lunedì 18 giugno 2012

Concessione dei beni dell’impresa in godimento ai soci e familiari


di Sandro CERATO

L’art. 2 del D.L. n. 138/2011 ha previsto alcune rilevanti disposizioni anti-elusive in materia di concessione dei beni d’impresa in godimento ai soci o familiari dell’imprenditore: in primo luogo, il co. 36-terdecies, che ha introdotto una nuova fattispecie di “reddito diverso” conseguibile dalla persona fisica – ovvero non realizzato nell’esercizio di imprese commerciali, arti o professioni, oppure in relazione alla qualità di lavoratore dipendente – contenuta nell’art. 67, co. 1, lett. h-ter), del D.P.R. n. 917/1986, qualora il valore di mercato del bene ottenuto in godimento dal socio o familiare dell’imprenditore sia superiore al corrispettivo annuo convenuto dalle parti. La differenza tra i due importi in parola concorre, pertanto, alla formazione del reddito imponibile dell’utilizzatore del bene (co. 36-quinquiesdecies).
Il successivo co. 36-quatercedies ha, invece, stabilito, che l’eccedenza del valore di mercato, rispetto al corrispettivo annuo di godimento del bene pattuito dalle parti, comporta altresì, in capo all’impresa concedente, l’impossibilità di dedurre dal reddito imponibile i costi relativi ai beni attribuiti in godimento al socio o familiare. È il caso, ad esempio, delle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, oppure di quelle di gestione;
La predetta disciplina dei beni d’impresa concessi in godimento esplica i propri effetti a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 17 settembre 2011. È altresì stabilito che, in tale primo esercizio di operatività delle nuove disposizioni, la determinazione degli acconti dovuti – sia dall’impresa concedente il bene che dal socio o familiare utilizzatore – deve essere effettuata assumendo, come imposta dell’anno precedente, quella che sarebbe derivata dall’applicazione delle predette norme.
La disciplina ha formato oggetto di alcuni chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate, con la recente C.M. n. 24/E/2012, che ha individuato, in primo luogo, l’insieme dei soggetti utilizzatori interessati dall’applicazione delle suddette disposizioni:
·    i soci, non necessariamente residenti nel territorio dello Stato, di società ed enti privati di tipo associativo residenti che svolgono attività commerciale, ed i loro familiari, individuati a norma dell’art. 5, co. 5, del Tuir;
·    i familiari, residenti e non, dell’imprenditore individuale residente nel territorio dello Stato;
·    il soggetto che, nella sfera privata, utilizza in godimento i beni della propria impresa commerciale residente nel territorio dello Stato;
·    i soci, o loro familiari, che ricevono in godimento i beni da società controllate o collegate, ai sensi dell’art. 2359 c.c., a quella dagli stessi partecipata.
Sono, invece, esclusi da tale regime i soggetti utilizzatori che, per loro natura, non possono essere titolari di redditi diversi, così come colori i quali sono, al contempo, lavoratori dipendenti della società o dell’impresa individuale, ovvero lavoratori autonomi, rispetto ai quali trova già applicazione la disciplina di cui agli artt. 51 e 54 del Tuir. Il medesimo esonero opera, sotto il profilo dei soggetti concedenti i beni (imprenditori individuali, società di persone e capitali, cooperative, ecc.), con riferimento alle società semplici, poiché non svolgono attività d’impresa.
Per quanto concerne l’ambito oggettivo, ovvero i beni dell’impresa (strumentali, merce e patrimonio), l’Amministrazione Finanziaria ritiene esclusi quelli che soddisfano una delle seguenti condizioni:
·    hanno un valore di mercato non superiore ad euro 3.000, al netto dell’Iva, e sono compresi in una categoria residuale, rispetto a quelle riconducibili a “autovettura”, “altro veicolo”, “unità da diporto”, “aeromobile” ed “immobile”;
·    appartengono a società ed enti privati di tipo associativo che svolgono attività commerciale, residenti e non, che li hanno concessi ad enti non commerciali soci, che li utilizzano per fini esclusivamente istituzionali;
