L’art. 101, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986
stabilisce che le perdite su crediti sono deducibili, in deroga al principio
generale della risultanza da “elementi certi e precisi”, se il debitore è
assoggettato ad una procedura concorsuale oppure ha concluso un accordo di
ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis del R.D. n.
267/1942. Al ricorrere di una di queste eccezioni, è riconosciuta la rilevanza
fiscale della perdita su crediti, a partire dalla data di apertura della
procedura concorsuale, individuata da uno dei seguenti atti:
· sentenza dichiarativa di
fallimento;
· decreto di ammissione al
concordato preventivo;
· decreto di omologazione
dell’accordo di ristrutturazione dei
debiti;
· provvedimento ordinante
la liquidazione coatta amministrativa;
· decreto disponente l’amministrazione straordinaria delle grandi
imprese in crisi.
La norma non considera, tuttavia, i diversi
momenti successivi della procedura – sino alla chiusura della stessa – in cui è
possibile individuare, con ragionevole oggettività, la parte di credito effettivamente non più recuperabile.
A questo proposito, la Suprema Corte attribuisce assoluta preferenza per il
principio generale di cui all’art. 109, co. 1, Tuir, secondo il quale i
componenti negativi di reddito di cui – nell’esercizio di competenza – non sia
ancora certa l’esistenza, o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, concorrono alla formazione
dell’imponibile fiscale nel periodo in cui si verificano tali condizioni (Cass. n. 12831/2002). La giurisprudenza
in parola sostiene, pertanto, che non vi sia ragione di escludere
aprioristicamente la possibilità che l’apprezzamento delle suddette circostanze
consenta di individuare i requisiti di certezza e determinabilità della
perdita, con riguardo ad un esercizio
diverso da quello nel corso del quale la procedura concorsuale si è aperta. In altri termini, la Corte di
Cassazione ritiene – analogamente al prevalente orientamento dottrinale,
fondato sull’evoluzione della normativa fiscale, improntata ad una maggiore
aderenza ai criteri civilistici – che il contenuto letterale della norma in
commento “disponendo la deducibilità dei
crediti nell’anno di apertura della procedura concorsuale, non ne impone perciò
la deduzione, e non offre una base all’assunto che essa dovrebbe aver luogo
indefettibilmente in quell’esercizio”.
L’orientamento della
Corte di Cassazione risulta, quindi, coerente con l’incerto sviluppo della fase
liquidatoria della procedura concorsuale, che condiziona la puntuale
recuperabilità del credito, subordinata all’andamento di molteplici variabili.
Con l’effetto che non appare, pertanto, ragionevole escludere, a priori, la
possibilità di accertare, in un periodo
d’imposta differente da quello di apertura della procedura concorsuale, i
requisiti di certezza e determinabilità della perdita. Fermo restando il divieto di scegliere, arbitrariamente,
il periodo d’imposta in cui dedurre tale componente negativo di reddito,
prescindendo dall’osservanza dell’inderogabile principio di competenza (Cass. n.
16330/2005).
Ad analoghe conclusioni è,
successivamente, giunta anche l’Associazione dei Dottori Commercialisti di
Milano, secondo la quale le perdite su crediti concorsuali sono deducibili
nell’esercizio in cui si manifestano e sono iscritte in bilancio, in base al
prudente apprezzamento degli amministratori, potendo avvenire nel periodo di
apertura della procedura oppure, anche parzialmente, in uno successivo (Norma di comportamento n. 172/2008).
La data
di avvio dell’iter rappresenta, dunque, esclusivamente il momento di
presumibile sussistenza della perdita, la cui determinazione, fiscalmente
rilevante, deve essere operata in ossequio ai principi civilistici.
L’individuazione del periodo d’imposta, secondo i
suddetti criteri, consegue l’effetto di attribuire rilevanza fiscale alle valutazioni civilistiche dell’impresa,
fondate sulla stima del valore presumibile di realizzo (Circolare Assonime n.
69/2005, pag. 38).
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