di Michele BANA
Il presupposto di applicazione dell’imposta regionale delle attività produttive, come illustrato in un precedente intervento, ha formato oggetto di diverse pronunce giurisprudenziali. A seguito della sentenza n. 156/2001 della Corte Costituzionale, si rilevano diverse prese di posizione dell’Amministrazione Finanziaria, anche a commento – ovvero recepimento – delle interpretazioni della Cassazione. In primo luogo, la R.M. n. 32/E/2002 ha confermato che il requisito dell’autonomia organizzativa sussiste con riferimento ai lavoratori autonomi esercenti arti o professioni (art. 53, co. 1, del D.P.R. n. 917/1986), con esclusione delle attività svolte occasionalmente: in tale sede, è stato altresì sottolineato come l’esistenza, seppur minima, del requisito dell’organizzazione sia una connotazione tipica del lavoro autonomo.
La fattispecie era già stata esaminata dalla C.M. n. 141/E/1998, secondo la quale il legislatore ha inteso perseguire l’obiettivo di escludere dall’ambito di applicazione del tributo tutte quelle attività che, pur potendosi astrattamente ricondurre all’esercizio di impresa, di arte o professione, non sono tuttavia esercitate mediante un’organizzazione autonoma da parte del soggetto interessato. È il caso, ad esempio, delle attività di collaborazione coordinata e continuativa, qualora non comportino l’impiego di propri “mezzi organizzati”. Conseguentemente, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto soggetto all’applicazione dell’Irap il professionista che svolga l’attività nella propria abitazione, senza l’impiego di beni strumentali, né con l’ausilio di collaboratori e dipendenti, in quanto ha posto in essere un’autonoma organizzazione. Successivamente, l’Amministrazione Finanziaria, con la C.M. n. 45/E/2008, ha commentato alcune significative sentenze emanate dalla Corte di Cassazione a partire dall’anno 2007.
In tale sede, è stato desunto un principio generale, secondo il quale il requisito dell’autonoma organizzazione sussiste in capo ai lavoratori autonomi che soddisfano almeno uno dei seguenti requisiti:
· impiego, “in modo non occasionale, di lavoro altrui”, anche se assunti secondo modalità riconducibili a un progetto, programma di lavoro o fase di esso. L’affidamento a terzi, in modo non occasionale, di incombenze tipiche dell’attività artistica o professionale, normalmente svolte all’interno dello studio, deve, pertanto, essere valutata ai fini della sussistenza dell’autonoma organizzazione. Non rileva, invece, l’eventuale prestazione fornita da terzi per attività estranee a quelle professionali o artistiche (ad esempio, consulenza ed assistenza tributaria ai fini dell’assolvimento degli obblighi fiscali di un artista). Non assume, inoltre, importanza lo svolgimento presso il professionista di un tirocinio, in quanto lo stesso è in sostanza funzionale alle esigenze formative del praticante;
· utilizzo di “beni strumentali eccedenti, per quantità o valore”, le necessità minime per l’esercizio dell’attività (c.d. id quod plerumque accidit), anche qualora non vengano acquisiti direttamente, ma siano forniti da terzi, a qualunque titolo. L’esposizione, nella dichiarazione dei redditi, di beni ammortizzabili per notevoli importi non determina l’assoggettamento ad Irap, se riferiti ad un professionista privo del requisito dell’autonoma organizzazione (Cass. n. 19124/2010), a prescindere dal mezzo giuridico col quale quest’ultima è attuata (dipendenti ovvero società di servizi), potendosi realizzare anche attraverso la disponibilità di beni strumentali, capitali e stabili forme di collaborazione, funzionali all’espletamento delle particolari incombenze. È il caso, ad esempio, del contratto di outsourcing che impegna le parti a collaborare affinché la clientela percepisca l’attività come organizzazione unitaria fornitrice di più servizi (Cass. n. 12078/2009).
