad eventuale l’indicazione del riferimento normativo.
L’art. 1, co. 2, del D.L. n. 216/2012 ha, poi, rivisto il novero delle esclusioni dalla formazione del volume d’affari di cui all’art. 20, co. 1, primo periodo, del D.P.R. n. 633/1972: è stato ribadito l’esonero per i passaggi di beni tra attività separate (art. 36, co. 5, del Decreto Iva) e delle cessioni di beni ammortizzabili. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, è stato, tuttavia, aggiunto che devono intendersi esclusi anche i trasferimenti relativi alle voci B.I.3) e B.I.4) dello stato patrimoniale attivo  di cui all’art. 2424 c.c. (diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno, concessioni, licenze, marchi e diritti simili), in luogo della previgente formulazione che citava, invece, l’art. 2425, n. 3), del codice civile. È stata, invece, abrogata l’irrilevanza – introdotta dall’art. 1, co. 1, del D.Lgs. n. 18/2010 – delle prestazioni di servizi rese a soggetti stabiliti in un altro Stato membro della Comunità, non soggette all’imposta ai sensi dell’art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972. Tali operazioni non rilevano, però, ai fini dell’acquisizione dello status di esportatore abituale, in virtù della modifica apportata dal Decreto “Salva infrazioni” all’art. 1, co. 1, lett. a), del D.L. n. 746/1983. In altri termini, si tratta di una norma di favore per il prestatore, in quanto, in mancanza, l’inclusione nel volume d’affari di tali prestazioni avrebbe reso maggiormente difficoltoso il superamento della quota del 10% – rispetto al fatturato – delle operazioni con l’estero (cessioni intracomunitarie, esportazioni, ecc.) che attribuisce la qualifica di esportatore abituale, con la conseguente facoltà di acquistare senza l’applicazione dell’Iva.

