di Sandro CERATO
L’art. 2, co. da 36-terdecies a 36-duodevicies, del D.L. n. 138/2011, ha introdotto delle disposizioni normative volte a contrastare il fenomeno consistente nell’utilizzo di beni aziendali da parte dei soci, o da parte dei familiari dell’imprenditore individuale. In tali fattispecie, la citata disposizione normativa prevede le seguenti conseguenze fiscali:
- in capo al soggetto utilizzatore (socio o familiare), la differenza tra valore di mercato e corrispettivo pagato costituisce reddito diverso (nuovo art. 67, co. 1, lett. h-ter, del TUIR);
- per l’impresa o società concedente, tutti i costi afferenti il bene concesso in godimento al socio o familiare, sono indeducibili dal reddito d’impresa.
Al fine di poter conoscere, e monitorare tali situazioni, è stato inoltre introdotto l’obbligo di comunicare i dati relativi ai beni dell’impresa concessi o ricevuti in godimento, ed a tale proposito il provvedimento direttoriale n. 166485 del 16.11.2011 contiene modalità e termini della predetta comunicazione (quella relativa al 2011 deve essere presentata entro il prossimo 15 ottobre 2012).
I problemi legati a tale adempimento sono molteplici, ed a tale proposito l’Agenzia delle Entrate, con la C.M. 15.6.2012, n. 24/E, ha fornito i primi chiarimenti in merito alla corretta applicazione delle disposizioni in questione, anche se i punti “oscuri” non mancano, e la scadenza del 15 ottobre prossimo sembra troppo ravvicinata per consentire di rispettare al meglio l’adempimento comunicativo.
In questo primo intervento si focalizza l’attenzione sui soggetti utilizzatori dei beni concessi in godimento (soci e familiari, anche se ricevono beni da società controllate e collegate rispetto a quella cui partecipano direttamente), nell’ambito dei quali sono espressamente esclusi quelli, come precisa la C.M. n. 24/E, “che per loro natura non possono essere titolari di reddito diverso”. La precisazione appare corretta, in quanto, come detto, in capo al soggetto utilizzatore si realizza, a seguito dell’utilizzo del bene d’impresa, un reddito diverso dato dalla differenza tra valore di mercato del diritto di godimento e l’eventuale corrispettivo pagato a fronte dell’utilizzo stesso. E, nell’ambito del TUIR, la nozione di reddito diverso è ad appannaggio esclusivamente delle persone fisiche che non svolgono un’attività d’impresa o professionale, ovvero che non siano lavoratori dipendenti. in tali casi, infatti, il componente positivo potrebbe rientrare rispettivamente nella determinazione del reddito d’impresa o professionale, ovvero sarebbe tassato quale reddito di lavoro dipendente. Per quanto riguarda eventuali utilizzatori “collettivi”, ossia società commerciali di persone e di capitali, la presunzione secondo cui tali soggetti sono titolari solamente di reddito d’impresa li esclude alla radice dalla fattispecie in esame.
Su tale ultimo aspetto, tuttavia, la questione non è del tutto chiara, in quanto il contenuto del provvedimento direttoriale in precedenza citato, e riferito all’obbligo di comunicazione all’Agenzia delle Entrate, sembra andare verso un’altra direzione, laddove richiede l’indicazione nella comunicazione stessa dei dati dei soggetti utilizzatori, anche diversi dalle persone fisiche, e nelle specifiche tecniche si fa espresso riferimento anche all’ipotesi di socio non persona fisica, anche se in nota è precisato che “si ipotizza anche questo dato in quanto la norma sembra non escludere tale informazione, accentuando semplicemente che il controllo venga effettuato sistematicamente sulle persone fisiche”. Tale affermazione, tuttavia, come detto in precedenza, appare in contrasto con il contenuto della C.M. n. 24/E, in cui si escludono tutte le fattispecie di utilizzatori non “idonei” a produrre reddito diverso, ragion per cui sarebbe opportuno una pronta modifica dei tracciati record della comunicazione, al fine di evitare inutili e pesanti adempimenti in capo alle imprese ed ai loro consulenti.
Preziose puntualizzazioni, grazie.
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