Il requisito dei beni strumentali destinati all’attività è particolarmente monitorato dall’Agenzia delle Entrate, anche nel caso di cespiti aventi il costo fiscale completamente ammortizzato. Una peculiare attenzione è dedicata ai fabbricati strumentali, in quanto ritenuti rilevanti dall’Amministrazione Finanziaria: tale tesi non trova, tuttavia, conforto nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il possesso dello studio professionale, distinto dall’abitazione del lavoratore autonomo, non configura necessariamente la sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione, se qualificabile come “modesto”, ovvero indispensabile all’esercizio dell’attività (Cass. n. 23155/2010): i relativi costi di funzionamento (ammortamento, condominio, riscaldamento, ecc.) non costituiscono un decisivo indice di autonoma organizzazione, essendo necessaria la ricorrenza di altri elementi probatori. Il medesimo orientamento era stato, inoltre, già espresso dall’Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (Circolare n. 2/IR/2008).
La posizione della Corte di Cassazione è diversificata, a seconda dello specifico caso concreto. In particolare, è esclusa la rilevanza nei seguenti casi riguardanti l’immobile di proprietà:
· il medico, obbligato alla dotazione di uno studio attrezzato, in virtù di un obbligo stabilito dalla convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale (Cass. n. 10240/2010), purché non ecceda il minimo indispensabile per l’esercizio della professione medica, desumibile dalle media degli investimenti dello specifico settore (Cass. n. 2850/2009), né disponga di personale dipendente (Cass. n. 24953/2010);
· l’avvocato, che adibisce a studio una stanza della propria abitazione (Cass. n. 15110/2009);
· il giovane professionista, che svolge l’attività in un ufficio concesso in comodato dal padre (Cass. n. 18973/2009).
In altri termini, deve essere verificata l’esistenza di un apparato che non sia sostanzialmente ininfluente, ovvero di un quid pluris – ovvero “quel qualcosa in più rispetto alle mere facoltà intellettuali e manuali, attitudini e allo spirito di iniziativa del contribuente lavoratore autonomo o imprenditore” – che secondo il comune sentire, del quale il giudice di merito è portatore ed interprete, sia in grado di fornire un apprezzabile apporto al professionista. Sul punto, la Suprema Corte ha enunciato un significativo principio di natura operativa (Cass. n. 3678/2007): “Esemplificativamente il giudice del merito potrà ricercare i dati di riscontro del presupposto impositivo attraverso l’autodichiarazione del contribuente ovvero la certificazione dell’Anagrafe tributaria in possesso dell’Amministrazione finanziaria, soffermandosi sul dettaglio riportato nelle pertinenti sezioni del Quadro RE (riguardante la determinazione del reddito di lavoro autonomo ai fini Irpef) che specifica la composizione dei costi (righi da 6 a 18) riportando - tra gli altri - le quote di ammortamento dei beni strumentali (con tipologia ricavabile dal registro dei cespiti ammortizzabili o dal registro dei pagamenti), i canoni di locazione finanziaria e non, le spese relative agli immobili, le spese per prestazioni di lavoro dipendente, per le collaborazioni e di compensi comunque elargiti a terzi, gli interessi passivi”.
L’Agenzia delle Entrate ha, inoltre, fornito un puntuale parametro quantitativo impiegabile ai fini dell’esclusione dall’Irap, ovvero l’osservanza dei limiti prescritti per l’accesso al regime dei contribuenti minimi dall’art. 1, co. 96-117, della Legge n. 244/2007, anche se il contribuente non se ne è avvalso (C.M. n. 45/E/2008, paragrafo 5.4.), e precisamente:
· il conseguimento di ricavi o compensi, ragguagliati ad anno, non superiori ad euro 30.000,00;
· la mancata effettuazione di cessioni all’esportazione;
· l’inesistenza di spese per lavoratori dipendenti o collaboratori di cui all’articolo 50, co. 1, lett. c) e c-bis), del Tuir, anche assunti secondo la modalità riconducibile a un progetto, programma di lavoro o fase di esso;
· l’acquisto, nel triennio, di beni strumentali, pure mediante contratti di appalto e di locazione, pure finanziaria, per un ammontare complessivo non superiore ad euro 15.000,00.
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