lunedì 17 dicembre 2012

Agevolazione prima casa: aspetti generali

di Sandro CERATO

L’introduzione nel nostro ordinamento di un’agevolazione collegata all’acquisto della “prima casa” risale al 1982, e precisamente con la Legge 22.4.1982, n. 168, successivamente prorogata, innovata e sostituita da altri provvedimenti normativi.
Tecnicamente, i requisiti oggettivi e soggettivi per la fruizione di tale agevolazione sono contenuti nella nota II-bis, dell’art. 1, Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86. In aggiunta, nel corso degli anni la prassi e la giurisprudenza che è intervenuta in materia è stata copiosa e non sempre coerente, talchè a tutt’oggi la materia è oggetto di discussione, sia da parte della dottrina, sia da parte della giurisprudenza stessa.
Le agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa sono, come detto, disciplinate dalla nota II-bis dell’art. 1 della tariffa, parte I, allegata al DPR n. 131/86, e consistono nell’applicazione:
·    dell’IVA con aliquota pari al 4% ovvero dell’imposta di registro con aliquota pari al 3% (la riduzione dell’imposta di registro dal 4% al 3% si applica a decorrere dai trasferimenti effettuati a partire dal 1° gennaio 2000, per effetto di quanto stabilito dall’art. 7, co. 6, Legge 23.12.1999, n. 488);
·  delle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa (pari ad euro 168,00 per ciascuna imposta), in virtù dell’art. 10 co. 6 del D.L. 20.6.96 n. 323.
Per la fruizione dei suddetti benefici, è opportuno ricordare quanto è stato stabilito dalla Cassazione (sentenza 21.4.2009, n. 9383), secondo cui per poter beneficiare dell’aliquota Iva ridotta del 4%, l’immobile deve essere in regola con la normativa edilizia al momento della richiesta del beneficio, a nulla rilevando la successiva sanatoria edilizia. Pertanto, sostiene la Suprema Corte, non è possibile sospendere l’applicazione dell’aliquota agevolata finchè non venga sanata l’irregolarità edilizia riscontrata, poiché, per effetto del combinato disposto degli artt. 46 della Legge n. 47/1985, e 41-ter della Legge n. 1150/1942, “è il riconoscimento del beneficio fiscale dell’aliquota Iva agevolata, e non già il diritto dell’Ufficio a disconoscere tale beneficio per insussistenza dei presupposti richiesti dalle legge (….), a essere subordinato e/o condizionato all’effettivo rilascio di un provvedimento di sanatoria delle difformità edilizie ostative riscontrate”.
Come detto, l’agevolazione per l’acquisto della “prima casa” è necessariamente collegata alla presenza di un immobile abitativo, nonché alle relative pertinenze (pur con alcuni limiti, in quanto è possibile estendere l’agevolazione ad un massimo di tre pertinenze, purchè classificate in categoria C/2, C/6 e C/7).
Secondo quanto previsto nella C.M. 17.4.1981, n. 14, per casa di abitazione deve intendersi “ogni costruzione destinata a dimora delle persone e delle loro famiglie, cioè strutturalmente idonea ad essere utilizzata ad alloggio stabile di singole persone o di nuclei familiari, a nulla rilevando la circostanza che la stessa sia abitata in via permanente o saltuaria”.
L’individuazione pratica degli immobili ad uso abitativo è alquanto agevole, in quanto, come precisato da ultimo nella C.M. 4.8.2006, n. 27/E, in tale categoria rientrano i fabbricati classificati o classificabili nella categoria “A”, con esclusione di quelli classificati nella categoria “A/10”.
E’ importante ricordare che, ai fini Iva, a differenza di quanto previsto per le imposte sui redditi, non rileva l’utilizzo effettivo dell’immobile, in quanto ciò che rileva è la classificazione catastale dello stesso. Pertanto, ad esempio, se un immobile di categoria “A/3” è utilizzato effettivamente per lo svolgimento di un’attività d’impresa (sede legale o amministrativa di una società), ovvero di carattere professionale (studio), ai fini Iva tale immobile è comunque di tipo abitativo. Tale aspetto riveste una certa importanza, soprattutto per quanto riguarda il trattamento Iva della cessione di tale immobile.
La categoria di immobili cui il legislatore ha riservato l’applicazione dei benefici “prima casa” è costituita dalle case di abitazione “non di lusso”, per la cui definizione è necessario rifarsi al contenuto del D.M. 2.8.1969. Tale decreto è strutturato come segue:
·   gli artt. da 1 a 7 contengono delle caratteristiche, verificate le quali l’abitazione si considera “di lusso”, con conseguente esclusione dall’applicazione dei benefici fiscali;
·    l’art. 8, di natura residuale, prevede che l’immobile abitativo si considera “di lusso” qualora siano verificate oltre quattro caratteristiche di cui alla tabella allegata al decreto.
In buona sostanza, mentre per i primi sette articoli, è sufficiente la verifica del contenuto dello stesso articolo per verificare la natura dell’abitazione, l’ultima disposizione richiede una verifica più complessa, in quanto devono sussistere almeno cinque caratteristiche illustrate nella tabella allagata affinchè l’abitazione possa essere considerata “di lusso”.
Relativamente alle modalità di verifica delle condizioni previste dal D.M. 2.8.1969, la C.M. 12.8.2005, n. 38/E, ha precisato che si possono rilevare sia dal contenuto dell’atto (la descrizione dell’immobile, ad esempio), sia dalla documentazione allegata all’atto stesso (certificazione catastale, concessione edilizia, ecc.).

