di
Michele BANA
In mancanza di uno specifico divieto normativo,
deve ritenersi ammessa la possibilità che un lavoratore subordinato assuma
l’incarico di amministratore della medesima impresa (c.d. dipendente-amministratore),
purchè venga salvaguardato il potere di controllo dell’organo collegiale di
gestione. La predetta facoltà è, pertanto, preclusa in capo
all’amministratore unico (Cass. n. 24188/2006), che di fatto
eserciti i relativi poteri, a prescindere dal profilo formale (Cass. n. 6819/2000):
al ricorrere di tale ipotesi, non è, infatti, riscontrabile l’effettivo assoggettamento
al potere direttivo e disciplinare di altri, che rappresenta, invece, il
requisito tipico del vincolo di subordinazione (Cass. n. 13009/2003 e n. 894/1998).
In altri termini, rileva il contenuto sostanzialmente imprenditoriale
dell’attività gestoria svolta dall’amministratore unico, in relazione alla
quale non è individuabile la formazione di una volontà imprenditoriale
distinta, tale da determinare la soggezione del dipendente-amministratore
unico ad un potere disciplinare e direttivo “esterno” (Cass. n. 1662/2000 e n.
381/2000). Con l’effetto che non è configurabile un valido rapporto di
lavoro subordinato, comportando, conseguentemente l’indeducibilità dei costi
sostenuti a tale titolo dall’impresa: l’art. 95, co. 5, del Tuir riconosce,
infatti, rilevanza Ires esclusivamente alla spese di lavoro dipendente ed ai
compensi degli amministratori, ma non anche a quelli riconosciuti all’imprenditore,
a cui la citata giurisprudenza di legittimità assimila la figura
dell’amministratore unico (Fondazione Studi Consulenti del Lavoro,
Circolare n. 13/2010).
La medesima esclusione deve, inoltre,
ritenersi operante in un particolare caso di collegialità, in cui tutti gli
amministratori della società siano anche lavoratori dipendenti della medesima
impresa (Trib. Reggio Emilia 20 settembre 1982, e App. Bologna 20 dicembre
1983): “in tal caso, infatti, verrebbe meno la possibilità che alcuni
componenti dell’organo amministrativo controllino gli altri nell’esplicazione
della loro attività subordinata; verrebbe ciò è meno la distinzione tra
soggetto controllante e soggetto controllato”.
Alcuni dubbi di compatibilità sorgono,
inoltre, con riferimento alla posizione del dipendente-amministratore
delegato, a causa dell’orientamento dell’Amministrazione Finanziaria,
difforme da quello della dottrina prevalente e della giurisprudenza di legittimità. Queste ultime ammettono,
infatti, il cumulo dei due
incarichi, qualora l’amministratore delegato esprima, in via autonoma ed
esclusiva, la volontà propria della società: in altri termini, tale funzione
gestoria – se circoscritta ai soli poteri di ordinaria amministrazione –
è ritenuta compatibile con quella di lavoratore dipendente, in quanto al
consiglio di amministrazione sono riservati i poteri straordinari e, quindi, di
direzione, controllo e disciplinari sull’attività del lavoratore subordinato (Cass.
n. 1490/2000 e n. 12283/1998). Tale ipotesi appare, tuttavia, difficilmente
prospettabile, a parere dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui “non
esisterà mai delega circoscritta all’ordinaria amministrazione in presenza di
potere di rappresentanza della società”
(FiscoOggi, 14 maggio 2009). In particolare, è stata sostenuta la
mancanza di subordinazione nel caso di un dipendente-amministratore munito, con
firma libera, di alcuni specifici poteri:
rappresentare l’impresa nei confronti di enti
pubblici e privati;
agire, resistere e rappresentare la società in
giudizio;
conferire e revocare mandati a consulenti tecnici,
legali e procuratori;
transigere
e conciliare qualsiasi vertenza e pendenza relativa alla società, anche in sede
giudiziale;
determinare
le condizioni, i prezzi ed i termini di acquisto di beni e servizi;
riscuotere
qualunque somma, a qualsiasi titolo, dovuta alla società,
sottoscrivere
contratti di deposito bancario e titoli;
negoziare
e stipulare aperture di credito, fidi, mutui e finanziamenti.
