mercoledì 26 settembre 2012

Risanamento dell’impresa, l’attestatore deve essere indipendente anche dai creditori


di Michele BANA

L’art. 33, co. 1, n. 1, del D.L. n. 83/2012 (c.d. Decreto Crescita) ha riformulato l’art. 67, co. 3, lett. d), del R.D. n. 267/1942, riguardante l’esonero da azione revocatoria fallimentare – esperibile dal curatore, in presenza dei relativi presupposti – degli atti, dei pagamenti e delle garanzie concesse sui beni del debitore, posti in essere in esecuzione di un piano idoneo a permettere il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa, e a garantire il riequilibrio della situazione finanziaria aziendale. Lo strumento in parola, esplicando i propri effetti soltanto a seguito della sentenza dichiarativa di fallimento del debitore, deve, pertanto, ritenersi invocabile dai soli soggetti fallibili, ovvero gli imprenditori commerciali di natura privata, qualificabili come “non piccoli” in base all’art. 1 L.F., in quanto non rispettano, congiuntamente, i seguenti parametri dimensionali:
·    attivo patrimoniale complessivo annuo non superiore ad euro 300.000, nei tre esercizi precedenti la data di deposito della domanda di ammissione all’istituto (ovvero nel minor periodo dall’inizio dell’attività);
·   ricavi lordi annui non eccedenti euro 200.000, nel medesimo orizzonte temporale di cui al punto precedente;
·    esposizione di debiti, compresi quelli non scaduti, inferiore o pari ad euro 500.000.
Ai fini della suddetta esimente, è altresì necessario che il piano sia attestato da un professionista, designato dal debitore (novità del Decreto Crescita, che recepisce una prassi ormai consolidata), tra i soggetti che soddisfano tre condizioni:
·    iscritti nel registro dei revisori legali dei conti. La formulazione della norma appare, tuttavia, imprecisa rispetto all’imminente istituzione del registro dei revisori legali di cui al D.Lgs. n. 39/2010, che si comporrà di due sezioni, di cui una – quella degli “inattivi” – pare mal conciliarsi con le ragioni di tutela della fede pubblica sulle quali si fonda la figura dell’attestatore, inteso come un vero e proprio auditor del piano e dei dati sui quali si basa;
·    in possesso dei requisiti per la nomina a curatore fallimentare, a norma dell’art. 28, co. 1, lett. a) e b), del R.D. n. 267/1942. Si deve trattare, quindi, di un avvocato, dottore o ragioniere commercialista, o ragioniere, oppure di uno studio professionale associato o di una società tra professionisti i cui soci appartengano ad una delle predette categorie professionali;
·    indipendenti, rispetto ad ogni soggetto interessato all’operazione di risanamento (debitore, creditori, ecc.). In particolare, il professionista è indipendente se: non è legato a costoro da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’obiettività nel giudizio di attestazione; non rientra nelle cause di ineleggibilità dei sindaci di cui all’art. 2399 c.c.; negli ultimi 5 anni, non ha prestato – neppure per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale – attività di lavoro autonomo o subordinato a beneficio del debitore, né ha partecipato agli organi di amministrazione o controllo dello stesso.
Il Decreto Crescita ha, inoltre, rivisto l’oggetto del giudizio del predetto professionista, rimuovendo la mera valutazione di ragionevolezza, stabilendo, invece, che lo stesso – così come già previsto per il concordato preventivo – deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano.
Un’ulteriore novità riguarda l’introduzione di un regime, seppur facoltativo, di pubblicità del piano attestato di risanamento: il debitore può, infatti, richiedere l’iscrizione presso il registro delle imprese, potendo conseguire diversi obiettivi, tra i quali l’attribuzione della data certa, a decorrere dalla quale le operazioni compiute in esecuzione del piano attestato sono sottratte dall’ambito di operatività dell’azione revocatoria fallimentare, nel caso di successiva sentenza dichiarativa di fallimento del debitore. A ciò si aggiunga che quest’ultimo, nell’ipotesi di pubblicità del piano, può altresì beneficiare del regime di non imponibilità – altrimenti precluso, a norma del novellato art. 88, co. 4, del D.P.R. n. 917/1986 – delle sopravvenienze attive da riduzione delle passività dell’impresa, per la parte che eccede le perdite pregresse e di periodo di cui all’art. 84 del Tuir.
Alla luce di quanto sopra riportato, risulta evidente che, qualora il piano sia attestato da un professionista non indipendente, si producono i seguenti effetti, nel caso di successivo fallimento del debitore:
·    gli atti compiuti in esecuzione di tale documento sono assoggettabili a revocatoria fallimentare, se sussistono i presupposti;
·  non opera il regime di esonero di cui all’art. 217-bis del R.D. n. 267/1942, rispetto ai reati di bancarotta fraudolenta preferenziale (art. 216, co. 3, L.F.) e semplice (art. 217 L.F.).
Al ricorrere di tale ipotesi, si configurerebbe altresì, in capo al professionista, la consumazione del nuovo reato di “Falso in attestazioni e relazioni”, previsto dall’art. 236-bis L.F.: la pena prevista è la reclusione da 2 a 5 anni, e la multa da euro 50.000 ad euro 100.000, elevabile – qualora il fatto sia stato commesso per realizzare un ingiusto profitto, per sé od altri – fino alla metà, se ne è derivato un danno per il ceto creditorio.
Si segnala, infine, che le suddette novellate disposizioni sono applicabili esclusivamente ai piani elaborati a decorre dall’11 settembre 2012, ovvero dal 30° giorno successivo all’entrata in vigore della Legge n. 134/2012 di conversione del Decreto Crescita.

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