domenica 16 dicembre 2012

Trasformazione in società di persone, profili civilistici ed effetti fiscali


di Michele BANA

L’art. 2500-sexies c.c. stabilisce che, salva una diversa disposizione dello statuto, la deliberazione di trasformazione di società di capitali in società di persone è adottata con le maggioranze previste per le modifiche dello statuto, ovvero il voto favorevole di un numero di soci rappresentanti più della metà del capitale sociale (art. 2368, co. 2, c.c.). È comunque richiesto il consenso dei soci che con la trasformazione assumono la responsabilità illimitata.
Gli amministratori devono predisporre una relazione che illustri le motivazioni e gli effetti della trasformazione: una copia della stessa deve restare depositata presso la sede sociale durante i 30 giorni che precedono l'assemblea convocata per deliberare la trasformazione, al fine di consentire ai soci di prenderne visione e di ottenerne gratuitamente copia. Trattandosi di un documento “interno” ai soci, si ritiene che gli stessi possano rinunciare al predetto termine, nonché alla relazione stessa.
Ciascun socio ha diritto all'assegnazione di una partecipazione proporzionale al valore della sua quota o delle sue azioni: i soci che con la trasformazione assumono responsabilità illimitata rispondono, nei medesimi termini, anche per le obbligazioni sociali sorte anteriormente alla trasformazione.
Ai fini delle imposte dirette, l’art. 170, co. 1, del D.P.R. n. 917/1986 stabilisce che la trasformazione della società non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento (c.d. principio di neutralità fiscale): l’esecuzione dell’operazione straordinaria garantisce, pertanto, la continuità nei valori tributari, indipendentemente dal fatto che vi siano plusvalenze o minusvalenze civilistiche. In senso conforme, si era già espressa la R.M. n. 9/2715/1980, che aveva riconosciuto il doppio binario nel caso di svalutazione dei cespiti. Il recepimento in contabilità dei valori di perizia comporta che l’eventuale plusvalenza iscritta non concorre a formare il reddito d’impresa della società trasformata, e la vendita di cespiti comporta il conteggio di plusvalenze fiscali diverse da quelle civilistiche: le differenze tra valori civili e fiscali formeranno oggetto di variazioni in aumento o in diminuzione nella dichiarazione dei redditi.
Atteso che la trasformazione comporta il passaggio da un regime fiscale Ires ad uno sostanzialmente differente, ovvero quello Irpef fondato sul principio di trasparenza (art. 5 del Tuir), è necessario determinare il reddito da assoggettare all’imposta sul reddito delle società, maturato tra la data di inizio del periodo d’imposta e quella di effetto della trasformazione – coincidente con quella di assolvimento dell’ultimo adempimento pubblicitario di cui all’art. 2500 c.c. – sulla base delle risultanze di un apposito conto economico, applicando i criteri di riferimento del periodo ante-trasformazione. La corrispondente dichiarazione dei redditi deve essere presentata, in via telematica, entro l’ultimo giorno del nono mese successivo alla data di effetto dell’operazione, ai sensi dell’art. 5-bis, co. 1, del D.P.R. n. 322/1998. Si rammenta che, a norma del co. 2 dell’art. 170 del Tuir, i medesimi principi operano nel caso di trasformazione omogenea progressiva, ovvero da società di persone in società di capitali: diversamente, nel caso di trasformazione all’interno della medesima categoria di società (ad esempio, da s.a.s. a s.n.c., o da s.p.a. a s.r.l.), non è necessaria la dichiarazione dei redditi intermedia, in quanto il regime fiscale applicabile – così come il contribuente, che ha semplicemente mutato la propria forma giuridica – è sempre lo stesso, nonostante l’intervenuta trasformazione.
Le riserve costituite prima della trasformazione – ad esclusione di quelle di cui all’art. 47, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986 – sono imputate ai soci, a norma dell'art 5 del Tuir, nel periodo di imposta in cui vengono distribuite o utilizzate per scopi diversi dalla copertura di perdite d'esercizio, se dopo la trasformazione sono state iscritte in bilancio con l’indicazione della loro origine. Diversamente, l’effetto impositivo si verifica già nel periodo di imposta successivo alla trasformazione, secondo le regole di tassazione delle distribuzione delle riserve dei soggetti passivi Ires, ovvero in base alla disciplina dei dividendi.
Si segnala, infine, che la trasformazione è esclusa dal campo di applicazione dell’Iva (art. 2, co. 3, lett. f), del D.P.R. n. 633/1972), e sconta l’imposta di registro nella misura fissa di euro 168.

