lunedì 7 gennaio 2013

Avviso a tutti i lettori e colleghi

A partire dal giorno 8 gennaio 2013, il servizio di aggiormanento di "Notizie Fiscali" è trasferito nel nostro nuovo sito Internet: http://www.notiziefiscali.it/
Vi attendiamo numerosi!

Sandro Cerato e Michele Bana

domenica 6 gennaio 2013

Fusioni più semplici con il consenso unanime dei soci


di Michele BANA

L’art. 1 del D.Lgs. n. 123/2012, entrato in vigore lo scorso 18 agosto, ha reso meno complesso il procedimento civilistico di fusione, ampliando il novero dell’ipotesi in cui i titolari di azioni o quote del capitale sociale delle partecipanti al progetto aggregativo possono rinunciare, all’unanimità, alla predisposizione di particolari documenti. È stato, ad esempio, integrato l’art. 2501-quater, co. 3, c.c., ricomprendendo tra gli atti rinunciabili anche la situazione patrimoniale di fusione: analoga rettifica, è stata inserita nell’art. 2501-quinquies, co. 4, c.c., relativo alla relazione dell’organo amministrativo, prevedendo, quindi, una facoltà già contemplata dall’art. 2501-sexues, co. 8, c.c., per la relazione degli esperti. La medesima possibilità è riconosciuta con riferimento ad alcuni termini specifici previsti dalla disciplina civilistica, come quello del decorso di almeno 30 giorni tra la data di iscrizione del progetto di fusione presso il registro delle imprese, o di pubblicazione sul sito Internet aziendale, e quella fissata per la decisione dei soci in merito allo stesso (art. 2501-ter, co. 4, c.c.): a questo proposito, si osservi l’ulteriore novità introdotta dal D.Lgs. n. 123/2012 che ammette – con riferimento al progetto di fusione, in alternativo al deposito del registro delle imprese – la pubblicazione sul sito Internet delle società partecipanti all’operazione. A tale fine, è, tuttavia, necessario che tale adempimento sia assolto con modalità atte a garantire la sicurezza del sito stesso, l’autenticità dei documenti e la certezza della data di pubblicazione Sul punto, in mancanza di specifiche indicazioni da parte della norma, alcune soluzioni adottabili dalle società per beneficiare della predetta semplificazione sono state individuate dall’Assonime, nel Caso n. 7/2012: indicare nel registro delle imprese il sito Internet istituzionale in cui sarà pubblicato il documento; pubblicare nel sito un documento sottoscritto con una firma digitale, attraverso un certificato riferibile alla società; eseguire una copia autentica della pagina web, che garantisce la data certa della pubblicazione, oppure far attestare dal collegio sindacale la data di pubblicazione. Nel caso delle società quotate, il particolare regime di diffusione, stoccaggio e deposito delle informazioni regolamentate (tra cui il progetto di fusione) imposto dal regolamento emittenti è, invece, ritenuto idoneo a soddisfare il requisito di certezza della data di pubblicazione. Il consenso unanime dei soci consente, inoltre, di rinunciare al termine di 30 giorni precedenti l’assemblea fissata per la decisione dei soci in merito alla fusione, riguardante il deposito presso la sede delle società partecipanti – o la pubblicazione sul sito Internet delle stesse – di alcuni atti dell’operazione di fusione (art. 2501-septies, co. 1, c.c.): il progetto, la relazione degli amministratori e degli esperti, i bilanci degli ultimi tre esercizi e le situazioni patrimoniali di riferimento.
Rimane, inoltre, fermo il principio secondo cui i predetti termini di 30 giorni, così come quello di 60 giorni per l’esecuzione della fusione (art. 2503, co. 1, c.c.), sono ridotti della metà, nel caso in cui alla fusione non partecipino società il cui capitale sia formato da azioni (art. 2505-quater c.c.), ovvero s.p.a., s.a.p.a. o società cooperative per azioni. In altre parole, qualora la fusione sia realizzata esclusivamente tra s.r.l., non trovano applicazione i termini ordinari, bensì quelli dimezzati.
Al di fuori delle predetti ipotesi di rinunciabilità, è stata altresì introdotta la facoltà di presentazione, da parte delle società quotate, di un documento alternativo alla situazione patrimoniale: la relazione finanziaria semestrale prevista dalle leggi speciali, purchè non riferita ad una data antecedente  sei mesi dal giorno di deposito o pubblicazione del progetto di fusione.
L’art. 1, co. 3, del D.Lgs. n. 123/2012 ha, inoltre, modificato l’art. 2501-quinquies c.c., inserendo, tra l’altro, il co. 2, per effetto del quale l’organo amministrativo è tenuto a segnalare ai soci in assemblea, nonché all’organo amministrativo delle altre società partecipanti alla fusione, le modifiche rilevanti degli elementi dell’attivo e del passivo eventualmente intervenute tra la data di deposito presso la sede delle società partecipanti alla fusione – o pubblicazione sul sito Internet delle stesse – e quella di decisione sulla fusione.
Il legislatore è, infine, intervenuto sul diritto dei soci di prendere visione dei documenti della fusione, ed ottenerne gratuitamente copia: in particolare, l’art. 1, co. 5, lett. d), del D.Lgs. n. 123/2012 ha inserito il principio secondo cui il socio può richiedere che le copie gli siano trasmesse telematicamente, riconoscendo, però, alla società l’esonero dalla produzione di tali atti, qualora siano pubblicati sul proprio sito Internet, con possibilità di libera effettuazione di copia o stampa degli stessi.

