di
Michele BANA
L’art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997 definisce come presupposto del tributo
regionale l’abituale esercizio di un’attività economicamente
organizzata, diretta alla produzione o allo scambio di beni, ovvero alla
prestazione di servizi, come le società e gli enti, compresi gli organi e le
amministrazioni dello Stato. Alla luce della complessiva formulazione
letterale della disposizione, devono ritenersi privi della soggettività passiva Irap i seguenti contribuenti:
·
i titolari di redditi di natura occasionale sia
d’impresa che di lavoro autonomo (art. 67 co. 1, lett. i) e l), del D.P.R. n.
917/1986);
·
i titolari di redditi assimilati a quelli di lavoro
dipendente (es. co.co.co. o co.co.pro.);
·
i titolari di “altri redditi di lavoro autonomo” non
derivanti dall’esercizio di arti e professioni di cui all’art. 53, co. 2, del
Tuir (es. l’utilizzazione da parte dell’autore di opere di ingegno);
·
gli incaricati di vendita a domicilio soggetti a
ritenuta a titolo d’imposta;
·
le società semplici titolari di redditi derivanti
dalla concessione in affitto di terreni o fabbricati;
·
i
soggetti che hanno optato per il regime dei contribuenti minimi, non essendo
sufficiente il mero possesso dei requisiti per l’accesso allo stesso (C.M. n.
73/E/2007), salva l’accertata – da parte dell’Amministrazione Finanziaria –
assenza del requisito dell’autonoma organizzazione di cui all’art. 1 del D.Lgs.
n. 446/1997 (C.M. n. 45/E/2008),
meglio illustrato nel paragrafo seguente, valido ad escludere in genere la
soggettività passiva degli esercenti arti e professioni. È, pertanto, determinante, ai fini dell’assoggettamento ad Irap del lavoratore autonomo, la sussistenza del requisito dell’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata, prescritto dall’art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997. La disposizione ha formato oggetto, soprattutto con riferimento agli esercenti arti e professioni, di diverse interpretazioni, da parte – in primo luogo – della Consulta (Corte Cost. n. 156/2001) e, successivamente, della giurisprudenza di legittimità, nonché dell’Agenzia delle Entrate (C.M. n. 28/E/2010). I principi di diritto espressi dai giudici supremi, e le pronunce ministeriali, rappresentano, pertanto, i soli elementi, talvolta aleatori e privi di oggettività, di cui il contribuente dispone, ai fini di verificare la propria assoggettabilità all’Irap. In questo primo intervento, ci soffermeremo sull’orientamento della giurisprudenza di legittimità, rinviando ad un successivo contributo l’analisi della posizione dell’Amministrazione Finanziaria.
La prima
definizione significativa della nozione di “attività autonomamente organizzata”
è stata formulata, come anticipato, dalla Consulta, nella sentenza n. 156/2001,
secondo la quale l’esistenza dell’autonoma organizzazione – connaturata alla
nozione stessa di impresa – deve essere valutata con riferimento allo specifico
caso, attraverso l’esame dei fattori produttivi e organizzativi utilizzati
nell’esercizio dell’attività.
I provvedimenti emanati, successivamente, dalla Corte
di Cassazione, hanno ampliato notevolmente il novero dei soggetti rispetto ai
quali, ai fini dell’applicazione dell’Irap, si rende necessario l’accertamento
del possesso del requisito dell’autonoma organizzazione, stabilendo altresì
alcuni rilevanti principi:
· l’Irap
deve essere applicata pure ai lavoratori
autonomi, tenendo però presente che non si tratta di una regola assoluta,
ma solo dell’ipotesi ordinaria, nel senso che l’assoggettamento all’imposta
costituisce la norma per ogni tipo di professionista, mentre l’esenzione
rappresenta l’eccezione valevole soltanto per quelli privi di qualunque
apparato produttivo (Cass. nn. 3676 e
3677/2007);
· ai fini
dell’applicazione dell’Irap, è imprescindibile il requisito dell’autonoma organizzazione,
escludendo la validità della tesi di un generalizzato assoggettamento
all’imposta degli esercenti arti e
professioni (Cass. nn. 3673 e 3674/2007);
· è
autonomamente organizzato il lavoratore autonomo che presenti i seguenti requisiti,
salvo che il contribuente provi l’assenza degli stessi (Cass. nn. 23446/2010, 3672, 3676, 3678 e 3680/2007):
o
sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile
dell’organizzazione, senza essere, quindi, inserito in strutture organizzative
riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
o
impieghi
beni strumentali eccedenti le quantità che costituiscono, nell’attualità, il
minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di
organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui
(c.d. id quod plerumque accidit). È stato, ad esempio, considerato soggetto ad
Irap il notaio che si avvale, in modo strutturale, della collaborazione dei
lavoratori dipendenti per l’attività di segreteria e dell’impiego di beni
strumentali per le pratiche telematiche, costituenti un’autonoma
organizzazione, a nulla rilevando che quest’ultima sia imposta dall’esercizio
dell’attività, in ossequio alla normativa vigente (Cass. n. 16855/2009).
