di Sandro CERATO
L’art. 2 del D.L. n. 138/2011 ha previsto alcune rilevanti disposizioni
anti-elusive in materia di concessione dei beni d’impresa in godimento ai soci
o familiari dell’imprenditore: in primo luogo, il co. 36-terdecies, che ha
introdotto una nuova fattispecie di “reddito diverso” conseguibile dalla
persona fisica – ovvero non realizzato nell’esercizio di imprese
commerciali, arti o professioni, oppure in relazione alla qualità di lavoratore
dipendente – contenuta nell’art. 67, co. 1, lett. h-ter), del D.P.R. n.
917/1986, qualora il valore di mercato del bene ottenuto in godimento dal
socio o familiare dell’imprenditore sia superiore al corrispettivo annuo
convenuto dalle parti. La differenza tra i due importi in parola concorre,
pertanto, alla formazione del reddito imponibile dell’utilizzatore del bene
(co. 36-quinquiesdecies).
Il
successivo co. 36-quatercedies ha, invece, stabilito, che l’eccedenza del
valore di mercato, rispetto al corrispettivo annuo di godimento del bene pattuito
dalle parti, comporta altresì, in capo all’impresa concedente, l’impossibilità
di dedurre dal reddito imponibile i costi relativi ai beni attribuiti in
godimento al socio o familiare. È il caso, ad esempio, delle spese di
manutenzione ordinaria e straordinaria, oppure di quelle di gestione;
La predetta disciplina dei beni d’impresa concessi
in godimento esplica i propri effetti a partire dal periodo d’imposta
successivo a quello in corso al 17 settembre 2011. È altresì stabilito che,
in tale primo esercizio di operatività delle nuove disposizioni, la determinazione
degli acconti dovuti – sia dall’impresa concedente il bene che dal socio o
familiare utilizzatore – deve essere effettuata assumendo, come imposta
dell’anno precedente, quella che sarebbe derivata dall’applicazione delle
predette norme.
La disciplina ha formato oggetto di alcuni
chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate, con la recente C.M. n. 24/E/2012,
che ha individuato, in primo luogo, l’insieme dei soggetti utilizzatori interessati
dall’applicazione delle suddette disposizioni:
· i soci,
non necessariamente residenti nel territorio dello Stato, di società ed enti
privati di tipo associativo residenti che svolgono attività commerciale, ed i
loro familiari, individuati a norma dell’art. 5, co. 5, del Tuir;
· i
familiari, residenti e non, dell’imprenditore individuale residente nel
territorio dello Stato;
· il
soggetto che, nella sfera privata, utilizza in godimento i beni della
propria impresa commerciale residente nel territorio dello Stato;
· i soci, o
loro familiari, che ricevono in godimento i beni da società controllate o
collegate, ai sensi dell’art. 2359 c.c., a quella dagli stessi partecipata.
Sono, invece, esclusi da tale regime i
soggetti utilizzatori che, per loro natura, non possono essere titolari di
redditi diversi, così come colori i quali sono, al contempo, lavoratori
dipendenti della società o dell’impresa individuale, ovvero lavoratori
autonomi, rispetto ai quali trova già applicazione la disciplina di cui agli
artt. 51 e 54 del Tuir. Il medesimo esonero opera, sotto il profilo dei soggetti
concedenti i beni (imprenditori individuali, società di persone e capitali,
cooperative, ecc.), con riferimento alle società semplici, poiché non
svolgono attività d’impresa.
Per quanto concerne l’ambito oggettivo, ovvero i
beni dell’impresa (strumentali, merce e patrimonio), l’Amministrazione
Finanziaria ritiene esclusi quelli che soddisfano una delle seguenti condizioni:
· hanno un valore
di mercato non superiore ad euro 3.000, al netto dell’Iva, e sono compresi
in una categoria residuale, rispetto a quelle riconducibili a “autovettura”,
“altro veicolo”, “unità da diporto”, “aeromobile” ed “immobile”;
· appartengono
a società ed enti privati di tipo associativo che svolgono attività
commerciale, residenti e non, che li hanno concessi ad enti non commerciali
soci, che li utilizzano per fini esclusivamente istituzionali;
· sono
rappresentati da alloggi delle società cooperative edilizie di abitazione a proprietà
indivisa, concessi ai propri soci, in virtù del proprio scopo mutualistico,
ovvero a condizioni migliori di quelle di mercato.