sabato 22 dicembre 2012

Avviso a tutti i lettori e colleghi

Il servizio di aggiormanento di "Notizie Fiscali" rimarrà sospeso sino al 6 gennaio 2013.
L'occasione ci è gradita per ringraziare del crescente seguito che ci state riservando, e formulare i nostri migliori Auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo, con l'auspicio che possa essere ricco di soddisfazioni personali e professionali.


Sandro Cerato e Michele Bana

giovedì 20 dicembre 2012

Novità Iva anche per le operazioni Ue


di Michele BANA

L’art. 1 del D.L. n. 216/2012 è intervenuto pure sulla disciplina comunitaria delle cessioni e degli acquisti, riformulando l’art. 39 del D.L. n. 331/1993, con l’intento di ossequiare le disposizioni europee secondo cui l’acquisto intracomunitario di beni si considera effettuato nel momento in cui si ritiene eseguita un’analoga cessione interna: in particolare, è stato stabilito, al co. 1 della novellata norma, che il momento di effettuazione sia della cessione che dell’acquisto intracomunitario di beni coincide con la data di consegna o spedizione degli stessi a partire dallo Stato membro di provenienza. È stato, inoltre, modificato il successivo co. 2, per tenere conto dell’abrogazione – operata dalla Direttiva 2010/45/UE – dell’obbligo di emissione della fattura per gli acconti incassati in relazione ad una cessione intracomunitaria. Nel rispetto di tale fonte comunitaria, che ha imposto agli Stati membri di consentire – con riferimento alle cessioni di beni e prestazioni di servizi intracomunitarie – l’emissione della fattura entro il 15 mese successivo, è stato altresì modificato, per le cessioni intracomunitarie di beni, l’art. 46, co. 2, secondo periodo, del D.L. n. 331/1993, analogamente a quanto stabilito dalla disciplina interna per le prestazioni di servizi intracomunitarie (art. 21, co. 4, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972). È stato anche riformulato il successivo co. 5 dell’art. 46 del D.L. n. 331/1993, riguardante il caso del cessionario di un acquisto intracomunitario di cui al precedente art. 38, co. 2 e 3, lett. b), che non ha ricevuto la relativa fattura entro il secondo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione: costui deve procedere all’emissione della stessa – in un unico esemplare – non oltre il 15 del terzo mese successivo a quello del predetto momento di effettuazione dell’operazione. Diversamente, qualora la fattura sia stata effettivamente ricevuta, ma risulta emessa per un corrispettivo inferiore a quello reale, il cessionario deve emettere una fattura integrativa entro il 15 del mese successivo alla registrazione della fattura originaria.
Il riferimento al “giorno 15 del mese successivo” è stato inserito anche nel co. 1 dell’art. 47 del D.L. n. 331/1993, per la distinta annotazione – rispetto alla data di ricezione, e con riguardo al mese precedente, nel registro dei documenti emessi (art. 23 del D.P.R. n. 633/1972) – delle fatture relative agli acquisti intracomunitari di cui al precedente art. 38, co. 2 e 3, lett. b), previa integrazione, a norma dell’art. 46, co. 1. Fermo restando che, ai fini della detrazione dell’Iva, tali fatture devono essere annotate distintamente anche nel registro degli acquisti. Qualora le suddette fatture siano ricevute da uno degli enti di cui all’art. 4, co. 4, del D.P.R. n. 633/1972, non soggetti passivi d’imposta, devono essere annotate da costoro – previa loro progressiva numerazione – entro i medesimi termini di cui sopra, in un apposito registro, tenuto e conservato a norma dell’art. 39 del Decreto Iva (art. 47, co. 3, del D.L. n. 331/1993). Nel caso in cui, al di fuori di tale ipotesi, i soggetti in parola abbiano effettuato acquisti intracomunitari per i quali è dovuta l’imposta, sono tenuti altresì a presentare – in via telematica, ed entro ciascun mese – una dichiarazione relativa agli acquisti registrati con riferimento al secondo mese precedente, redatta in conformità al modello approvato con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate (art. 49, co. 1, del D.L. n. 331/1993).
È stato, infine, sostituito il co. 4 dell’art. 47 del D.L. n. 331/1993, per effetto del quale le fatture relative alle cessioni intracomunitarie sono annotate distintamente nel registro delle fatture emesse, secondo l’ordine della numerazione ed entro il termine di emissione, con riferimento al mese di effettuazione dell’operazione.