giovedì 13 dicembre 2012

Iva per cassa, detrazione dell’imposta ed altri adempimenti


di Michele BANA

La liquidazione dell’Iva per cassa di cui all’art. 32-bis del D.L. n. 83/2012 non si applica soltanto alle operazioni attive, come illustrato in un precedente commento, ma anche a quelle passive, con espressa esclusione di quelle soggette a reverse charge, degli acquisti intracomunitari, delle importazioni di beni e delle estrazioni dai depositi fiscali. Conseguentemente, l’imposta su tutti gli acquisti effettuati dal soggetto in Iva per cassa diviene detraibile dopo il pagamento del relativo corrispettivo (o del decorso di un anno dall’effettuazione dell’operazione) – alle condizioni esistenti al momento in cui l’imposta diviene esigibile per il fornitore del contribuente ex art. 32-bis del D.L. n. 83/2012 – a prescindere dal fatto che costui effettui operazioni attive escluse dall’Iva per cassa: in altri termini, non è contemplata la possibilità di utilizzare un coefficiente di ponderazione della detrazione dell’Iva per cassa in base all’ammontare delle cessioni di beni e prestazioni di servizi che danno luogo all’imposta esigibile in base al medesimo criterio.
La detrazione dell’Iva di cui all’art. 19 del D.P.R. n. 633/1972, ordinariamente esercitabile al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui è sorto il diritto alla detrazione, deve, pertanto, ritenersi invocabile – da parte del contribuente che ha optato per l’Iva di cassa – sino alla dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui, alternativamente:
·    è stato pagato il corrispettivo;
·    è decorso un anno dall’effettuazione dell’acquisto.
Ad esempio, nel caso di un acquisto effettuato il 7 gennaio 2013, con pagamento del corrispettivo il 5 giugno 2013, la detrazione dell’Iva può essere esercitata sino alla dichiarazione relativa all’anno 2015: diversamente, se il corrispettivo non è pagato, l’imposta diventa esigibile il 7 gennaio 2014, con l’effetto che la detrazione potrà essere esercitata, al più tardi, con la dichiarazione Iva dell’anno 2016.
L’Agenzia delle Entrate, con la C.M. n. 44/E/2012, ha ricordato che il regime dell’Iva per cassa incide sul momento in cui l’imposta diviene esigibile, ma non riguarda gli altri incombenti procedurali. Resta fermo, pertanto, l’obbligo di emettere fattura secondo le modalità e nei termini disciplinati dall’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972 (apponendo, però, l’apposita dicitura), e di procedere alla registrazione della stessa, avendo presente che l’imponibile indicato, ancorchè l’Iva non sia immediatamente esigibile, rileva – come già precisato dal D.M. 11 ottobre 2012 – anche ai fini della determinazione del volume d’affari nell’anno di effettuazione dell’operazione. In altre parole, l’applicazione dell’art. 20 del D.P.R. n. 633/1972 rimane ancorata ai principi generali di cui al precedente art. 6, a prescindere dalla circostanza che il contribuente abbia optato per il regime dell’Iva per cassa. Il medesimo criterio opera, quindi, pure per il computo della percentuale di detrazione dell’imposta di cui all’art. 19-bis del D.P.R. n. 633/1972, anch’esso da ritenersi fondato sul principio di effettuazione delle operazioni, e non di manifestazione monetaria delle stesse.
Per quanto riguarda la liquidazione dell’imposta, il periodo di riferimento del cedente/prestatore è il mese o trimestre di incasso delle fatture emesse, oppure quello di avvenuto decorso del termine di un anno dall’effettuazione dell’operazione (salvo il caso di assoggettamento del cessionario/committente, prima di tale scadenza, ad una procedura concorsuale): l’Iva sulle fatture passive potrà essere detratta a partire dal momento di effettivo pagamento del corrispettivo, oppure di scadenza del termine di un anno dall’effettuazione dell’operazione, non oltre la dichiarazione del secondo anno consecutivo a quello in cui è sorto tale diritto. Nel caso di riscossione/pagamento parziale, l’imposta diviene naturalmente esigibile/detraibile limitatamente alla quota di corrispettivo per la quale è intervenuta la movimentazione monetaria: al fine di individuare il momento del pagamento non effettuato mediante contanti, il cedente/prestatore deve considerare le risultanze dei propri conti dai quali è desumibile l’accreditamento del corrispettivo (ad esempio, assegni bancari, Ri.Ba., Rid o bonifico bancario).
Il cessionario/committente è tenuto a numerare la fattura emessa dal cedente/prestatore, ed annotarla nel registro degli acquisti, ai fini della detrazione dell’Iva esposta in tale documento, che – come anticipato – sorge già dal momento di effettuazione dell’operazione, salvo il caso in cui il cliente abbia esso stesso optato per l’applicazione dell’Iva di cassa: al ricorrere di tale ipotesi, il cessionario/committente maturerà il diritto alla detrazione soltanto dopo aver pagato il corrispettivo al proprio cedente/prestatore.
Per quanto concerne, infine, il versamento dell’acconto Iva in scadenza al 27 dicembre 2012, si osservi che l’esercizio dell’opzione per l’Iva di cassa già con riferimento alle operazioni effettuate al 1° dicembre 2012 potrebbe consentire un risparmio, qualora l’acconto venga determinato in base al c.d. metodo della pre-liquidazione, fondato sulla somma algebrica dell’Iva esigibile ed Iva detraibile relativa alle operazioni registrate nel periodo 1° dicembre 2012 – 20 dicembre 2012 (contribuenti mensili) o 1° ottobre 2012 – 20 dicembre 2012 (contribuenti trimestrali). Diversamente, l’adesione all’Iva per cassa nel 2012 è ininfluente sul calcolo dell’acconto in base al c.d. metodo storico, in quanto pari all’88% dell’imposta dovuta per l’anno precedente e, pertanto, non inciso dalla parte di Iva “sospesa” per effetto dell’adesione del regime di cui all’art. 32-bis del D.L. n. 83/2012.

