giovedì 29 novembre 2012

Da domani parte la nuova Iva per cassa: un breve memorandum


di Sandro CERATO
Da domani, 1° dicembre 2012, i soggetti passivi con volume d’affari non superiore a euro 2.000.000 (da verificare nell’anno 2011, ovvero quello presunto per l’anno 2012 per coloro che hanno iniziato in tale anno l’attività), possono optare per il regime di Iva per cassa, di cui all’art. 32-bis del D.L. 83/2012. A tal fine, per i soggetti passivi Iva che intendono optare sin da subito, diventa determinante stabilire una sorta di “spartiacque” tra le operazioni fino al 30 novembre 2012, per le quali l’Iva diviene esigibile secondo le regole ordinarie, e quelle dal 1° dicembre 2012, alle quali si rende applicabile il differimento dell’imposta all’atto del pagamento.
La decorrenza, come stabilito dall’art. 8 del D.M. 11 ottobre 2012, e confermata dalla C.M. n. 44/E, è fissata a partire dalle operazioni effettuate dal 1° dicembre 2012, ragion per cui è necessario riferirsi alle disposizioni contenute nell’art. 6 del DPR 633/72,  in relazione al momento di effettuazione dell’operazione. Più nel dettaglio, ricordando che l’opzione avviene per comportamento concludente (e successiva comunicazione nella dichiarazione Iva) rientrano nel regime di Iva per cassa (senza pretese di esaustività):
  • le cessioni di beni immobili, per le quali l’atto notarile è stato stipulato a partire dal 1° dicembre, fermo restando che per eventuali acconti fatturati prima di tale data (ad esempio a seguito di contratto preliminare), l’imposta (già incassata) resta ovviamente esigibile nei modi ordinari. Particolare attenzione deve essere prestata per eventuali atti di trasferimento immobiliare stipulati antecedentemente al 1° dicembre 2012, nei quali è stata posta una clausola di differimento nel trasferimento della proprietà che si realizza a partire dal 1° dicembre 2012, poiché in tal caso l’effettuazione dell’operazione è posticipata (a meno che non sia già stata emessa fattura entro il 30 novembre, nel qual caso l’imposta è già esigibile), con esclusione delle vendite con riserva di proprietà o le locazioni con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti, in quanto tali clausole non consentono, a norma dell’art. 6, co. 1, del DPR 633/72, il differimento dell’esigibilità del tributo. Si rammenta, inoltre, che sono escluse dall’Iva per cassa, tra le altre, le operazioni assoggettate a reverse charge e, quindi, le cessioni di fabbricati abitativi o strumentali per le quali il venditore ha esercitato l’opzione per l’imponibilità Iva (art. 17, co. 6, lett. a-bis), del D.P.R. n. 633/1972): è il caso, ad esempio, dei fabbricati abitativi o strumentali ceduti dall’impresa di costruzione o ristrutturazione dopo il decorso di 5 anni dall’ultimazione dei lavori, o degli immobili strumentali venduti da un’impresa differente, la cui alienazione è stata assoggettata ad Iva per opzione del cedente;
  • le cessioni di beni mobili consegnati o spediti a partire dal 1° dicembre 2012, a meno che antecedentemente alla predetta consegna o spedizione non siano stati incassati acconti fino al 30 novembre, ovvero sia stata emessa fattura anticipata fino alla predetta data del 30 novembre. In tali ultime due fattispecie, infatti, si è realizzato il momento di effettuazione dell’operazione prima del 1° dicembre, con conseguente assoggettamento ad Iva “ordinaria” (limitatamente all’imposta relativa all’acconto o a quella risultante dalla fattura emessa). Laddove nel mese di novembre il soggetto si sia avvalso della fattura differita per le consegne effettuate in tale mese, l’imposta relativa alla fattura, anche se emessa nel mese di dicembre (entro il giorno 15) è esigibile nei modi ordinari in quanto riferita ad operazioni effettuate prima del 1° dicembre;
  • le prestazioni di servizi, il cui corrispettivo è stato incassato (o pagato) a partire dal 1° dicembre 2012, posto che per tali operazioni il momento di effettuazione coincide con la data in cui avviene il pagamento. Tuttavia, restano escluse dall’Iva di cassa eventuali prestazioni di servizi, il cui corrispettivo è stato incassato a partire dal 1° dicembre 2012, ma la cui fattura è stata emessa fino al 30 novembre 2012, atteso che l’emissione anticipata della fattura realizza il momento di effettuazione dell’operazione.
Infine, è opportuno ricordare che per coloro che intendono avvalersi del regime Iva in questione già dal 1° dicembre 2012, il triennio di permanenza è formato dagli anni 2012, 2013 e 2014, posto che il provvedimento direttoriale del 21 novembre scorso ha stabilito che l’anno 2012 deve considerarsi per intero anche se l’efficacia della norma decorre dal 1° dicembre.

