di
Michele BANA
Il
patto parasociale rappresenta un accordo tra i soci – anche successivo alla
costituzione della partecipata – diretto a regolare specifici rapporti o diritti
che potrebbero derivare dall’atto costitutivo o dallo statuto, oppure porre
determinati obblighi nei confronti di alcuni soggetti. All’intesa possono
partecipate anche “non soci”, purchè
riguardi l’esercizio di diritti, facoltà o poteri dei soci (Cass. n.
15963/2010), come il creditore pignoratizio, il custode giudiziario o
l’usufruttuario: in ogni caso, l’accordo non è suscettibile di produrre effetti
rispetto alla società ed ai terzi, rilevando esclusivamente nei rapporti interni tra i soggetti aderenti (Trib.
Milano 19 aprile 2010).
La
disciplina civilistica dei patti
parasociali è contenuta negli artt. 2341-bis e 2341-ter c.c., nell’ambito della
normativa riguardante le s.p.a. differenti da quelle appartenenti ad un gruppo
(art. 26, co. 2, del D.Lgs. n. 127/1991), finanziarie – art. 23, co. 1, del
D.Lgs. n. 385/1993 – o quotate. In particolare, l’art. 2341-bis, co. 1, c.c.
stabilisce le caratteristiche di tali strumenti:
· hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nella
partecipata, oppure in proprie controllanti (c.d. sindacato di voto o di organizzazione delle decisioni);
· pongono dei limiti al trasferimento delle relative partecipazioni delle
controllanti (c.d. sindacato di blocco);
· determinano l’effetto della
disponibilità, anche congiunta, dell’influenza dominante sulla società
interessata (c.d. sindacato di gestione).
L’adesione a tale tipologia di patto da parte degli amministratori può, tuttavia, costituire una giusta causa di revoca, se la partecipazione all’accordo comporta
il vincolo di svolgere i propri compiti gestori in conformità a quanto deciso
dai partecipanti al patto (Cass. n.
8221/2012), generando un sostanziale conflitto d’interessi, suscettibile di
ledere il necessario rapporto fiduciario sul quale deve fondarsi il mandato
conferito dalla società amministrata;
· non possono avere durata superiore ai 5 anni – rinnovabili alla scadenza, ma
non tacitamente (diversamente, il patto si considera contratto a tempo
indeterminato) – e si intendono
stipulati per questo periodo massimo anche se le parti hanno stabilito un
termine maggiore.
Il
successivo co. 2 disciplina, inoltre, il caso di mancata previsione della durata, per effetto della quale – ferma
restando la validità del patto (Cass. n. 6898/2010) – è riconosciuto a ciascun
contraente il diritto di recesso,
con un preavviso di almeno 180 giorni. Sul punto, la giurisprudenza di merito
ha osservato che l’attribuzione di tale facoltà deve essere considerata come un
principio generale dell’ordinamento, in funzione di limite ad una durata
indefinita del vincolo, e quale espressione di manifesto disfavore, segnalato
dalla coerente pluralità di dati normativi, nei confronti di esso: un potere
che, in quanto tale, appare suscettibile di trovare riconoscimento ed
applicazione anche in schemi contrattuali atipici, quali sono i patti di sindacato, ponendosi
chiaramente anche in essi, a fronte della previsione di una durata
indeterminata, l’esigenza di tutela dei valori essenziali sia di libera
determinazione del soggetto, sia di circolazione delle risorse economiche (Trib.
Milano n. 747/2009).
I predetti criteri non sono, tuttavia, applicabili
ai patti strumentali ad accordi di collaborazione nella produzione o nella
scambio di beni o servizi, e relativi a società interamente possedute dai
partecipanti all’accordo.
L’art. 2341-ter c.c. disciplina, invece, il regime
di pubblicità dei patti parasociali
previsto per le s.p.a. che fanno ricorso
al mercato del capitale di rischio di cui all’art. 2325-bis, co. 1, c.c.:
l’accordo deve essere comunicato alla partecipata, e dichiarato in apertura di
ogni assemblea, con relativa trascrizione del verbale, da depositarsi – a cura
del segretario dell’adunanza o, nel caso di assemblea straordinaria, del notaio
– per l’iscrizione presso il registro delle imprese. In mancanza, i possessori di
partecipazioni cui si riferisce il patto parasociale non possono esercitare il
diritto di voto, e le deliberazioni assunte con il loro voto determinante sono
impugnabili a norma dell’art. 2477 del codice civile.
La suddetta disciplina civilistica è applicabile anche
alle s.a.p.a. ed alle società cooperative che applicano le disposizioni delle
s.p.a., per espresso rinvio normativo (artt. 2454 e 2519, co. 1, c.c.), ma non
alle s.r.l. ed alle società di persone, le quali possono
comunque essere interessate dai patti parasociali, che non trovano però
regolamentazione negli artt. 2341-bis e 2341-ter c.c., come precisato nella
reazione al D.Lgs. n. 6/2003, bensì nei principi generali: in senso conforme,
si riscontra anche l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 6703/2010).
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