di Michele BANA
L’art. 33, co. 1, n. 1, del D.L. n.
83/2012 (c.d. Decreto Crescita) ha
riformulato l’art. 67, co. 3, lett. d), del R.D. n. 267/1942, riguardante l’esonero da azione revocatoria fallimentare –
esperibile dal curatore, in presenza dei relativi presupposti – degli atti, dei
pagamenti e delle garanzie concesse sui beni del debitore, posti in essere in
esecuzione di un piano idoneo a permettere il risanamento dell’esposizione
debitoria dell’impresa, e a garantire il riequilibrio della situazione
finanziaria aziendale. Lo strumento in parola, esplicando i propri effetti
soltanto a seguito della sentenza dichiarativa di fallimento del debitore,
deve, pertanto, ritenersi invocabile dai soli soggetti fallibili, ovvero gli
imprenditori commerciali di natura privata, qualificabili come “non piccoli” in
base all’art. 1 L.F., in quanto non rispettano, congiuntamente, i seguenti
parametri dimensionali:
·
attivo
patrimoniale complessivo annuo
non superiore ad euro 300.000, nei tre esercizi precedenti la data di
deposito della domanda di ammissione all’istituto (ovvero nel minor periodo
dall’inizio dell’attività);
· ricavi
lordi annui non eccedenti euro
200.000, nel medesimo orizzonte temporale di cui al punto precedente;
·
esposizione
di debiti, compresi quelli non scaduti, inferiore o pari ad euro
500.000.
Ai fini
della suddetta esimente, è altresì necessario che il piano sia attestato da un professionista, designato dal debitore (novità del
Decreto Crescita, che recepisce una prassi ormai consolidata), tra i soggetti
che soddisfano tre condizioni:
· iscritti
nel registro dei revisori legali dei conti. La formulazione della norma appare, tuttavia,
imprecisa rispetto all’imminente istituzione del registro dei revisori legali
di cui al D.Lgs. n. 39/2010, che si comporrà di due sezioni, di cui una –
quella degli “inattivi” – pare mal
conciliarsi con le ragioni di tutela della fede pubblica sulle quali si fonda
la figura dell’attestatore, inteso come un vero e proprio auditor del piano e
dei dati sui quali si basa;
· in
possesso dei requisiti per la nomina a curatore fallimentare, a norma dell’art. 28, co. 1, lett. a) e b), del R.D.
n. 267/1942. Si deve trattare, quindi, di un avvocato, dottore o ragioniere
commercialista, o ragioniere, oppure di uno studio professionale associato o di
una società tra professionisti i cui soci appartengano ad una delle predette
categorie professionali;
· indipendenti, rispetto ad ogni soggetto interessato all’operazione
di risanamento (debitore, creditori, ecc.). In particolare, il professionista è
indipendente se: non è legato a costoro da rapporti di natura personale o
professionale tali da comprometterne l’obiettività nel giudizio di
attestazione; non rientra nelle cause di
ineleggibilità dei sindaci di cui all’art. 2399 c.c.; negli ultimi 5 anni,
non ha prestato – neppure per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale – attività
di lavoro autonomo o subordinato a beneficio del debitore, né ha partecipato
agli organi di amministrazione o controllo dello stesso.
Il Decreto
Crescita ha, inoltre, rivisto l’oggetto
del giudizio del predetto professionista, rimuovendo la mera valutazione di
ragionevolezza, stabilendo, invece, che lo stesso – così come già previsto per
il concordato preventivo – deve attestare
la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano.
Un’ulteriore
novità riguarda l’introduzione di un regime, seppur facoltativo, di pubblicità del piano attestato di risanamento:
il debitore può, infatti, richiedere l’iscrizione presso il registro delle
imprese, potendo conseguire diversi obiettivi, tra i quali l’attribuzione della
data certa, a decorrere dalla quale
le operazioni compiute in esecuzione del piano attestato sono sottratte dall’ambito di operatività
dell’azione revocatoria fallimentare, nel caso di successiva sentenza
dichiarativa di fallimento del debitore. A ciò si aggiunga che quest’ultimo,
nell’ipotesi di pubblicità del piano, può altresì beneficiare del regime di non imponibilità – altrimenti
precluso, a norma del novellato art. 88, co. 4, del D.P.R. n. 917/1986 – delle sopravvenienze attive da riduzione delle
passività dell’impresa, per la parte che eccede le perdite pregresse e di
periodo di cui all’art. 84 del Tuir.
Alla luce di
quanto sopra riportato, risulta evidente che, qualora il piano sia attestato da
un professionista non indipendente,
si producono i seguenti effetti, nel caso di successivo fallimento del
debitore:
· gli atti compiuti in esecuzione di tale documento sono
assoggettabili a revocatoria
fallimentare, se sussistono i presupposti;
· non opera il regime di esonero di cui all’art. 217-bis
del R.D. n. 267/1942, rispetto ai reati
di bancarotta fraudolenta preferenziale (art. 216, co. 3, L.F.) e semplice (art. 217 L.F.).
Al ricorrere
di tale ipotesi, si configurerebbe altresì, in capo al professionista, la
consumazione del nuovo reato di “Falso
in attestazioni e relazioni”, previsto dall’art. 236-bis L.F.: la pena
prevista è la reclusione da 2 a 5 anni, e la multa da euro 50.000 ad euro
100.000, elevabile – qualora il fatto sia stato commesso per realizzare un
ingiusto profitto, per sé od altri – fino alla metà, se ne è derivato un danno
per il ceto creditorio.
Si segnala,
infine, che le suddette novellate disposizioni sono applicabili esclusivamente ai piani elaborati a decorre dall’11
settembre 2012, ovvero dal 30° giorno successivo all’entrata in vigore
della Legge n. 134/2012 di conversione del Decreto Crescita.
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