mercoledì 28 novembre 2012

La costituzione della s.r.l. semplificata


di Michele BANA

L’art. 3, co. 1, del D.L. n. 1/2012 ha inserito una nuova forma di s.r.l., disciplinata dall’art. 2463-bis c.c., secondo cui la società a responsabilità limitata semplificata può essere formata con contratto o atto unilaterale da persone fisiche che non abbiano compiuto i 35 anni di età alla data della costituzione: conseguentemente, il capitale della s.r.l.s. può essere detenuto da un unico socio oppure da una pluralità di persone fisiche, purchè soddisfino il predetto requisito anagrafico, da verificarsi a cura del notaio (art. 2 del D.M. n. 138/2012, entrato in vigore lo scorso 29 agosto).
La società a responsabilità limitata semplificata deve costituirsi mediante atto pubblico, in conformità al modello standard tipizzato con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico (D.M. n. 138/2012). Il modello in parola deve ritenersi immodificabile sotto il profilo della disciplina sostanziale del negozio costitutivo della società in esso previsto, ma non anche in relazione alle formule dell’atto pubblico proposte (Comitato dei Notati del Triveneto, massima R.A.1). Queste ultime appaiono, infatti, inserite nel modello standardizzato al solo scopo di semplificarne la lettura, tant’è che sono incomplete – ad esempio, manca l’intestazione “Repubblica Italiana”, e l’espressa menzione del distretto notarile di iscrizione del notaio rogante – e riferite ad un’unica ipotesi tipo (quella dell’atto pubblico in cui intervengono soggetti non rappresentati, che conoscono la lingua italiana, sanno leggere e scrivere, non richiedono l’assistenza di testimoni, ecc.). Con l’effetto che, secondo il predetto orientamento, si deve riconoscere al notaio la possibilità di utilizzare le formule dell’atto pubblico che ritiene maggiormente opportune, anche discostandosi da quelle contenute nel modello tipizzato, purchè rispetti la disciplina legale sulla forma degli atti pubblici contenuta nella Legge Notarile e nelle altre norme speciali: dovrebbe, pertanto, ritenersi prospettabile l’inserimento di clausole statutarie ulteriori, purchè non si pongano in contrasto con le previsioni del modello e le finalità specifiche della s.r.l.s. (Circolare Assonime n. 29/2012).
L’atto costitutivo deve riportare le seguenti informazioni: 
  1. il cognome, il nome, la data, il luogo di nascita, il domicilio, la cittadinanza di ciascun socio; 
  2. la denominazione sociale contenente l'indicazione di “società a responsabilità limitata semplificata” e il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie; 
  3. l'ammontare del capitale sociale, pari almeno ad euro 1 e inferiore all'importo di euro 10.000 previsto all'art. 2463, co. 2, n. 4), c.c. sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione. Il conferimento deve farsi in denaro ed essere versato all'organo amministrativo e non collocato transitoriamente in banca, come ordinariamente accade nelle s.r.l. ordinarie. Tale deroga pare, tuttavia, in contrasto con le nuove disposizioni in merito alla circolazione del denaro contante per le quali i trasferimenti di denaro eccedenti la soglia di euro 1.000 devono avvenire necessariamente in modalità tracciata. Pertanto, in caso di conferimenti eccedenti la predetta soglia, questi devono necessariamente transitare sul conto corrente intestato alla società e non, come dispone la norma, “nelle mani” dell’organo organo amministrativo. Si osservi, tuttavia, che il predetto principio di versamento diretto agli amministratori non dovrebbe trovare applicazione nel caso di aumento di capitale sociale ad almeno euro 10.000: al ricorrere di tale ipotesi, si verificherebbe, infatti, un mutamento del modello societario, in quello della s.r.l. ordinaria, che non prevede alcun obbligo di effettuare i soli conferimenti in denaro (Circolare Assonime n. 29/2012);
  4. le informazioni previste dall’art. 2463, co. 2, n. 3), 6), 7) e 8), c.c., ovvero l’attività che costituisce l’oggetto sociale, la quota di partecipazione di ciascun socio, le norme relative al funzionamento della società, comprese quelle concernenti l’amministrazione e la rappresentanza, le persone alle quali è affidata l’amministrazione, e l’eventuale soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti;
  5. il luogo e la data di sottoscrizione; 
  6. gli amministratori, i quali devono essere scelti tra i soci. Non possono, pertanto, assumere la carica di amministratori i soggetti diversi dalle persone fisiche, oppure non facenti parte della compagine sociale od aventi già 35 anni di età: qualora l’amministratore perda la qualifica di socio, decade anche dall’incarico di gestione ad esso affidato.
La denominazione di società a responsabilità limitata semplificata, l'ammontare del capitale sottoscritto e versato, la sede della società e l'ufficio del registro delle imprese presso cui questa è iscritta devono essere indicati negli atti, nella corrispondenza della società e nello spazio elettronico destinato alla comunicazione collegato con la rete telematica ad accesso pubblico.
Alla luce di quanto sopra riportato, emerge che nella società a responsabilità limitata semplificata:
  • sono stati eliminati i riferimenti alla denominazione del socio e dello stato di costituzione. Il nuovo modello societario, infatti, è riservato alle persone fisiche;
  • l’indicazione della denominazione sociale deve essere accompagnata dalla dicitura “società a responsabilità limitata semplificata”;
  • l’ammontare del capitale sociale è soggetto alle nuove disposizioni contenute nell’art. 2463-bis c.c., che derogano al limite ordinario di euro 10.000;
  • la  precisazione dell’importo presunto delle spese di costituzione, poste a carico della società, è stata eliminata. L’art. 3 , co. 3, del D.L. n. 1/2012 dispone, infatti, che l'atto costitutivo e l'iscrizione nel  registro delle imprese delle s.r.l.s. sono esenti da diritto di bollo e segreteria, così come non devono essere corrisposti onorari notarili: rimangono, invece, dovuti l’imposta di registro in misura fissa (euro 168), il diritto annuale camerale e la tassa di concessione governativa sui libri sociali (euro 309,87 oltre ad euro 14,62 ogni 100 pagine di ogni libro);
  • gli amministratori, da scegliersi obbligatoriamente tra i soci, devono essere espressamente menzionati.