Risultano, pertanto, esclusi dal tributo regionale i
professionisti caratterizzati dalla seguente situazione:
· non operano in loro strutture autonome: ad esempio, sono privi di un
proprio studio professionale, essendo, invece, inseriti in compagini
organizzate da terzi;
· utilizzano soltanto i beni
strumentali indispensabili allo svolgimento dell’attività;
· non si avvalgono di lavoro prestato da altri, ovvero se ne
beneficiano soltanto in misura modesta, con carattere di eccezionalità ed
occasionalità (Cass. n. 6068/2010). Tale esimente non è stata, tuttavia, ritenuta
ricorrente in capo al professionista che usufruisce della collaborazione di un
apprendista a tempo parziale (Cass. n. 21563/2010). Nell’ipotesi specifica del libero professionista, è stato precisato che l’iscrizione all’albo non esclude, né determina (Cass. n. 19124/2010), l’assoggettamento ad Irap: ai fini dell’imponibilità, rileva, invece, l’esistenza di “un contesto organizzativo esterno anche minimo, derivante dall’impiego di capitali e/o di lavoro altrui, che potenzi l’attività intellettuale del singolo” (Cass. n. 3675/2007). Nel caso di esercizio in forma associata della professione, la Suprema Corte sostiene che è “da presumere che l’associazione, atteso lo scopo della medesima, sia dotata di strutture e mezzi (immobili, mobili, arredamenti, macchinari, servizi, collaboratori), ancorché non di particolare onere economico […] lo scopo della pattuizione dell’esercizio associato di una professione intellettuale sia anche quello di avvalersi della reciproca collaborazione e competenza, ovvero anche della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze (Cass. 6636/1987), con l’effetto di escludere l’autonomia organizzativa meramente soggettiva e personale di qualsiasi esercente una professione intellettuale, e di configurare invece quell’autonoma organizzazione oggettiva dell’attività abitualmente esercitata (D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, comma 1 – Corte Cost. 156/2001), idonea a far presumere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio, bensì di detta organizzazione associativa, costituita proprio per potenziare la produzione di ricchezza (VAP) a vantaggio degli associati, presupposto dell’Irap” (Cass. nn. 20499/2011, 20018/2011, 22386/2010, n. 22212/2010 e 13570/2007). Un principio analogo è stato espresso nella sentenza n. 2715/2008, secondo la quale gli studi associati “sono soggetti ad Irap quando l’esercizio in comune della attività professionale pur non configurando un centro di interessi dotato di autonomia funzionale (stante il carattere strettamente personale e fiduciario dell'esercizio delle professioni) dia luogo ad un insieme di strutture (immobili, mobili, macchinari, servizi, collaboratori) ancorché non di particolare onere economico, di guisa che il reddito da sottoporre ad Irap sia stato almeno potenziato e derivato dalla struttura, e non derivi dal solo lavoro professionale dei singoli (Cass. 13570/2007)”. È stato, infine, sostenuto che i soggetti che svolgono le attività ausiliare del commercio di cui all’art. 2195 c.c. non sono automaticamente soggetti all’Irap, ma solo se sussiste il requisito dell’autonoma organizzazione, trattandosi di attività miste, in quanto producono reddito d’impresa ma possono essere esercitate – analogamente alle libere professioni – senza l’autonoma organizzazione di capitale e lavoro (Cass. nn. 21578/2010, 2123 e 2124/2010, 12108 e 12111/2009). L’orientamento in parola è stato, inoltre, recepito dall’Agenzia delle Entrate (C.M. n. 28/E/2010, par. 1.), a modifica di una propria precedente presa di posizione che assoggettava ad Irap gli agenti di commercio ed i promotori finanziari, in virtù della natura imprenditoriale delle propria attività. In tale sede, l’Amministrazione Finanziaria ha rammentato che per imprese ausiliare devono intendersi, secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 8485/2003), “quelle che, prive di intrinseca autonomia funzionale, hanno come scopo tipico l’oggettiva agevolazione di altre attività, sicché l’impresa esercente l’attività ausiliaria, a differenza di quella produttrice di servizi (la cui attività, di carattere autonomo, ha per oggetto un prodotto destinato ad essere utilizzato dalla generalità delle imprese), se da un lato deve avere una propria struttura organizzativa ed operativa ben distinta da quella delle imprese ausiliate, dall’altro deve svolgere una funzione accessoria, complementare e strumentale rispetto all’attività tipica di altre imprese talché, ove venisse separata da queste, non avrebbe alcuna possibilità di utile applicazione (cfr. in tali sensi Cass. 23 agosto 1996 n. 7767)”. I predetti principi sono stati, poi, ritenuti estensibili anche ai “soggetti che
esercitano altri tipi di impresa” avvalendosi di limitati beni strumentali e
senza dipendenti o collaboratori (ad esempio, gli elettricisti artigiani),
subordinando – anche in questo caso – l’assoggettamento all’Irap alla
sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione (Cass. n. 15249/2010).
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