mercoledì 19 dicembre 2012

Fatturazione, cambiano le regole dal 1° gennaio 2013


di Michele BANA

Le principali novità introdotte, ai fini dell’imposta del valore aggiunto, dall’art. 1 del D.L. n. 216/2012 – applicabile alle operazioni che saranno effettuate dal prossimo 1° gennaio 2013 – riguardano le modalità ed i termini di fatturazione delle cessioni di beni e prestazioni di servizi. In particolare, il co. 2, lett. d) della disposizione ha sostituito integralmente i co. 1-6 dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972, stabilendo, in primo luogo, che per fattura elettronica s’intende quella emessa e ricevuta in qualunque formato elettronico, il cui valido ricorso è subordinato all’accettazione da parte del destinatario. È stato, inoltre, precisato che la fattura, cartacea od elettronica, si considera emessa – oltre che nei casi di consegna, spedizione o trasmissione – all’atto della messa a disposizione del cessionario o committente.
È stato altresì esteso il contenuto minimo della fattura, inserendo l’obbligo di fornire alcune ulteriori informazioni (art. 21, co. 2, del D.P.R. n. 633/1972), tra le quali il numero di partita Iva del cessionario o committente, ovvero – in caso di soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro dell’Unione Europea – il numero di identificazione Iva attribuito nel Paese di stabilimento: qualora il cessionario o committente, residente o domiciliato nel territorio dello Stato, non agisca nell’esercizio di impresa, arte o professione, deve essere indicato il codice fiscale dello stesso. È, inoltre, prevista l’indicazione dei corrispettivi, e non più del valore normale, degli altri beni – diversi da quelli di cui all’art. 15, co. 1, n. 2), del D.P.R. n. 633/1972 – ceduti a titolo di sconto, premio od abbuono.
La riformulazione del co. 3 dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972 riguarda, invece, la fattura elettronica: il soggetto passivo assicura, sino al termine del proprio periodo di conservazione, la leggibilità della fattura, nonché l’autenticità dell’origine e l’integrità del contenuto, mediante sistemi di controllo di gestione che assicurino un collegamento affidabile tra la fattura e la cessione dei beni o la prestazione dei servizi ad essa riferibile, oppure tramite l’apposizione della firma elettronica qualificata o digitale dell’emittente, o attraverso sistemi EDI di trasmissione elettronica dei dati o altre tecnologie in grado di garantire l’autenticità dell’origine e l’integrità dei dati. È stato, inoltre, stabilito, mediante la riformulazione dell’art. 39 del D.P.R. n. 633/1972, che le fatture elettroniche devono essere conservate in modalità elettronica, in conformità alle disposizioni del Decreto Ministeriale emanato ai sensi dell’art. 21, co. 5, del D.Lgs. n. 82/2005: possono essere conservate elettronicamente le fatture create in formato cartaceo ed elettronico, comprese quelle generate in formato elettronico, ma che non possono definirsi fatture elettroniche a causa della mancata accettazione da parte del destinatario.
Il successivo co. 4 dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972 è stato rivisto nel senso di prevedere alcune deroghe al principio di emissione della fattura al momento dell’effettuazione dell’operazione, come nel caso delle cessioni di beni effettuate dal cessionario nei confronti di un soggetto terzo, per il tramite del proprio cedente: la fattura è emessa entro il mese successivo a quello della consegna o spedizione dei beni. È, invece, stabilito il termine del giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione per le prestazioni di servizi rese a soggetti passivi stabiliti in un altro Stato comunitario, non soggette all’imposta ai sensi dell’art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972, e per quelle di cui al precedente art. 6, co. 6, primo periodo, rese a o ricevute da un soggetto passivo stabilito al di fuori dell’Unione Europea.
La nuova formulazione del co. 6 dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972 prevede l’obbligatoria esposizione in fattura dell’annotazione del regime fiscale applicabile alla fattispecie che ne forma oggetto:
·    operazione non soggetta, per le cessioni relative a beni in transito o depositati in luoghi sottoposti a vigilanza doganale, escluse dall’applicazione dell’Iva, a norma dell’art. 7-bis, co. 1, del D.P.R. n. 633/1972;