martedì 27 novembre 2012

La liquidazione giudiziale dei compensi dei professionisti: novità del D.M. 140/2012

di Sandro CERATO

Il D.M. 20.7.2012 n. 140 (pubblicato in G.U. del 22.08.2012, ed in vigore dal giorno successivo), dà attuazione alle disposizioni contenute all’art. 9 co. 2 del D.L. 24.01.2012 secondo cui, ferma restando l’abrogazione delle tariffe professionali, la liquidazione del compenso professionale, in assenza di specifico accordo tra le parti, è affidata ad un organo giurisdizionale; quest’ultimo, ai fini della corretta determinazione del compenso, dovrà fare riferimento a precisi parametri stabiliti con apposito decreto del Ministro Vigilante. Oltre ad individuare i parametri generali e particolari per alcune professioni regolamentate, il D.M. 140/2012 chiarisce, tra l’altro, che l’assenza di prova del preventivo di massima costituisce «elemento di valutazione negativa da parte dell’organo giurisdizionale per la liquidazione del compenso»: la mancanza del preventivo potrebbe indurre il giudice a fissare un compenso inferiore, rispetto a quello che il professionista avrebbe potuto concordare con il cliente.
In linea generale, è stabilito che, in difetto di accordo tra le parti, circa la quantificazione del compenso per prestazioni professionali, spetta all’organo giurisdizionale liquidare lo stesso, tenuto conto delle disposizioni (parametri generali e particolari) previste per alcune professioni regolamentate. L'organo giurisdizionale può sempre applicare analogicamente le predette disposizioni anche ai casi non espressamente individuati nel D.M. 140/2012. Si pensi, ad esempio, all’avvocato che esercita l'attività accessoria di revisore legale dei conti. Nel caso in esame si applicheranno, per analogia, i parametri previsti per l’attività di revisione legale, riconosciuti più adeguati rispetto a quelli concernenti la generica attività stragiudiziale forense.
La determinazione giudiziale dei compensi – che comprende l'intero corrispettivo per la prestazione professionale (incluse le attività accessorie alla stessa e i costi degli ausiliari del professionista) ­- non riguarda le spese da rimborsare (comprese quelle concordate in modo forfettario) e gli oneri e i contributi dovuti a qualsiasi titolo; tali costi dovranno, invece, essere liquidati autonomamente sulla base della documentazione prodotta dal professionista, che attesti l’effettivo sostenimento degli stessi. Altra importante previsione è quella secondo cui «l’assenza di prova del preventivo di massima (art. 9, co. 4, terzo periodo, del D.L. 24.01.2012, n. 1) costituisce elemento di valutazione negativa da parte dell’organo giurisdizionale per la liquidazione del compenso ». Ciò indurrà i professionisti a concordare (in anticipo e per iscritto) i compensi dovuti, con il solo fine di sottrarsi alle alee di rischio della liquidazione giudiziale: la mancanza del preventivo potrebbe, infatti, indurre il giudice a fissare un compenso più basso rispetto a quello che il professionista avrebbe potuto concordare con il cliente. Nel caso di incarico assunto collegialmente, il compenso e' uno solo, ma potrebbe, a discrezione del giudice, essere incrementato fino al doppio.
Analogamente, per gli incarichi svolti dalle società tra professionisti, il compenso è determinato nella misura spettante ad un solo dei soci, anche quando la prestazione è eseguita collegialmente. Per gli incarichi non conclusi o assunti in corso d’opera, si terrà conto dell'attività professionale effettivamente svolta. Ad ogni modo, le soglie numeriche o percentuali, relative alle varie prestazioni professionali, non sono vincolanti per la liquidazione del compenso, sicché il giudice potrà accordare compensi diversi da quelli che risulterebbero applicando i parametri (generali e particolari) contenuti nel DM 140/2012.
Focalizzando sui dottori commercialisti ed esperti contabili, ad essi è dedicato il capo III, ossia gli artt. da 15 a 29. Rispetto al passato sono superati i criteri che prevedevano rimborsi di spese, indennità, onorari specifici e graduali, preconcordati e a tempo.
Il compenso del professionista deve ora essere determinato con riferimento a parametri generali (sezione I del capo III) quali: a) valore e natura della pratica; b) importanza, difficoltà, complessità della pratica; c) condizioni d'urgenza per l'espletamento dell'incarico; d) risultati e vantaggi, anche non economici, ottenuti dal cliente; e) impegno profuso anche in termini di tempo impiegato; f) pregio dell'opera prestata. Ai fini della corretta determinazione del compenso, l’organo giurisdizionale dovrà attenersi, oltre alle indicazioni circa i suddetti parametri generali, anche alle disposizione e ai parametri specifici indicati per le seguenti funzioni professionali (sezione II del medesimo capo): a) amministrazione e custodia; b) liquidazione di aziende; c) valutazioni, perizie e pareri; d) revisioni contabili; e) tenuta della contabilità; f) formazione del bilancio; g) operazioni societarie; h) consulenza contrattuale ed economico-finanziaria; i) assistenza in procedure concorsuali; l) assistenza, rappresentanza e consulenza tributaria; m) sindaco di società. Operativamente, quindi, a seconda delle varie funzioni esercitate, il compenso del professionista dovrà essere liquidato applicando, al valore della pratica, le percentuali variabili stabilite nella tabella C allegata al D.M. 140/2012, nonché utilizzando gli ulteriori valori monetari contenuti nella medesima tabella.
Nel caso in cui l’attività svolta non dovesse rientrare in una delle predette categorie, il giudice potrà fare riferimento, per analogia, ai parametri previsti per altre categorie professionali. Inoltre, per le pratiche di eccezionale importanza, complessità o difficoltà, ovvero per le prestazioni compiute in condizioni di particolare urgenza, al compenso del professionista, come sopra determinato, può essere accordata una maggiorazione fino al 100% rispetto a quello altrimenti liquidabile; di contro, nel caso in cui la prestazione possa essere eseguita in modo spedito e non implichi la soluzione di questioni rilevanti, potrà applicarsi una riduzione fino al 50% del compenso altrimenti liquidabile.

