di Michele BANA
Il novellato art. 101,
co. 5, primo periodo, del D.P.R. n. 917/1986 stabilisce che, in deroga al
principio generale degli elementi certi e precisi, la perdita su crediti è
deducibile se il debitore è assoggettato ad una procedura concorsuale oppure ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art.
182-bis del R.D. n. 267/1942. Tale disposizione distingue, pertanto, gli accordi di ristrutturazione dei debiti dalle
procedure concorsuali: in altri termini, la nuova norma conferma
l’orientamento ormai consolidato dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui alle
perdite su crediti derivanti da un accordo di ristrutturazione dei debiti, omologato
ai sensi dell’art. 182-bis L.F. non è applicabile, in linea di principio, la
previsione di deducibilità immediata contenuta nell’art. 101, co. 5, secondo
periodo, del Tuir riservata alle procedure concorsuali (C.M. n. 8/E/2009, par. 4.2.).
Il principio in parola
appare, tuttavia, contraddetto dal successivo secondo periodo della medesima
norma, introdotto in sede di conversione del D.L. n. 83/2012, in virtù del
quale – ai fini dell’applicazione dell’art. 101, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986
– il debitore si considera assoggettato
a procedura concorsuale, e la corrispondente perdita su crediti assume rilevanza fiscale (senza dover
applicare il principio generale degli “elementi certi e precisi”), dalla data
di uno dei seguenti atti:
· sentenza dichiarativa di
fallimento;
· decreto di ammissione al
concordato preventivo;
· decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione
dei debiti;
· provvedimento che ordina
la liquidazione coatta amministrativa;
· decreto che dispone la
procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
Conseguentemente, a
differenza di quanto affermato nel primo periodo della medesima disposizione,
l’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato viene di fatto incluso tra le procedure concorsuali.
Sul punto, si riscontra, tuttavia, un primo dubbio interpretativo rappresentato
dal riferimento alla “data del decreto
del tribunale di omologazione dell’accordo”, che dovrebbe intendersi quella
di emanazione, da parte della competente autorità giudiziaria, del relativo
provvedimento. La soluzione adottata dal legislatore diverge, pertanto, con
quanto sinora sostenuto dall’Amministrazione Finanziaria, che ha sempre
accordato rilevanza tributaria al momento in cui il decreto di omologazione non
è più impugnabile (C.M. n. 42/E/2010,
par. 4.1.), in modo da poter considerare, inequivocabilmente, la certezza e
precisione della perdita di cui al principio generale dell’art. 101, co. 5, del
Tuir.
Si
consideri, inoltre, che la predetta novità normativa, ancorchè espressamente
dettata nell’ambito del reddito d’impresa, potrebbe essere destinata ad
esplicare i propri effetti anche ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, e
precisamente con riguardo alla disciplina dell’emissione, a cura del creditore,
della nota di variazione Iva: l’art.
26, co. 2, del D.P.R. n. 633/1972 subordina, infatti, il diritto alla redazione
del documento rettificativo – e, quindi, al conseguente esercizio della
detrazione del corrispondente tributo – alla “infruttuosità della procedura concorsuale”. Tale requisito aveva,
infatti, sinora impedito l’applicazione della predetta disposizione alle intese
di cui all’art. 182-bis L.F., proprio a causa della formulazione dell’art. 101,
co. 5, del Tuir, che non contemplava, tra le procedure concorsuali, l’accordo
di ristrutturazione dei debiti: con l’effetto che il creditore poteva comunque
emettere la nota di variazione, ma a norma del successivo co. 3, trattandosi di
una sopravvenuta pattuizione tra le parti, con il rischio, però, di non
riuscire a recuperare la relativa Iva, qualora – come spesso accade in presenza
di rapporti con un debitore in stato di crisi – il documento non fosse stato
emesso entro un anno dell’effettuazione
dell’operazione oggetto di rettifica.
Si
osservi altresì che l’art. 101, co. 5, del Tuir – nonostante la novellata
formulazione – continua ad ignorare la fattispecie della perdita maturata su un
credito vantato nei confronti di un debitore residente al di fuori del
territorio dello Stato, assoggettato ad una procedura concorsuale estera.
Sul punto, l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di precisare che il
riconoscimento della deducibilità della stessa è subordinato ad una specifica
condizione, ovvero il rilascio di una dichiarazione
dell’autorità giurisdizionale estera, che dichiari lo stato di insolvenza
del debitore (C.M. n. 39/E/2002), nell’ambito di una procedura concorsuale assimilabile a quelle nazionali indicate
nell’art. 101, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986. L’orientamento
dell’Amministrazione Finanziaria non appare, tuttavia, condiviso dalla giurisprudenza
di legittimità, che ritiene, invece, sufficiente la documentazione dei requisiti di certezza e precisione
della perdita, senza la necessità che il creditore dimostri di essersi attivato
per ottenere tale attestazione (Cass., Sez. Trib., n. 23863/2007).
L’accertamento dell’insolvenza del debitore estero non rappresenta, pertanto,
un elemento costitutivo del diritto alla deduzione: “ai fini di stabilire la certezza della perdita non può certo
pretendersi la declaratoria di insolvenza del debitore dovendosi, piuttosto,
avere riguardo all’esistenza di convenzioni internazionali vincolanti anche lo
stato del debitore”, idonee a perseguire quest’ultimo nell’adempimento
delle proprie obbligazioni.
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