·    operazione non imponibile, per le esportazioni e fattispecie assimilate, servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali, cessioni a soggetti residenti o domiciliati al di fuori del territorio comunitario (artt. 8, 8-bis, 9 e 38-quater, del Decreto Iva);
·    operazione esente, con riferimento alle fattispecie di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972, ad eccezione di quelle indicate al n. 6) della medesima disposizione;
·    regime del margine – beni usati, regime del margine – oggetti d’arte, regime del margine – oggetti di antiquariato o collezione, a seconda dei casi di cui al D.L. n. 41/1995;
·    regime del margine – agenzie di viaggio, per le operazioni soggette alla disciplina di cui all’art. 74-ter del D.P.R. n. 633/1972.
L’art. 21 del Decreto Iva è stato, inoltre, integrato con il co. 6-bis, che pone a carico dei soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato l’obbligo di emissione della fattura anche in relazione alle seguenti operazioni non rilevanti in Italia, ovvero non soggette ad Iva ai sensi degli artt. da 7 a 7-sepites:
a)     cessioni di beni e prestazioni di servizi – diverse da quelle finanziarie esenti di cui all’art. 10, nn. 1)-4) e 9), del D.P.R. n. 633/1972 – effettuate nei confronti di un soggetto passivo debitore dell’importa in un altro Stato comunitario. Al ricorrere di tale ipotesi, nella fattura – in luogo dell’ammontare dell’Iva – deve essere apposta la dicitura “inversione contabile”, con l’eventuale specificazione della disposizione di riferimento;
b)    cessioni di beni e prestazioni di servizi che si considerano effettuate al di fuori dell’Unione Europea. In tale caso, nel documento fiscale deve essere indicata l’annotazione “operazione non soggetta”, e l’eventuale fonte normativa.
È stato, infine, aggiunto il co. 6-ter dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972, per effetto del quale le fatture emesse dal cessionario o committente, in virtù di un obbligo proprio, devono riportare l’annotazione “autofatturazione”.
Nell’ambito delle novità Iva introdotte dall’art. 1 del D.L. n. 216/2012, ve n’è anche una riguardante l’emissione della fattura semplificata. È stato, infatti, inserito l’art. 21-bis del D.P.R. n. 633/1972, secondo cui è possibile avvalersi di tale agevolazione per la fattura di ammontare complessivo non superiore ad euro 100, oppure per la nota di variazione di cui al successivo art. 26. È, tuttavia, attribuito al Ministro dell’economia e delle finanze – a norma del co. 3 della nuova disposizione – il potere di ampliare l’ambito di operatività della facoltà di emissione della fattura semplificata, secondo due modalità distinte: l’aumento del limite massimo del corrispettivo complessivo, da euro 100 ad euro 400; l’esclusione di qualsiasi soglia, per le operazioni effettuate nell’ambito di specifici settori di attività, o da peculiari tipologie di soggetti, per i quali le pratiche commerciali od amministrative o le condizioni tecniche di emissione delle fatture rendono particolarmente difficoltoso il rispetto degli obblighi di cui agli artt. 13, co. 4, e 21, co. 2, del D.P.R. n. 633/1972.
Al ricorrere delle predette condizioni, è dunque possibile emettere la fattura in forma semplificata, riportando – in sostituzione dei dati identificativi del cessionario o committente stabilito in Italia – esclusivamente il codice fiscale o il numero di partita Iva dello stesso: qualora costui sia, invece, stabilito in un altro Stato comunitario, si può esporre il numero di identificazione Iva attribuito da tale Paese estero. È altresì previsto che nella fattura semplificata non è necessario indicare la base imponibile Iva, essendo sufficiente l’esposizione del corrispettivo complessivo e dell’imposta incorporata, ovvero dei dati che permettono di calcolarla: in altri termini, è possibile indicare soltanto il prezzo totale (Iva inclusa) e l’aliquota d’imposta applicata.
In ogni caso, l’emissione della fattura semplificata non è ammessa con riferimento alle cessioni intracomunitarie (art. 41 del D.L. n. 331/1993), né alle vendite di beni e prestazioni di servizi – diverse da quelle finanziarie esenti di cui all’art. 10, nn. 1)-4) e 9), del D.P.R. n. 633/1972 – effettuate nei confronti di un soggetto passivo debitore dell’imposta in un altro Stato comunitario (art. 21, co. 6-bis, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972).