lunedì 26 novembre 2012

La costituzione della s.r.l. ordinaria

di Michele BANA

La società a responsabilità limitata, come illustrato in un precedente commento, può costituirsi – a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 1/2012 e del Decreto Sviluppo – secondo tre distinte forme: ordinaria (art. 2463 c.c.), semplificata (art. 2463-bis c.c.) e a capitale ridotto (art. 44 del D.L. n. 83/2012). In questo primo contributo, ci soffermeremo sui principali aspetti della formazione della tradizionale s.r.l., rinviando a successivi interventi la trattazione delle altre due tipologie.
L’art. 2463 c.c. dispone che la società a responsabilità limitata può essere costituita mediante contratto, ovvero atto unilaterale (c.d. s.r.l. unipersonale). È richiesta, a pena di nullità (artt. 2463, ultimo co., e 2332, co. 1, n. 1), c.c.), ovvero ad substantiam, la forma di atto pubblico e, quindi, l’intervento di un notaio.
L’atto costitutivo della s.r.l. ordinaria deve riportare almeno le seguenti informazioni (c.d. contenuto minimo obbligatorio):
  1. il cognome e il nome o la denominazione, la data e il luogo di nascita o lo Stato di costituzione, il domicilio o la sede, la cittadinanza di ciascun socio. La normativa civilistica consente, pertanto, la partecipazione al procedimento costitutivo anche da parte dei soggetti diversi dalle persone fisiche, nonché dei residenti in uno Stato differente da quello italiano, purchè risulti verificata – preventivamente – la sussistenza del principio di reciprocità;
  2. la denominazione, contenente l’indicazione – anche soltanto mediante sigla – di società a responsabilità limitata, e il comune ove sono poste la sede principale della s.r.l. e le eventuali sedi secondarie. Alla luce della formulazione letterale della norma, il trasferimento della sede all’interno del medesimo comune non configura l’ipotesi di modifica dell’atto costitutivo, escludendo dunque la necessità di un’apposita deliberazione di assemblea. Salvo il caso in cui l’atto costitutivo abbia, originariamente, riportato l’indirizzo completo della sede, e non soltanto l’indicazione del comune (massima E.A.1. dei Notai del Triveneto);
  3. l’oggetto sociale, che deve essere lecito, possibile e determinato (ovvero almeno determinabile), in ossequio ai principi generali di cui all’art. 1346 c.c.;
  4. l'ammontare del capitale sottoscritto (non inferiore ad euro 10.000,00), e quello versato, che non necessita, tuttavia, di una valutazione di congruità – da parte del notaio, in sede di controllo di legittimità dell’atto costitutivo – rispetto all’oggetto che la costituenda s.r.l. si propone di perseguire. Sul punto, si rammenta che la costituzione della s.r.l. ordinaria con un capitale sociale inferiore al minimo (euro 10.000,00) non costituisce una causa di nullità, in quanto il presupposto oggettivo della disposizione applicabile alla fattispecie (artt. 2463, ultimo co., e  2332, co. 1, n. 3), c.c.) è rappresentato dalla mancanza nell’atto costitutivo di ogni indicazione riguardante […] l’ammontare del capitale sociale”. L’ipotesi in parola configura, invece, una causa di scioglimento della s.r.l. (art. 2484, co. 4, c.c.);
  5. i conferimenti di ciascun socio, nonché il valore attribuito ai crediti e beni apportati in natura: a differenza delle s.p.a., è ammesso il conferimento nella forma di prestazioni d’opera o di servizi a beneficio della s.r.l., a norma dell’art. 2464, co. 6, c.c.;
  6. la quota di partecipazione di ciascun socio, determinabile anche in misura non proporzionale ai conferimenti (art. 2468, co. 2, ultimo periodo, c.c.), ma soggetta ad alcuni divieti: non può, infatti, essere rappresentata da azioni, né formare oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari (art. 2468, co. 1, c.c.);
  7. le norme di funzionamento della società, con la precisazione di quelle riguardanti l’amministrazione e la rappresentanza. A questo proposito, si riscontra una differenziazione rispetto alle s.p.a., in quanto il contenuto obbligatorio dell’atto costitutivo comprende le norme relative alla ripartizione degli utili, nonché l’indicazione del sistema di amministrazione adottato e dei soggetti che hanno la rappresentanza della società (art. 2328, co. 2, nn. 7) e 9), c.c.). La distinzione in parola trova fondamento nella diversa disciplina della s.p.a., non rinvenibile nelle s.r.l.: nelle società per azioni, lo statuto può, infatti, essere rappresentato da un atto separato, comunque considerato parte integrante dell’atto costitutivo (art. 2328, ultimo co., primo periodo, c.c.), ferma restando la prevalenza delle norme dello statuto su quelle dell’atto costitutivo, se difformi ovvero incompatibili;
  8. le persone a cui è affidata l’amministrazione, l’eventuale soggetto incaricato della revisione legale dei conti della società;
  9. l'importo globale, almeno approssimativo, delle spese per la costituzione poste a carico della società.
A differenza delle s.p.a. (art. 2328, co. 2, n. 13), c.c.), non è richiesta l’indicazione della durata della s.r.l., che si presume dunque costituita a tempo indeterminato, né il termine entro il quale il socio può esercitare il diritto di recesso. Quest’ultimo è, infatti, autonomamente disciplinato dall’art. 2473, co. 2, c.c., che riconosce la facoltà del partecipante di sciogliersi dal rapporto sociale, con un preavviso di almeno 180 giorni, salvo che l’atto costitutivo stabilisca un termine maggiore, comunque non superiore ad un anno.
Si ricorda, infine, che per la costituzione della s.r.l., analogamente alle s.p.a., non è sufficiente la predisposizione del contratto, ovvero dell’atto unilaterale, secondo le suddette modalità, ma è altresì necessario che risultino soddisfatti i seguenti requisiti (artt. 2463, ultimo co., e 2329 c.c.):
  •  il capitale sociale è stato interamente sottoscritto;
  • è stata rispettata la disciplina speciale dei conferimenti, dettata dagli artt. 2464 e 2465 c.c.: l’avvenuto versamento di almeno il 25,00% dei conferimenti in denaro, ovvero il 100,00% nel caso di costituzione con atto unilaterale (art. 2464, co. 4, primo periodo, c.c.); la presentazione della relazione di stima sui conferimenti in natura, redatta da un revisore legale oppure da una società di revisione iscritti nell’apposito registro, designato dal socio conferente, contenente la descrizione dei beni o crediti conferiti, l’attestazione che il valore del conferimento in natura è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale sovrapprezzo, ed i criteri di valutazione adottati (art. 2465, co. 1, secondo periodo, c.c.);
  • sussistono le autorizzazioni e le altre condizioni richieste, in virtù di leggi speciali, per la costituzione della società, in relazione al proprio particolare oggetto.