La C.M. n. 24/E/2012 si è, poi, soffermata
sui criteri di determinazione del reddito diverso configurabile in capo al socio
o familiare concessionario del bene in godimento, confermando che il valore
di mercato del cespite, da porre a confronto con il corrispettivo annuo
pattuito, deve essere individuato in base all’art. 9, co. 3, del D.P.R. n.
917/1986, applicando i seguenti criteri oggettivi costituiti da
alcun peculiari elementi:
· specifici
provvedimenti, per i beni i cui prezzi sono soggetti ad una disciplina
legale;
· prezzo
normalmente praticato dal fornitore o, in mancanza, da quello desunto dai
tariffari redatti da organismi istituzionali oppure dalle mercuriali contenenti
valori modali determinati da Enti di Ricerca, Società Immobiliari di grandi
dimensioni, Istituti Bancari, ecc., in virtù delle esperienze di mercato di cui
sono in possesso per l’attività che loro stessi svolgono, nel caso di beni
forniti in condizioni di libero mercato.
Qualora tali criteri non siano oggettivamente
applicabili, l’Amministrazione Finanziaria riconosce i valori di mercato
risultanti da un’apposita perizia, purchè descriva in maniera esaustiva
il bene oggetto del diritto di godimento, motivando il valore attribuito allo
stesso.
Per quanto concerne, invece, il corrispettivo
annuo del diritto di godimento, l’Agenzia delle Entrate ritiene necessario
che il medesimo, così come ogni altra condizione contrattuale, sia attestato da
una specifica certificazione scritta avente data certa, precedente a quella di
inizio dell’utilizzazione del bene, anche se il godimento non interessa
l’intero anno: al ricorrere di quest’ultima ipotesi, in sede di determinazione
del reddito diverso – da assoggettare ad imposizione in capo al socio e
familiare concessionario – il valore di mercato annuo, da porre a confronto con
il corrispettivo pattuito, deve essere ragguagliato al periodo infrannuale
oggetto del contratto. A questo proposito, la C.M. n. 24/E/2012 ha precisato
che il reddito diverso – a differenza delle altre ipotesi di reddito
previste dall’art. 67 del Tuir, rilevanti il base al c.d. principio di cassa – si considera conseguito alla data di
maturazione.
L’Amministrazione Finanziaria ha, inoltre, chiarito
che l’indeducibilità, dal reddito dell’impresa, dei costi relativi ai beni
concessi in godimento:
· deve
essere calcolata applicando agli oneri riguardanti tali cespiti la percentuale
derivante dal rapporto la differenza costituente reddito diverso ed il valore
di mercato del diritto di godimento. Ad esempio, se i costi complessivamente
sostenuti, nel periodo d’imposta, per il bene concesso in godimento ammontano
ad euro 5.000, il corrispettivo annuo di concessione è pari ad euro 40.000 ed
il valore di mercato dello stesso è stato individuato in euro 50.000, tali
costi sono indeducibili in misura pari ad euro 5.000*(euro 50.000 – euro
40.000)/euro 50.000 =euro 1.000 da ragguagliarsi, poi, al periodo di godimento;
· non opera nei confronti degli
autoveicoli, già soggetti alla disciplina speciale di cui all’art. 164 del Tuir.
È stato altresì precisato che, nel caso in cui il
bene sia concesso a soci o loro familiari di società trasparenti (s.n.c.,
s.a.s., s.r.l. di cui all’art. 116 del Tuir), il maggior reddito d’impresa
derivante dall’indeducibilità di tali costi deve essere imputato esclusivamente
ai soci utilizzatori, anche qualora il bene sia stato concesso ai loro
familiari.
La C.M. n. 24/E/2012 ha, infine, puntualizzato che,
considerate le obiettive condizioni di incertezza, il contribuente –
qualora non abbia correttamente applicato le predette disposizioni, in sede di
determinazione del primo acconto – potrà sanare l’eventuale versamento
omesso in occasione del pagamento del secondo acconto, senza sanzioni, ma con
la maggiorazione degli interessi nella misura del 4,00% annuo (D.M. 21 maggio
2009), prevista per i pagamenti rateali di cui all’art. 20 del D.Lgs. n.
241/1997.
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