giovedì 22 novembre 2012

Rappresentanza della s.r.l., deleghe e conflitto d’interessi

di Michele BANA

Gli amministratori dispongono del potere di esprimere la volontà della società a responsabilità limitata nei rapporti con i terzi: benché manchi un riferimento esplicito al potere di gestione (decidere ed attuare atti d’impresa), il contenuto ed i limiti di tale diritto possono essere desunti, in via interprestativa, dal complesso delle norme dedicate alla società a responsabilità limitata. È, pertanto, possibile riconoscere la titolarità in capo agli amministratori di un generale potere gestionale che può ritenersi esteso a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale, indicato nello statuto e limitato a specifiche disposizioni di legge o dell’atto costitutivo, dirette a riservare ai soci la competenza su determinate materie attinenti alla gestione sociale.
Le limitazioni al generale potere di rappresentanza riservato agli amministratori, risultanti dall’atto costitutivo o da quello di nomina, non sono opponibili a terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi abbiano intenzionalmente agito a danno della società (art. 2475-bis, co. 2, c.c.). In altri termini, il legislatore ha inteso introdurre una tutela a beneficio dei terzi di buona fede, per effetto della quale devono, quindi, ritenersi validi gli atti compiuti dagli amministratori: 
  • muniti del potere di rappresentanza, ma privi di quello di gestione, come nel caso degli atti estranei all’oggetto sociale (Cass. n. 13442/2005);
  •  in eccesso del reale potere di rappresentanza e gestione conferiti.
La carenza dei poteri di rappresentanza, in base all’atto costitutivo o di nomina, rilevano comunque nei rapporti interni alla società, anche come giusta causa di revoca, ovvero presupposto di denuncia al collegio sindacale ed esercizio dell’azione sociale di responsabilità. Sono, invece, opponibili anche ai terzi i limiti legali del potere di rappresentanza, come nel caso di atti compiuti in assenza della necessaria approvazione preventiva dei soci:
  • operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale indicate nell’atto costitutivo, ovvero una rilevante variazione dei diritti dei soci (art. 2479, co. 2, n. 5), c.c.);
  • acquisti, per un importo superiore al 10% del capitale sociale, di beni o crediti dei soci fondatori, nei due anni dall’iscrizione della costituzione nel registro delle imprese (art. 2465, co. 2, c.c.);
  • assunzione di partecipazioni in altre imprese, comportanti una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle stesse (art. 2361, co. 2, c.c.): si tratta di una norma specifica delle s.p.a., applicabile in via analogica anche alle società a responsabilità limitata.
La delega dei poteri degli amministratori, non essendo espressamente disciplinata da una specifica disposizione civilistica, deve ritenersi possibile in base all’atto costitutivo, che può contemplare l’istituzione dell’incarico di amministratore delegato, ovvero la costituzione di un vero e proprio comitato esecutivo, come previsto per le s.p.a. (art. 2381 c.c.): in senso conforme, si riscontra altresì l’orientamento del Comitato Triveneto dei Notai (massima I.C.15).
L’art. 2475-ter c.c. disciplina, invece, il caso dei contratti conclusi dagli amministratori – muniti del potere di rappresentanza della società – in conflitto di interessi, per conto proprio o di terzi: possono essere annullati, su istanza della s.r.l., se tale vizio era conosciuto, o riconoscibile, dal terzo.
Le decisioni adottate dal consiglio di amministrazione, con il voto determinante di un amministratore in conflitto d’interessi con la società, e tali da cagionare un danno patrimoniale all’impresa, possono essere impugnate – entro 90 giorni – dagli amministratori e, se nominati, dal collegio sindacale o dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti.  Fermi restando, in ogni caso,  i diritti acquistati in buona fede dai terzi, in base ad atti compiuti in esecuzione della decisione in conflitto d’interessi.
Per quanto concerne il divieto di concorrenza, non essendo prevista una disposizione ad hoc per le s.p.a., è necessario fare riferimento – in ossequio ai generali principi di esecuzione del mandato gestorio in base a buona fede e correttezza – alla disciplina prevista per le società per azioni, contenuta nell’art. 2390 c.c., secondo cui gli amministratori non possono (salvo autorizzazione dell’assemblea):
  • assumere la qualità di soci illimitatamente responsabili in società concorrenti;
  • esercitare un’attività concorrente per conto proprio o di terzi;
  • essere amministratori o direttori generali in società concorrenti.
L’inosservanza del divieto di concorrenza può comportare la revoca dall’incarico di amministrazione, e la responsabilità per il risarcimento dei danni cagionati: sul punto, il Comitato Triveneto dei Notai (massima I.C.16) ha, tuttavia, ravvisato la necessità che nell’atto costitutivo venga espressamente prevista l’eventuale applicabilità del divieto di concorrenza.
La dimissione dall’incarico di amministratore, e la successiva costituzione di una società svolgente attività concorrenziale con quella dell’impresa precedentemente gestita non costituisce, tuttavia, una violazione del divieto di concorrenza (Trib. Milano n. 144/2008).

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