domenica 25 novembre 2012

Nuova Iva per cassa già dal prossimo mese, modalità di esercizio dell’opzione

di Sandro CERATO
Il 1° dicembre 2012 entrerà in vigore il nuovo regime di Iva per cassa, così come riformulato ad opera dell’art. 32-bis del D.L. n. 83/2012, che demandava ad un provvedimento direttoriale l’individuazione delle modalità per l’esercizio dell’opzione. Tale provvedimento è stato approvato in data 21 novembre scorso, e ha stabilito che l’opzione, per i soggetti passivi Iva con volume d’affari non superiore a euro 2.000.000, si esercita con il comportamento concludente del soggetto passivo (aspetto sostanziale) e con la successiva conferma nel quadro VO della dichiarazione Iva (aspetto formale) presentata successivamente al predetto comportamento concludente.
L’art. 32-bis, D.L. 83/2012, si ricorsa brevemente ha introdotto un nuovo regime di esigibilità differita dell’imposta sul valore aggiunto, la cui effettiva entrata in vigore determina l’abrogazione di quello previsto dall’art. 7, D.L. 185/2008. Le nuove disposizioni sono state attuate dal D.M. 11.10.2012, il quale ha, però, rinviato ad un successivo Provvedimento Agenzia delle Entrate, come peraltro previsto dalla citata disposizione del Decreto Crescita, pubblicato in data 21 novembre 2012, e quindi pochi giorni prima dell’entrata in vigore (1° dicembre 2012) del nuovo regime di Iva per cassa. Le principali tematiche affrontate dal Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze hanno riguardato i presupposti soggettivi, le operazioni escluse, l’esigibilità e la detrazione dell’imposta, nonché gli effetti dell’esercizio dell’opzione per l’Iva di cassa, mentre il provvedimento direttoriale del 21 novembre ha illustrato le modalità, gli effetti e la durata dell’opzione.
In buona sostanza, per coloro che intendono optare per l’Iva di cassa sin dal prossimo 1° dicembre 2012, è necessario procedere come segue:
  • applicare l’esigibilità differita su tutte le operazioni attive effettuate dal prossimo 1° dicembre, nonché operare la detrazione solo all’atto del pagamento dell’Iva afferente tutti gli acquisti registrati dal prossimo 1° dicembre;
  • barrare la casella del quadro VO della dichiarazione Iva 2013 (per l’anno 2012), da presentarsi entro il 30 settembre 2013.
Su tale opportunità ossia di “entrare” nell’Iva di cassa sin dal prossimo 1° dicembre 2012, deve essere spesa qualche riflessione, posto che comporterebbe la “spaccatura” dell’anno 2012 in due parti: operazioni effettuate fino al 30 novembre con esigibilità immediata, ed operazioni effettuate nel mese di dicembre con esigibilità differita, con evidenti complicazioni soprattutto per i contribuenti trimestrali, costretti ad un lavoro improbo per ottenere una corretta suddivisione. A tal fine, sembra più agevole optare per il regime Iva di cassa con decorrenza dal prossimo 1° gennaio 2013, talchè si chiude l’anno 2012 con le regole ordinarie, si inizia l’anno nuovo con quelle speciali previste dalle disposizioni in commento. 
Un merito alla durata dell’opzione, il provvedimento direttoriale impone un “paletto” particolarmente oneroso, posto che viene precisato che il vincolo, una volta esercitata l’opzione stessa, è pari a tre anni, periodo che francamente appare eccessivo, fermo restando che l’uscita potrà anticipatamente ma solo nel caso in cui nel corso di un anno compreso nel triennio il soggetto passivo superi il limite di volume d’affari di euro 2.000.000.
Particolare attenzione deve essere prestata anche all’eventuale revoca dell’opzione, posto che nel provvedimento si stabilisce che trascorso il triennio di permanenza nel regime, l’opzione si rinnova automaticamente per ciascun anno successivo, salva la possibilità di revoca espressa, da esercitarsi con le medesime modalità dell’opzione, ossia:
  •  con il comportamento concludente (ritorno all’applicazione dell’Iva “ordinaria”); 
  • con la comunicazione nella prima dichiarazione Iva da presentarsi successivamente alla revoca.
Infine, è bene ricordare gli ulteriori seguenti aspetti:
  • per la durata dell’opzione, è stabilito che per coloro che intendono optare già dal prossimo 1° dicembre 2012, l’anno 2012 è considerato per intero ai fini del computo del triennio, con la conseguenza che il regime cesserà il 31 dicembre 2014; 
  • nelle fatture emesse da parte del soggetto che ha optato per il regime di Iva per cassa, deve essere riportata la dicitura “Iva per cassa”, e l’indicazione dell’art. 32-bis del D.L. 83/2012 (indicazione che appare inutile, considerando che la controparte può comunque detrarre l’imposta nei modi ordinari);
  • salva l’applicazione delle relative sanzioni, sono fatti salvi gli effetti dell’opzione, anche se la stessa è comunicata in una dichiarazione “tardiva”, ossia presentata entro i 90 giorni successivi allo spirare del termine ordinario.