Aderendo alla tesi dell’Agenzia delle Entrate,
dovrebbe, quindi, ritenersi esclusa anche la compatibilità tra il lavoro
dipendente e la carica di presidente del consiglio di amministrazione,
in quanto disponente del potere di generale rappresentanza della società. Si
riscontra, tuttavia, l’orientamento contrario della giurisprudenza di
legittimità, ormai consolidata, secondo cui è lecito il cumulo delle due
funzioni, purchè risulti soddisfatta una condizione: il presidente del consiglio di
amministrazione non è titolare di poteri deliberativi, ma dispone
soltanto della rappresentanza esterna e delle funzioni esecutive per cui, nella
veste di dipendente, risponde del proprio operato all’organo collegiale (Cass.
n. 7465/2002 e n. 706/1993).
La formale cumulabilità delle funzioni di
lavoratore dipendente ed amministratore, presso la medesima impresa, non
esonera, tuttavia, il soggetto interessato dal rischio di contestazione
dell’effettiva sussistenza del vincolo di subordinazione, ovvero dell’assoggettamento
al potere direttivo, di controllo e disciplinare del consiglio di
amministrazione dell’impresa nel complesso, nonostante la propria qualità
di amministratore (Cass. n. 13018/2011 e 5418/1996). Conseguentemente, assumono un valore meramente
indicativo, e non determinate, la previsione dell’osservanza di un orario,
dell’assenza di rischio economico, della collaborazione e della forma di
retribuzione. È, pertanto, necessario che il lavoratore subordinato svolga mansioni
diverse da quelle proprie di amministratore, sottoposte ad un effettivo
potere di supremazia gerarchica (Cass. n. 329/2002 e n. 5944/1991). In senso
conforme, si è altresì espressa l’Agenzia delle Entrate, peraltro coerentemente
con la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 24188/2006): “la
sovrapposizione delle predette funzioni nell’ambito della stessa società deve
ritenersi ammissibile solo nel caso in cui sussista un vincolo di
subordinazione e l’attività svolta non rientri nel mandato di amministratore”.
Il sopravvenuto accertamento dell’insussistenza
del rapporto di lavoro subordinato non inficia, naturalmente, la validità
degli atti compiuti dal medesimo soggetto nell’esercizio delle proprie funzioni
di amministratore: conseguentemente, i relativi effetti continuano a
prodursi pienamente nei confronti dei terzi, ad eccezione di quelli
eventualmente assunti in “conflitto d’interessi”. Tale situazione comporta,
però, effetti di duplice natura:
fiscale:
ripresa a tassazione dei costi dedotti dalla s.r.l., in virtù del disconosciuto
rapporto di lavoro subordinato;
previdenziale: diniego
all’erogazione del trattamento pensionistico di lavoro dipendente, restituzione
dei contributi versati e dei relativi interessi.
A questo proposito, si
riscontra una posizione particolarmente rigida da parte dell’Inps (Circolare
n. 179/1989), che nega la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato
in capo al soggetto che rivesta altresì, nell’ambito della medesima
impresa, una delle seguenti funzioni gestorie: amministratore unico; amministratore
delegato; presidente del consiglio di amministrazione; mero componente
dell’organo collegiale, ma detentore anche della maggioranza del capitale
sociale della medesima impresa amministrata: è, invece, ammessa la
posizione del solo dipendente-socio di maggioranza, ma non amministratore
(Cass. n. 21759/2004).
L’Inps ritiene, infatti, che
tali soggetti rivestono una carica di gestione “tale da rendere evanescente
la posizione di subordinazione rispetto agli altri” : in senso contrario,
Cassazione e dottrina, che ritengono sussistente il rapporto di
lavoratore dipendente dell’amministratore, se quest’ultimo non è unico, né
dispone dei poteri di straordinaria amministrazione.
È, in ogni caso, ammessa la prova
contraria, sulla base delle
procedure aziendali, dalle quali risulti che il lavoratore dipendente è stato
assunto per svolgere attività diverse da quelle proprie di amministratore. È
altresì necessario che ciò trovi riscontro in un atto – formatosi in
assenza di conflitto d’interessi (Cass. 7 marzo 1996, n. 1793) – contenente, in
modo preciso e dettagliato, alcune specifiche informazioni: le mansioni
attribuite, ovvero la qualifica dirigenziale, in quanto maggiormente
coerente con il conferimento dell’incarico di amministratore; il trattamento
economico-normativo stabilito; il nominativo della persona a cui il lavoratore
subordinato è gerarchicamente sottoposto.
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