·    sono rappresentati da alloggi delle società cooperative edilizie di abitazione a proprietà indivisa, concessi ai propri soci, in virtù del proprio scopo mutualistico, ovvero a condizioni migliori di quelle di mercato.
La C.M. n. 24/E/2012 si è, poi, soffermata sui criteri di determinazione del reddito diverso configurabile in capo al socio o familiare concessionario del bene in godimento, confermando che il valore di mercato del cespite, da porre a confronto con il corrispettivo annuo pattuito, deve essere individuato in base all’art. 9, co. 3, del D.P.R. n. 917/1986, applicando i seguenti criteri oggettivi costituiti da alcun peculiari elementi:
·    specifici provvedimenti, per i beni i cui prezzi sono soggetti ad una disciplina legale;
·    prezzo normalmente praticato dal fornitore o, in mancanza, da quello desunto dai tariffari redatti da organismi istituzionali oppure dalle mercuriali contenenti valori modali determinati da Enti di Ricerca, Società Immobiliari di grandi dimensioni, Istituti Bancari, ecc., in virtù delle esperienze di mercato di cui sono in possesso per l’attività che loro stessi svolgono, nel caso di beni forniti in condizioni di libero mercato.
Qualora tali criteri non siano oggettivamente applicabili, l’Amministrazione Finanziaria riconosce i valori di mercato risultanti da un’apposita perizia, purchè descriva in maniera esaustiva il bene oggetto del diritto di godimento, motivando il valore attribuito allo stesso.
Per quanto concerne, invece, il corrispettivo annuo del diritto di godimento, l’Agenzia delle Entrate ritiene necessario che il medesimo, così come ogni altra condizione contrattuale, sia attestato da una specifica certificazione scritta avente data certa, precedente a quella di inizio dell’utilizzazione del bene, anche se il godimento non interessa l’intero anno: al ricorrere di quest’ultima ipotesi, in sede di determinazione del reddito diverso – da assoggettare ad imposizione in capo al socio e familiare concessionario – il valore di mercato annuo, da porre a confronto con il corrispettivo pattuito, deve essere ragguagliato al periodo infrannuale oggetto del contratto. A questo proposito, la C.M. n. 24/E/2012 ha precisato che il reddito diverso – a differenza delle altre ipotesi di reddito previste dall’art. 67 del Tuir, rilevanti il base al c.d. principio di cassa – si considera conseguito alla data di maturazione.
L’Amministrazione Finanziaria ha, inoltre, chiarito che l’indeducibilità, dal reddito dell’impresa, dei costi relativi ai beni concessi in godimento:
·    deve essere calcolata applicando agli oneri riguardanti tali cespiti la percentuale derivante dal rapporto la differenza costituente reddito diverso ed il valore di mercato del diritto di godimento. Ad esempio, se i costi complessivamente sostenuti, nel periodo d’imposta, per il bene concesso in godimento ammontano ad euro 5.000, il corrispettivo annuo di concessione è pari ad euro 40.000 ed il valore di mercato dello stesso è stato individuato in euro 50.000, tali costi sono indeducibili in misura pari ad euro 5.000*(euro 50.000 – euro 40.000)/euro 50.000 =euro 1.000 da ragguagliarsi, poi, al periodo di godimento;
·    non opera nei confronti degli autoveicoli, già soggetti alla disciplina speciale di cui all’art. 164 del Tuir.
È stato altresì precisato che, nel caso in cui il bene sia concesso a soci o loro familiari di società trasparenti (s.n.c., s.a.s., s.r.l. di cui all’art. 116 del Tuir), il maggior reddito d’impresa derivante dall’indeducibilità di tali costi deve essere imputato esclusivamente ai soci utilizzatori, anche qualora il bene sia stato concesso ai loro familiari.
La C.M. n. 24/E/2012 ha, infine, puntualizzato che, considerate le obiettive condizioni di incertezza, il contribuente – qualora non abbia correttamente applicato le predette disposizioni, in sede di determinazione del primo acconto – potrà sanare l’eventuale versamento omesso in occasione del pagamento del secondo acconto, senza sanzioni, ma con la maggiorazione degli interessi nella misura del 4,00% annuo (D.M. 21 maggio 2009), prevista per i pagamenti rateali di cui all’art. 20 del D.Lgs. n. 241/1997.

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