martedì 18 dicembre 2012

Novità Iva dal 1° gennaio 2013: base imponibile, soggetti passivi e volume d’affari


di Michele BANA

L’art. 1 del D.L. n. 216/2012 (“Disposizioni urgenti volte a evitare l’applicazione di sanzioni dell’Unione Europea”), ha introdotto diverse novità normative riguardanti l’Iva, al fine di recepire il sistema comune dell’imposta, così come prospettato dalla Direttiva 2010/45/UE. Il legislatore ha, infatti, modificato – con effetto nei confronti delle operazioni che saranno effettuate dal 1° gennaio 2013 – il D.P.R. n. 633/1972 ed il D.L. n. 331/1993, con particolare riferimento alla disciplina della base imponibile, dei soggetti passivi e del volume d’affari – come meglio illustrato nel prosieguo – nonché della fatturazione e registrazione delle operazioni, che costituiranno oggetto di un successivo commento.
In primo luogo, l’art. 1, co. 2, lett. a), del D.L. n. 216/2012 ha riscritto l’art. 13, co. 4, del D.P.R. n. 633/1972 – cui ora rinvia, per le operazioni intracomunitarie, l’art. 43 del D.L. n. 331/1993 – in virtù del quale, ai fini della determinazione della base imponibile, i corrispettivi dovuti, le spese e gli oneri sostenuti in valuta estera sono computati secondo il cambio del giorno di effettuazione dell’operazione o –  nel caso di omessa indicazione nella fattura – del giorno di emissione della stessa. In mancanza, la quantificazione è eseguita sulla base della quotazione del giorno antecedente più prossimo. È, inoltre, stabilito che la conversione in euro, per tutte le operazioni effettuate nell’anno solare, può essere fatta in virtù del tasso di cambio pubblicato dalla Banca Centrale Europea: non è, pertanto, necessaria una specifica comunicazione all’Amministrazione Finanziaria.
Il Decreto “Salva infrazioni” ha, inoltre modificato la disciplina riguardante i soggetti passivi dell’Iva: nel co. 2 dell’art. 17 del D.P.R. n. 633/1972, è stato confermato il principio generale, secondo cui gli obblighi relativi alle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti, nei confronti di soggetti passivi ivi stabiliti, sono assolti dai cessionari o committenti. La novità è rappresentata dalla previsione che, nel caso di cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo stabilito in un altro Stato membro dell’Unione Europea, il cessionario o committente adempie gli obblighi di fatturazione e registrazione di cui agli artt. 46 e 47 del D.L. n. 331/1993. Al successivo co. 5 del citato art. 17 del Decreto Iva, è stato altresì inserito l’obbligo di esposizione, nella fattura emessa dal cedente senza addebito dell’imposta, dell’annotazione “inversione contabile”, derubricando ad eventuale l’indicazione del riferimento normativo.
L’art. 1, co. 2, del D.L. n. 216/2012 ha, poi, rivisto il novero delle esclusioni dalla formazione del volume d’affari di cui all’art. 20, co. 1, primo periodo, del D.P.R. n. 633/1972: è stato ribadito l’esonero per i passaggi di beni tra attività separate (art. 36, co. 5, del Decreto Iva) e delle cessioni di beni ammortizzabili. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, è stato, tuttavia, aggiunto che devono intendersi esclusi anche i trasferimenti relativi alle voci B.I.3) e B.I.4) dello stato patrimoniale attivo  di cui all’art. 2424 c.c. (diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno, concessioni, licenze, marchi e diritti simili), in luogo della previgente formulazione che citava, invece, l’art. 2425, n. 3), del codice civile. È stata, invece, abrogata l’irrilevanza – introdotta dall’art. 1, co. 1, del D.Lgs. n. 18/2010 – delle prestazioni di servizi rese a soggetti stabiliti in un altro Stato membro della Comunità, non soggette all’imposta ai sensi dell’art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972. Tali operazioni non rilevano, però, ai fini dell’acquisizione dello status di esportatore abituale, in virtù della modifica apportata dal Decreto “Salva infrazioni” all’art. 1, co. 1, lett. a), del D.L. n. 746/1983. In altri termini, si tratta di una norma di favore per il prestatore, in quanto, in mancanza, l’inclusione nel volume d’affari di tali prestazioni avrebbe reso maggiormente difficoltoso il superamento della quota del 10% – rispetto al fatturato – delle operazioni con l’estero (cessioni intracomunitarie, esportazioni, ecc.) che attribuisce la qualifica di esportatore abituale, con la conseguente facoltà di acquistare senza l’applicazione dell’Iva.