mercoledì 12 dicembre 2012

Trasformazione in società di capitali, profili civilistici


di Michele BANA

L’art. 2498 c.c. stabilisce che, con la trasformazione, la società trasformata conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti, anche processuali, dell’ente che ha effettuato la trasformazione: l’atto non è suscettibile di trascrizione nella conservatoria dei registri immobiliari in quanto non comporta alcun effetto circolatorio per il patrimonio immobiliare della società trasformata (Cass. n. 11180/1997). La trasformazione costituisce, infatti, uno strumento giuridico al quale i soci possono ricorrere per modificare la struttura organizzativa utilizzata dalla società nello svolgimento della propria attività commerciale, rendendola più aderente alle nuove esigenze imprenditoriali, attraverso una semplice modificazione dell'atto costitutivo (R.M. n. 60/E/2005).
La trasformazione della società può essere eseguita anche in pendenza di una procedura concorsuale, purchè non sia incompatibile con le finalità della stessa (art. 2499 c.c.).
Le trasformazioni da un ente commerciale ad una società del medesimo tipo si definiscono “omogenee”, potendo assumere la forma progressiva (da società di persone ad una di capitali) o regressiva (da società di capitali ad una di persone). La prima è disciplinata dall’art. 2500 c.c. – la seconda sarà esaminata in un successivo commento – in virtù del quale la trasformazione in s.p.a., s.a.p.a. o s.r.l. deve risultare da atto pubblico, contenente le indicazioni previste dalla legge per l’atto di costituzione del tipo adottato. L’atto di trasformazione è soggetto alla disciplina prevista per il tipo adottato ed alle forme di pubblicità relative, nonché alla pubblicità richiesta per la cessazione dell’ente che effettua la trasformazione: l’operazione straordinaria ha effetto dall’ultimo dei predetti adempimenti pubblicitari. Salvo diversa disposizione del contratto sociale, la trasformazione di società di persone in società di capitali è decisa con il consenso della maggioranza dei soci determinata secondo la parte attribuita a ciascuno negli utili; in ogni caso, al socio che non ha concorso alla decisione spetta il diritto di recesso (art. 2500-ter c.c.).
Il capitale della società risultante dalla trasformazione deve essere determinato sulla base dei valori attuali degli elementi dell’attivo e del passivo, e deve risultare da una relazione di stima redatta a norma dell’art. 2343 c.c. o, nel caso di società a responsabilità limitata, dell’art. 2465 c.c.: si applicano altresì, nel caso di s.p.a. e s.a.p.a., l’art. 2343, co. 2, 3 e – in quanto compatibile – 4, del codice civile. Non sussiste alcun obbligo di legge di imputare a capitale della società trasformata il patrimonio netto della società di persone eccedente il capitale preesistente, quale risultante dalla perizia di stima ex art. 2500-ter c.c. (Notai del Triveneto, settembre 2005).
Ciascun socio ha diritto all’assegnazione di un numero di azioni o di una quota proporzionale alla sua partecipazione: al socio d’opera spetta l’attribuzione di un numero di azioni o di una quota in misura corrispondente alla partecipazione che l’atto costitutivo gli riconosceva precedentemente alla trasformazione o, in mancanza, d’accordo tra i soci ovvero, in difetto di accordo, determinata dal giudice secondo equità.
La trasformazione non libera i soci dalla responsabilità illimitata per le obbligazioni sorte prima dell’esecuzione dei predetti adempimenti pubblicitari relativi all’atto di trasformazione, se non risulta che i creditori sociali hanno dato il loro consenso alla trasformazione. Quest’ultimo si presume se costoro, ai quali la deliberazione di trasformazione sia stata comunicata per raccomandata o con altri mezzi che garantiscano la prova dell'avvenuto ricevimento, non lo hanno espressamente negato nel termine di 60 giorni dal ricevimento della comunicazione.