giovedì 22 novembre 2012

Rappresentanza della s.r.l., deleghe e conflitto d’interessi

di Michele BANA

Gli amministratori dispongono del potere di esprimere la volontà della società a responsabilità limitata nei rapporti con i terzi: benché manchi un riferimento esplicito al potere di gestione (decidere ed attuare atti d’impresa), il contenuto ed i limiti di tale diritto possono essere desunti, in via interprestativa, dal complesso delle norme dedicate alla società a responsabilità limitata. È, pertanto, possibile riconoscere la titolarità in capo agli amministratori di un generale potere gestionale che può ritenersi esteso a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale, indicato nello statuto e limitato a specifiche disposizioni di legge o dell’atto costitutivo, dirette a riservare ai soci la competenza su determinate materie attinenti alla gestione sociale.
Le limitazioni al generale potere di rappresentanza riservato agli amministratori, risultanti dall’atto costitutivo o da quello di nomina, non sono opponibili a terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi abbiano intenzionalmente agito a danno della società (art. 2475-bis, co. 2, c.c.). In altri termini, il legislatore ha inteso introdurre una tutela a beneficio dei terzi di buona fede, per effetto della quale devono, quindi, ritenersi validi gli atti compiuti dagli amministratori: 
  • muniti del potere di rappresentanza, ma privi di quello di gestione, come nel caso degli atti estranei all’oggetto sociale (Cass. n. 13442/2005);
  •  in eccesso del reale potere di rappresentanza e gestione conferiti.
La carenza dei poteri di rappresentanza, in base all’atto costitutivo o di nomina, rilevano comunque nei rapporti interni alla società, anche come giusta causa di revoca, ovvero presupposto di denuncia al collegio sindacale ed esercizio dell’azione sociale di responsabilità. Sono, invece, opponibili anche ai terzi i limiti legali del potere di rappresentanza, come nel caso di atti compiuti in assenza della necessaria approvazione preventiva dei soci:
  • operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale indicate nell’atto costitutivo, ovvero una rilevante variazione dei diritti dei soci (art. 2479, co. 2, n. 5), c.c.);
  • acquisti, per un importo superiore al 10% del capitale sociale, di beni o crediti dei soci fondatori, nei due anni dall’iscrizione della costituzione nel registro delle imprese (art. 2465, co. 2, c.c.);
  • assunzione di partecipazioni in altre imprese, comportanti una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle stesse (art. 2361, co. 2, c.c.): si tratta di una norma specifica delle s.p.a., applicabile in via analogica anche alle società a responsabilità limitata.
La delega dei poteri degli amministratori, non essendo espressamente disciplinata da una specifica disposizione civilistica, deve ritenersi possibile in base all’atto costitutivo, che può contemplare l’istituzione dell’incarico di amministratore delegato, ovvero la costituzione di un vero e proprio comitato esecutivo, come previsto per le s.p.a. (art. 2381 c.c.): in senso conforme, si riscontra altresì l’orientamento del Comitato Triveneto dei Notai (massima I.C.15).
L’art. 2475-ter c.c. disciplina, invece, il caso dei contratti conclusi dagli amministratori – muniti del potere di rappresentanza della società – in conflitto di interessi, per conto proprio o di terzi: possono essere annullati, su istanza della s.r.l., se tale vizio era conosciuto, o riconoscibile, dal terzo.
Le decisioni adottate dal consiglio di amministrazione, con il voto determinante di un amministratore in conflitto d’interessi con la società, e tali da cagionare un danno patrimoniale all’impresa, possono essere impugnate – entro 90 giorni – dagli amministratori e, se nominati, dal collegio sindacale o dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti.  Fermi restando, in ogni caso,  i diritti acquistati in buona fede dai terzi, in base ad atti compiuti in esecuzione della decisione in conflitto d’interessi.
Per quanto concerne il divieto di concorrenza, non essendo prevista una disposizione ad hoc per le s.p.a., è necessario fare riferimento – in ossequio ai generali principi di esecuzione del mandato gestorio in base a buona fede e correttezza – alla disciplina prevista per le società per azioni, contenuta nell’art. 2390 c.c., secondo cui gli amministratori non possono (salvo autorizzazione dell’assemblea):
  • assumere la qualità di soci illimitatamente responsabili in società concorrenti;
  • esercitare un’attività concorrente per conto proprio o di terzi;
  • essere amministratori o direttori generali in società concorrenti.
L’inosservanza del divieto di concorrenza può comportare la revoca dall’incarico di amministrazione, e la responsabilità per il risarcimento dei danni cagionati: sul punto, il Comitato Triveneto dei Notai (massima I.C.16) ha, tuttavia, ravvisato la necessità che nell’atto costitutivo venga espressamente prevista l’eventuale applicabilità del divieto di concorrenza.
La dimissione dall’incarico di amministratore, e la successiva costituzione di una società svolgente attività concorrenziale con quella dell’impresa precedentemente gestita non costituisce, tuttavia, una violazione del divieto di concorrenza (Trib. Milano n. 144/2008).