lunedì 17 dicembre 2012

Agevolazione prima casa: aspetti generali

di Sandro CERATO

L’introduzione nel nostro ordinamento di un’agevolazione collegata all’acquisto della “prima casa” risale al 1982, e precisamente con la Legge 22.4.1982, n. 168, successivamente prorogata, innovata e sostituita da altri provvedimenti normativi.
Tecnicamente, i requisiti oggettivi e soggettivi per la fruizione di tale agevolazione sono contenuti nella nota II-bis, dell’art. 1, Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86. In aggiunta, nel corso degli anni la prassi e la giurisprudenza che è intervenuta in materia è stata copiosa e non sempre coerente, talchè a tutt’oggi la materia è oggetto di discussione, sia da parte della dottrina, sia da parte della giurisprudenza stessa.
Le agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa sono, come detto, disciplinate dalla nota II-bis dell’art. 1 della tariffa, parte I, allegata al DPR n. 131/86, e consistono nell’applicazione:
·    dell’IVA con aliquota pari al 4% ovvero dell’imposta di registro con aliquota pari al 3% (la riduzione dell’imposta di registro dal 4% al 3% si applica a decorrere dai trasferimenti effettuati a partire dal 1° gennaio 2000, per effetto di quanto stabilito dall’art. 7, co. 6, Legge 23.12.1999, n. 488);
·  delle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa (pari ad euro 168,00 per ciascuna imposta), in virtù dell’art. 10 co. 6 del D.L. 20.6.96 n. 323.
Per la fruizione dei suddetti benefici, è opportuno ricordare quanto è stato stabilito dalla Cassazione (sentenza 21.4.2009, n. 9383), secondo cui per poter beneficiare dell’aliquota Iva ridotta del 4%, l’immobile deve essere in regola con la normativa edilizia al momento della richiesta del beneficio, a nulla rilevando la successiva sanatoria edilizia. Pertanto, sostiene la Suprema Corte, non è possibile sospendere l’applicazione dell’aliquota agevolata finchè non venga sanata l’irregolarità edilizia riscontrata, poiché, per effetto del combinato disposto degli artt. 46 della Legge n. 47/1985, e 41-ter della Legge n. 1150/1942, “è il riconoscimento del beneficio fiscale dell’aliquota Iva agevolata, e non già il diritto dell’Ufficio a disconoscere tale beneficio per insussistenza dei presupposti richiesti dalle legge (….), a essere subordinato e/o condizionato all’effettivo rilascio di un provvedimento di sanatoria delle difformità edilizie ostative riscontrate”.
Come detto, l’agevolazione per l’acquisto della “prima casa” è necessariamente collegata alla presenza di un immobile abitativo, nonché alle relative pertinenze (pur con alcuni limiti, in quanto è possibile estendere l’agevolazione ad un massimo di tre pertinenze, purchè classificate in categoria C/2, C/6 e C/7).
