Gli amministratori dispongono del potere di esprimere
la volontà della società a responsabilità limitata nei rapporti con i terzi:
benché manchi un riferimento esplicito al potere di gestione (decidere ed
attuare atti d’impresa), il contenuto ed i limiti di tale diritto
possono essere desunti, in via interprestativa, dal complesso delle norme
dedicate alla società a responsabilità limitata. È, pertanto, possibile
riconoscere la titolarità in capo agli amministratori di un generale potere
gestionale che può ritenersi esteso a tutti gli atti che rientrano
nell’oggetto sociale, indicato nello statuto e limitato a specifiche
disposizioni di legge o dell’atto costitutivo, dirette a riservare ai soci la
competenza su determinate materie attinenti alla gestione sociale.
Le limitazioni al generale potere di
rappresentanza riservato agli amministratori, risultanti dall’atto
costitutivo o da quello di nomina, non sono opponibili a terzi, anche
se pubblicate, salvo che si provi abbiano intenzionalmente agito a danno della
società (art. 2475-bis, co. 2, c.c.). In altri termini, il legislatore ha
inteso introdurre una tutela a beneficio dei terzi di buona fede, per
effetto della quale devono, quindi, ritenersi validi gli atti compiuti
dagli amministratori:
- muniti del potere di rappresentanza, ma privi di quello di gestione, come nel caso degli atti estranei all’oggetto sociale (Cass. n. 13442/2005);
- in eccesso del reale potere di rappresentanza e gestione conferiti.
La carenza dei poteri di rappresentanza, in base
all’atto costitutivo o di nomina, rilevano comunque nei rapporti interni
alla società, anche come giusta causa di revoca, ovvero presupposto di
denuncia al collegio sindacale ed esercizio dell’azione sociale di
responsabilità. Sono, invece, opponibili anche ai terzi i limiti legali del
potere di rappresentanza, come nel caso di atti compiuti in assenza della
necessaria approvazione preventiva dei soci:
- operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale indicate nell’atto costitutivo, ovvero una rilevante variazione dei diritti dei soci (art. 2479, co. 2, n. 5), c.c.);
- acquisti, per un importo superiore al 10% del capitale sociale, di beni o crediti dei soci fondatori, nei due anni dall’iscrizione della costituzione nel registro delle imprese (art. 2465, co. 2, c.c.);
- assunzione di partecipazioni in altre imprese, comportanti una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle stesse (art. 2361, co. 2, c.c.): si tratta di una norma specifica delle s.p.a., applicabile in via analogica anche alle società a responsabilità limitata.
La delega dei poteri degli amministratori, non essendo espressamente
disciplinata da una specifica disposizione civilistica, deve ritenersi
possibile in base all’atto costitutivo, che può contemplare l’istituzione dell’incarico di amministratore
delegato, ovvero la costituzione di un vero e proprio comitato esecutivo,
come previsto per le s.p.a. (art. 2381 c.c.): in senso conforme, si riscontra
altresì l’orientamento del Comitato Triveneto dei Notai (massima I.C.15).
L’art. 2475-ter c.c. disciplina, invece, il caso
dei contratti conclusi dagli amministratori – muniti del potere di
rappresentanza della società – in conflitto di interessi, per conto proprio o
di terzi: possono essere annullati, su istanza della s.r.l., se tale vizio era conosciuto, o riconoscibile,
dal terzo.
Le decisioni adottate dal consiglio di
amministrazione, con il voto determinante di un amministratore in conflitto
d’interessi con la società, e tali da cagionare un danno patrimoniale all’impresa,
possono essere impugnate – entro 90 giorni – dagli amministratori e, se
nominati, dal collegio sindacale o dal soggetto incaricato della
revisione legale dei conti.
Fermi restando, in ogni caso,
i diritti acquistati in buona fede dai terzi, in base ad atti compiuti
in esecuzione della decisione in conflitto d’interessi.
Per quanto concerne il divieto di concorrenza, non
essendo prevista una disposizione ad hoc per le s.p.a., è necessario fare
riferimento – in ossequio ai generali principi di esecuzione del mandato
gestorio in base a buona fede e correttezza – alla disciplina prevista per
le società per azioni, contenuta nell’art. 2390 c.c., secondo cui
gli amministratori non possono (salvo autorizzazione dell’assemblea):
- assumere la qualità di soci illimitatamente responsabili in società concorrenti;
- esercitare un’attività concorrente per conto proprio o di terzi;
- essere amministratori o direttori generali in società concorrenti.
L’inosservanza del divieto di concorrenza può
comportare la revoca dall’incarico di amministrazione, e la responsabilità
per il risarcimento dei danni cagionati: sul punto, il Comitato Triveneto
dei Notai (massima I.C.16) ha, tuttavia, ravvisato la necessità che nell’atto
costitutivo venga espressamente prevista l’eventuale applicabilità del
divieto di concorrenza.
La dimissione dall’incarico di
amministratore, e la successiva costituzione di una società svolgente
attività concorrenziale con quella dell’impresa precedentemente gestita non
costituisce, tuttavia, una violazione del divieto di concorrenza (Trib.
Milano n. 144/2008).
Nessun commento:
Posta un commento