mercoledì 21 novembre 2012

Le competenze degli amministratori e dei soci di s.r.l.


di Michele BANA

Nelle società a responsabilità limitata, è rimessa all’atto costitutivo la ripartizione di competenze tra soci e amministratori, ad eccezione di alcuni adempimenti riservati alla competenza esclusiva dell’organo di gestione (art. 2475, co. 5, c.c.):
la redazione del progetto di bilancio, nonché di quello relativo alle operazioni straordinarie di fusione o scissione;
le decisioni di aumento del capitale sociale delegate, a norma dell’art. 2481 c.c., agli amministratori.
La formulazione letterale della norma, riferita alla “competenza dell’organo amministrativo”, sembra altresì richiedere che tali atti siano assunti in forma collegiale, a prescindere dal sistema di amministrazione adottato.
Gli amministratori hanno un potere generale di gestione, che può essere derogato per specifiche competenze in funzione di quanto previsto dallo statuto (art. 2479, co. 1, c.c.): i soci possono, infatti, essere chiamati a deliberare su argomenti sottoposti alla loro attenzione da parte degli amministratori o dei soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale. Le decisioni prese dai soci costituiscono vere e proprie indicazioni di carattere vincolante per gli amministratori: l’art. 2476, co. 7, c.c. stabilisce, infatti, un’estensione della responsabilità – con riferimento agli atti di gestione – anche per i soci che “hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi”. Il parere vincolante espresso dai soci in merito a scelte di gestione non esime, peraltro, gli amministratori dalla responsabilità a loro carico per eventuali atti compiuti in esecuzione delle delibere così assunte: la responsabilità è, infatti, solidale tra i soci deliberanti e gli amministratori, senza alcuna distinzione, salvo che gli amministratori dimostrino di aver manifestato il loro dissenso rispetto alla decisione presa.
Si osservi, inoltre, che l’atto costitutivo – a norma dell’art. 2468, co. 3, c.c. – può prevedere il riconoscimento a singoli soci di “particolari diritti” riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili. Tale disposizione consente ai soci di inserire nell’atto costitutivo clausole che riservino ai singoli soci o ad un gruppo di essi il potere di nomina degli amministratori, anziché lasciare che esso sia esercitato dalla totalità degli stessi, oppure attribuiscano la qualità di amministratori a determinati soci, come “diritto particolare” loro conferito per un determinato periodo di tempo, ovvero senza limiti temporali.
L’art. 2479 c.c. individua, infine, le competenze esclusive dei soci:
materie riservate alla loro competenza dall’atto costitutivo;
argomenti sottoposti alla loro approvazione da parte di uno o più amministratori, ovvero da un numero di soci rappresentanti almeno un terzo del capitale sociale;
approvazione del bilancio e distribuzione degli utili;
nomina degli amministratori, se prevista nell’atto costitutivo, e – nelle ipotesi di cui all’art. 2477 c.c. – dei sindaci, del presidente del collegio e del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti;
modificazioni dell’atto costitutivo, e compimento di operazioni comportanti una sostanziale variazione dell’oggetto sociale indicato nell’atto costitutivo o un rilevante mutamento di diritti dei soci.
L’art. 2476, co.  2, c.c. riserva una serie di diritti ai soci che non partecipano all’amministrazione della s.r.l., tra i quali la facoltà di ottenere dagli amministratori notizie in merito allo svolgimento degli affari sociali, e consultare – anche tramite professionisti di propria fiducia – i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione.

martedì 20 novembre 2012

Dichiarazione Imu, prima scadenza il 4 febbraio 2013?