Secondo quanto previsto nella C.M. 17.4.1981, n. 14, per casa di abitazione deve intendersi “ogni costruzione destinata a dimora delle persone e delle loro famiglie, cioè strutturalmente idonea ad essere utilizzata ad alloggio stabile di singole persone o di nuclei familiari, a nulla rilevando la circostanza che la stessa sia abitata in via permanente o saltuaria”.
L’individuazione pratica degli immobili ad uso abitativo è alquanto agevole, in quanto, come precisato da ultimo nella C.M. 4.8.2006, n. 27/E, in tale categoria rientrano i fabbricati classificati o classificabili nella categoria “A”, con esclusione di quelli classificati nella categoria “A/10”.
E’ importante ricordare che, ai fini Iva, a differenza di quanto previsto per le imposte sui redditi, non rileva l’utilizzo effettivo dell’immobile, in quanto ciò che rileva è la classificazione catastale dello stesso. Pertanto, ad esempio, se un immobile di categoria “A/3” è utilizzato effettivamente per lo svolgimento di un’attività d’impresa (sede legale o amministrativa di una società), ovvero di carattere professionale (studio), ai fini Iva tale immobile è comunque di tipo abitativo. Tale aspetto riveste una certa importanza, soprattutto per quanto riguarda il trattamento Iva della cessione di tale immobile.
La categoria di immobili cui il legislatore ha riservato l’applicazione dei benefici “prima casa” è costituita dalle case di abitazione “non di lusso”, per la cui definizione è necessario rifarsi al contenuto del D.M. 2.8.1969. Tale decreto è strutturato come segue:
·   gli artt. da 1 a 7 contengono delle caratteristiche, verificate le quali l’abitazione si considera “di lusso”, con conseguente esclusione dall’applicazione dei benefici fiscali;
·    l’art. 8, di natura residuale, prevede che l’immobile abitativo si considera “di lusso” qualora siano verificate oltre quattro caratteristiche di cui alla tabella allegata al decreto.
In buona sostanza, mentre per i primi sette articoli, è sufficiente la verifica del contenuto dello stesso articolo per verificare la natura dell’abitazione, l’ultima disposizione richiede una verifica più complessa, in quanto devono sussistere almeno cinque caratteristiche illustrate nella tabella allagata affinchè l’abitazione possa essere considerata “di lusso”.
Relativamente alle modalità di verifica delle condizioni previste dal D.M. 2.8.1969, la C.M. 12.8.2005, n. 38/E, ha precisato che si possono rilevare sia dal contenuto dell’atto (la descrizione dell’immobile, ad esempio), sia dalla documentazione allegata all’atto stesso (certificazione catastale, concessione edilizia, ecc.).