martedì 11 dicembre 2012

Iva per cassa, fatturazione ed esigibilità dell’imposta


di Michele BANA

L’esercizio dell’opzione per la nuova Iva per cassa comporta, in capo al cedente/prestatore che vi ha aderito, l’obbligo di emettere le fatture attive con la dicitura “Operazione con Iva ad esigibilità differita, ai sensi dell’art. 32-bis del D.L. n. 83/2012”. In mancanza, non ricorre più – a dispetto del previgente regime di cui all’art. 7 del D.L. n. 185/2008 – una causa di inefficacia, bensì una mera violazione formale, in quanto il comportamento concludente del contribuente è comunque “altrimenti riscontrabile” (C.M. n. 44/E/2012, par. 6.1). Tale differenziazione trova giustificazione nell’indifferenza del regime nei confronti del cessionario/committente del soggetto passivo in Iva per cassa, il quale – rispetto al passato – non detrae l’Iva dopo aver pagato il corrispettivo, ma continua, invece, ad applicare il principio generale di detraibilità dell’imposta in base al momento di effettuazione dell’operazione (salvo che esso stesso abbia optato per l’Iva per cassa). La circostanza in parola aveva indotto alcuni commentatori a sostenere la possibilità di evitare l’apposizione della predetta annotazione in fattura, facendo leva sul fatto che il cessionario/committente non ha più alcun interesse a sapere che la fattispecie è soggetta ad Iva per cassa: tale tesi non è, tuttavia, condivisa dall’Agenzia delle Entrate, in quanto la dicitura in parola non serve tanto a costui quanto al cedente/prestatore, il quale – in sede di liquidazione dell’imposta – si trova a dover distinguere le operazioni soggetta ad Iva per cassa da quelle disciplinate da regimi differenti (ordinario od altri).
L’Iva esposta nelle predette fatture, correttamente annotate, diviene esigibile per effetto della riscossione del corrispettivo e, in ogni caso, dopo il decorso di un anno dal momento di effettuazione dell’operazione, individuato a norma dell’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972, a nulla rilevando, ad esempio, la circostanza che sia stata successivamente emessa una fattura differita di cessione, bensì la data di consegna o spedizione dei beni, desumibile dal documento di trasporto. Il decorso del predetto termine di un anno si sospende, tuttavia, se – prima della scadenza dello stesso – il cessionario/committente è stato assoggettato ad una procedura concorsuale: a differenza di quanto previsto dalla previgente Iva per cassa (art. 7 del D.L. n. 185/2008), non rileva, invece, più la circostanza che costui sia interessato da un’azione esecutiva. Per quanto concerne l’individuazione della “procedura concorsuale”, la C.M. n. 44/E/2012 ha confermato il riferimento agli istituti già considerati dalla C.M. n. 20/E/2009 (amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, concordato preventivo, fallimento e liquidazione coatta amministrativa): ai fini della sospensione in commento, non rileva, pertanto, la circostanza che il cessionario/committente abbia concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis del R.D. n. 267/1942, ancorchè sia ricompreso nella norma del reddito d’impresa (art. 101, co. 5, del Tuir) in cui sono contenute le citate procedure concorsuali. Sul punto, la C.M. n. 44/E/2012 ha precisato che, per effetto dell’apertura di una delle predette procedure concorsuali, l’esigibilità dell’Iva è sospesa a beneficio di tutti i cedenti/prestatori che abbiano emesso fatture con Iva per cassa, sino all’effettivo incasso del corrispettivo, momento in cui l’imposta diviene esigibile limitatamente all’ammontare di quest’ultimo. In caso di revoca della procedura concorsuale, è stato riproposto il medesimo orientamento della C.M. n. 20/E/2009: l’Iva diviene comunque esigibile, e deve essere computata nella prima liquidazione successiva alla data di revoca, salvo che non sia ancora decorso un anno dalla data di effettuazione dell’operazione, nel qual caso è necessario attendere la scadenza di tale termine.
La nota di variazione in aumento, emessa – ai sensi dell’art. 26, co. 1, del D.P.R. n. 633/1972 – prima del decorso del predetto termine di un anno dal momento di effettuazione dell’operazione, comporta che la predetta scadenza sia computata, anche per il nuovo ammontare e relativa imposta, dalla data di effettuazione originaria della fattispecie. Le variazioni in diminuzione che intervengono prima che l’Iva diventi esigibile rettificano direttamente quest’ultima: diversamente, quelle sopravvenute possono essere computate nella prima liquidazione utile.

