di Sandro CERATO
Con la C.M. n. 36/E/2012,
emanata nel tardo pomeriggio di ieri, l’Amministrazione finanziaria ha fornito
alcune nuove precisazioni in relazione alla fattispecie dell’utilizzo dei
beni d’impresa da parte dei soci, tornando su qualche questione già in
precedenza affrontata nella C.M. n. 24/E/2012. Come noto, l’art. 2, co. da
36-terdecies a 36-duodevicies, del D.L. n. 138/2011 prevede che in caso di
concessione di beni d’impresa in godimento ai soci o familiari, l’eventuale
differenza tra valore di mercato del diritto di godimento del bene stesso e
l’eventuale corrispettivo pagato dal socio utilizzatore costituisce reddito
diverso (nuova lett. h-ter dell’art. 67 del Tuir, mentre in capo al soggetto
concedente (società o impresa) si realizza l’indeducibilità di tutti i costi
(quote di ammortamento se il bene è detenuto in proprietà, canoni di locazione
qualora sia posseduto in locazione, anche finanziaria, spese di gestione,
ecc.).
Il primo chiarimento fornito con
la C.M. n. 36/E/2012 riguarda la documentazione relativa ai beni
concessi in utilizzo ai soci, in cui prevedere gli elementi essenziali del
rapporto tra società e socio, quali il corrispettivo pattuito per il godimento
e la durata dell’utilizzo stesso, che – in base a quanto precisato dall’Agenzia
nella precedente C.M. n. 24/E/2012 – è necessario abbia data certa anteriore
all’inizio dell’utilizzazione da parte del socio assegnatario. Tale affermazione
aveva suscitato non poche perplessità, soprattutto legate al fatto che la
precisazione fosse contenuta in un atto emanato il 15 giugno scorso, laddove
molte società avevano già provveduto a documentare l’utilizzo del bene da parte
del socio con elementi probatori di varia natura, e difficilmente dotata di
data certa. Ora, nella C.M. n. 36/E/2012, l’Agenzia conferma la validità di
quanto affermato nella C.M. n. 24/E, chiarendo, tuttavia, che “in assenza
della predetta documentazione il contribuente può, comunque, diversamente
dimostrare quali sono gli elementi essenziali dell’accordo”, senza, però,
indicare quali caratteristiche debba avere tale documentazione, lasciando,
quindi, aperta la questione.
La seconda questione attiene i beni
concessi in godimento a soci di società trasparenti, ovvero goduti da parte
dell’imprenditore stesso: a questo proposito, la C.M. n. 24/E/2012 aveva
stabilito che “il maggior reddito della società derivante
dall’indeducibilità dei costi andrà imputato esclusivamente ai soci utilizzatori
(anche nell’ipotesi in cui il bene sia utilizzato dai loro familiari)”.
Relativamente alla portata applicativa di tale affermazione, la dottrina ha
criticato la stessa in quanto passibile di portare ad una doppia tassazione in
capo al socio (intero maggior reddito di partecipazione derivante dalla
variazione in aumento operata dalla società e reddito diverso per la differenza
tra valore normale e corrispettivo). Sul punto, la C.M. n. 36/E/2012 ha
osservato che per evitare tale doppia tassazione il reddito diverso da
assoggettare a tassazione è pari alla differenza che risulta tra i seguenti due
elementi:
·
eccedenza del valore normale del diritto di
godimento del bene rispetto al corrispettivo pagato dall’utilizzatore;
·
reddito d’impresa attribuito all’utilizzatore
stesso (imprenditore o socio) a seguito dell’indeducibilità dei costi in capo
alla società o impresa.
Esempio (C.M. n. 36/E/2012)
(A) valore normale del diritto di
godimento: 10.000
(B) corrispettivo pagato dal
socio: 5.500
(C) Differenza (A – B): 10.000 –
5.500 = 4.500
(D) Maggior reddito d’impresa (da
imputare al socio e pari ai costi indeducibili): 2.000
(E) Reddito diverso da imputare
al socio (C – D): 4.500 – 2.000 = 2.500
Nell’ipotesi in cui il bene
concesso in godimento sia a deducibilità limitata, per effetto di norme del
Tuir (ad esempio, un’autovettura il cui costo fiscalmente ammesso rileva per il
40%, sino al periodo d’imposta in corso al 18 luglio 2012, e del 27,50% a
partire dal successivo), la C.M. n. 36/E/2012 dispone che per determinare il
reddito diverso da assoggettare a tassazione è necessario confrontare i due
seguenti importi:
·
il valore normale del diritto di godimento del
bene – rappresentato dal c.d. fringe
benefit, determinato ai sensi dell’art. 51, co. 4, del D.P.R. n. 917/1986 –
al netto del corrispettivo eventualmente pagato;
·
il maggior reddito derivante dalla ripresa a
tassazione dei costi indeducibili dell’autovettura, ex art. 164 del Tuir,
imputato a tutti i soci, a prescindere da chi utilizza effettivamente il
veicolo.
Esempio (C.M. 36/E/2012):
società composta da due soci al 50%
(A) valore normale del diritto di
godimento: 800
(B) corrispettivo pagato dal
socio: zero
(C) Differenza (A – B): 800 –
zero = 800
(D) Maggior reddito d’impresa (da
imputare in proporzione ai soci): 600 (60% di 1.000 di costi sostenuti dalla
società)
(E) Reddito diverso da imputare
al socio: 800 – 300 (pari al 50% della ripresa a tassazione in capo alla
società) = 500
L’ultimo chiarimento fornito
dall’Agenzia riguarda, infine, i beni per i quali il D.P.R. n. 917/1986
garantisce l’integrale deducibilità dei costi, anche quando gli stessi, per
loro natura, si prestano ad un uso promiscuo, come ad esempio i taxi (che la
disciplina in materia prevede la possibilità di utilizzare anche per scopi
privati). In tal caso, precisa la C.M. n. 36/E/2012, le disposizioni del D.L.
n. 138/2011 non trovano applicazione, con conseguente applicazione dell’art.
164 del Tuir, che stabilisce la piena deducibilità di tutti i costi relativi a
tali beni. Sul punto, si ritiene che alla medesima conclusione si debba
pervenire anche per le altre fattispecie di deducibilità integrale stabilite
dalla medesima norma, ossia laddove i veicoli costituiscano oggetto proprio
dell’attività d’impresa (rivenditori e concessionari d’auto, imprese di
noleggio, autoscuole, ecc.).
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