lunedì 10 dicembre 2012

Cessazione di un amministratore della s.r.l. e decadenza dell’intero organo di gestione

di Michele BANA

La disciplina civilistica delle società a responsabilità limitata non contiene una specifica disposizione in materia di durata in carica, rieleggibilità, cessazione e sostituzione degli amministratori: è, pertanto, necessario fare affidamento alle eventuali disposizioni dell’atto costitutivo, ovvero all'applicazione analogica di altre norme codicistiche. Non essendo stata prevista alcuna limitazione legale, a differenza delle s.p.a., l’atto costitutivo della s.r.l. può adottare soluzioni differenti:
  • determinare una durata massima, anche superando il limite di 3 anni imposto alle s.p.a. (Cass. n. 9482/1999);
  • non stabilire una durata, oppure fissarla a tempo indeterminato (Cass. n. 3312/2000). Al ricorrere di quest’ultima ipotesi, l’incarico dell’amministratore potrà interrompersi esclusivamente nei casi di dimissioni, revoca, morte oppure decorso del termine di durata della società.
Nel caso in cui si verifichi un motivo (revoca, dimissioni, decadenza o morte) di cessazione dall’incarico di un singolo amministratore, può determinarsi la decadenza dell’intero consiglio di amministrazione, qualora nell’atto costitutivo sia stata inserita la clasuola “simul stabunt simul cadent”: tale disposizione può, tuttavia, essere prevista in forme più attenuate, come nel caso in cui la decadenza dell’organo di gestione richieda la cessazione della propria maggioranza (Cass. n. 2197/1990, e 8551/1987) oppure di una minoranza qualificata (Trib. Milano 6 aprile 1995, e 22 dicembre 1989).
Nelle s.r.l., la previsione di tale disposizione statutaria comporta, inoltre, l’applicabilità delle norme dettate al riguardo per le società per azioni, anche nel caso in cui la forma di amministrazione prescelta sia quella dell’amministrazione congiuntiva o disgiuntiva. Conseguentemente, il verificarsi dell’evento della cessazione, costituente causa di decadenza dell’intero organo, comporta effetti differenti, a seconda che sussistano o meno due presupposti:
  • la presenza del collegio sindacale;
  • la previsione di una disposizione statutaria di applicabilità dell’art. 2386, co. 5, c.c., secondo cui “se vengono a cessare l’amministratore unico o tutti gli amministratori, l’assemblea per la nomina dell’amministratore o dell’intero consiglio deve essere convocata d’urgenza dal collegio sindacale, il quale può compiere nel frattempo gli atti di ordinaria amministrazione”.
In presenza dei predetti presupposti, la cessazione di tutti gli amministratori è immediatamente efficace, in mancanza:
  • gli amministratori non rinuncianti rimangono in carica, fino alla ricostituzione dell’organo di gestione; 
  • gli amministratori rinuncianti cessano immediatamente, qualora rimanga in carica la maggioranza dell’organo di gestione. Le cessazioni successive sono, invece, efficaci dal momento in cui l’organo amministrativo è ricostituito; 
  • gli amministratori rimasti in carica hanno l’obbligo di convocare l’assemblea per la nomina del nuovo organo di gestione.
La cessazione degli amministratori, a prescindere dalla relativa causa, deve essere comunicata al Registro delle imprese, a norma dell’art. 2385, co. 3, c.c., applicabile, in via analogica, anche alle società a responsabilità limitata: in mancanza, provvede d’ufficio la Camera di Commercio.
Salvo che sia espressamente previsto da una disposizione statutaria, sussistono dubbi in merito all’applicazione analogica dell’art. 2386 c.c., in virtù del quale – se nel corso dell’esercizio vengono a mancare uno o più amministratori – gli altri provvedono a sostituirli con deliberazione approvata dal collegio sindacale, purchè la maggioranza sia sempre costituita da amministratori nominati dall’assemblea (c.d. cooptazione). Gli amministratori così nominati rimangono in carica fino alla prossima assemblea. Diversamente, qualora venga, invece, meno la maggioranza degli amministratori, quelli rimasti in carica devono convocare l’assemblea per la sostituzione dei mancanti: i nuovi amministratori scadono con quelli rimasti in carica.