di Michele BANA

La dichiarazione Imu deve essere consegnata ai comuni sul cui territorio insistono gli immobili dichiarati, i quali sono tenuti a rilasciare la ricevuta di avvenuta presentazione: in altri termini, se il bene insiste su più aree municipali, il modello deve essere presentato ad ogni comune interessato. Conseguentemente, non opera più il principio di prevalenza previsto per l’Ici: nel caso in cui l’immobile sia anche adibito ad abitazione principale del soggetto passivo, la dichiarazione Imu deve essere presentata ai soli comuni in cui il contribuente non ha la residenza anagrafica, specificando – nella parte dedicata alle “Annotazioni” – che si tratta di “Immobile destinato ad abitazione principale la cui superficie insiste su territori di comuni diversi”.
La dichiarazione può essere trasmessa anche mediante posta, con raccomandata senza ricevuta di ritorno, in busta chiusa recante la dicitura “Dichiarazione Imu 20_ _”, indirizzata all’Ufficio Tributi del comune competente. In alternativa, è altresì ammessa la trasmissione in via telematica, tramite posta elettronica certificata.
L’invio può essere effettuato anche dall’estero, attraverso lettera raccomandata od altro strumento equivalente dal quale risulti la data di spedizione, in quanto generalmente considerata – anche negli altri casi di deposito – come quella di presentazione.
È, in ogni caso, riconosciuta al comune, nell’esercizio della propria potestà regolamentare, la facoltà di stabilire altre modalità di trasmissione della dichiarazione, maggiormente adeguate alle proprie esigenze organizzative, delle quali deve dare ampia informazione ai contribuenti, al fine di consentire il corretto adempimento dell’obbligazione tributaria.
Sotto il profilo della tempistica, l’art. 13, co. 12-ter, del D.L. n. 201/2011 ha stabilito che la dichiarazione Imu deve essere presentata entro 90 giorni dalla data in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio, oppure sono intervenute variazioni rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta: la dichiarazione ha effetto anche per gli anni successivi, purchè non si verifichino modificazioni dei dati e degli elementi dichiarati da cui consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta. Per quanto concerne gli immobili il cui obbligo dichiarativo è sorto dal 1° gennaio 2012, la dichiarazione Imu dovrebbe essere presentata entro lunedì 4 febbraio 2013, così come previsto dal maxi-emendamento al D.L. n. 174/2012 (c.d. Decreto enti locali), in corso di approvazione in Parlamento – a rettifica dell’originaria scadenza del 30 settembre 2012, poi prorogata al 30 novembre 2012 – ovvero entro 90 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento modificativo, essendo stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica il 5 novembre 2012.
Nel caso di inadempimento, trova applicazione l’art. 9, co. 7, del D.Lgs. n. 23/2011, che  richiama l’art. 14 del D.Lgs. n. 504/1992, per effetto del quale è prevista l’applicazione della sanzione amministrativa:
·    dal 100% al 200% del tributo dovuto, con un minimo di euro 51, in caso di omessa presentazione della dichiarazione. La sanzione è ridotta ad un terzo qualora il contribuente paghi, se dovuto, il tributo e la sanzione, entro il termine per ricorrere in commissione tributaria;
·    dal 50% al 100% della maggiore imposta dovuta, nell’ipotesi di dichiarazione infedele, potendo, però, beneficiare della medesima riduzione di cui al punto precedente;
·    da euro 51 ad euro 258, se l’omissione o l’errore attengono ad elementi non incidenti sull’ammontare dell’imposta. La medesima sanzione è prevista per le violazioni concernenti la mancata esibizione o trasmissione di atti e documenti, ovvero per l’omessa restituzione di questionari nei 60 giorni dalla richiesta o per la loro compilazione mancata, incompleta od infedele.
La sanzione è ridotta ad un decimo del minimo di quella prevista per l’omessa presentazione della dichiarazione annuale, se questa viene consegnata con un ritardo non superiore a 90 giorni, purchè la violazione non sia già stata contestata, e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche od altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore – o i soggetti solidalmente obbligati – abbiano avuto formale conoscenza.

lunedì 19 novembre 2012

Dipendente nominato amministratore, profili di criticità

di Michele BANA

In mancanza di uno specifico divieto normativo, deve ritenersi ammessa la possibilità che un lavoratore subordinato assuma l’incarico di amministratore della medesima impresa (c.d. dipendente-amministratore), purchè venga salvaguardato il potere di controllo dell’organo collegiale di gestione. La predetta facoltà è, pertanto, preclusa in capo all’amministratore unico (Cass. n. 24188/2006), che di fatto eserciti i relativi poteri, a prescindere dal profilo formale (Cass. n. 6819/2000): al ricorrere di tale ipotesi, non è, infatti, riscontrabile l’effettivo assoggettamento al potere direttivo e disciplinare di altri, che rappresenta, invece, il requisito tipico del vincolo di subordinazione (Cass. n. 13009/2003 e n. 894/1998). In altri termini, rileva il contenuto sostanzialmente imprenditoriale dell’attività gestoria svolta dall’amministratore unico, in relazione alla quale non è individuabile la formazione di una volontà imprenditoriale distinta, tale da determinare la soggezione del dipendente-amministratore unico ad un potere disciplinare e direttivo “esterno” (Cass. n. 1662/2000 e n. 381/2000). Con l’effetto che non è configurabile un valido rapporto di lavoro subordinato, comportando, conseguentemente l’indeducibilità dei costi sostenuti a tale titolo dall’impresa: l’art. 95, co. 5, del Tuir riconosce, infatti, rilevanza Ires esclusivamente alla spese di lavoro dipendente ed ai compensi degli amministratori, ma non anche a quelli riconosciuti all’imprenditore, a cui la citata giurisprudenza di legittimità assimila la figura dell’amministratore unico (Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Circolare n. 13/2010).
La medesima esclusione deve, inoltre, ritenersi operante in un particolare caso di collegialità, in cui tutti gli amministratori della società siano anche lavoratori dipendenti della medesima impresa (Trib. Reggio Emilia 20 settembre 1982, e App. Bologna 20 dicembre 1983): “in tal caso, infatti, verrebbe meno la possibilità che alcuni componenti dell’organo amministrativo controllino gli altri nell’esplicazione della loro attività subordinata; verrebbe ciò è meno la distinzione tra soggetto controllante e soggetto controllato”.
Alcuni dubbi di compatibilità sorgono, inoltre, con riferimento alla posizione del dipendente-amministratore delegato, a causa dell’orientamento dell’Amministrazione Finanziaria, difforme da quello della dottrina prevalente e della  giurisprudenza di legittimità. Queste ultime ammettono, infatti, il  cumulo dei due incarichi, qualora l’amministratore delegato esprima, in via autonoma ed esclusiva, la volontà propria della società: in altri termini, tale funzione gestoria – se circoscritta ai soli poteri di ordinaria amministrazione – è ritenuta compatibile con quella di lavoratore dipendente, in quanto al consiglio di amministrazione sono riservati i poteri straordinari e, quindi, di direzione, controllo e disciplinari sull’attività del lavoratore subordinato (Cass. n. 1490/2000 e n. 12283/1998). Tale ipotesi appare, tuttavia, difficilmente prospettabile, a parere dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui “non esisterà mai delega circoscritta all’ordinaria amministrazione in presenza di potere di rappresentanza della società”  (FiscoOggi, 14 maggio 2009). In particolare, è stata sostenuta la mancanza di subordinazione nel caso di un dipendente-amministratore munito, con firma libera, di alcuni specifici poteri:
     rappresentare l’impresa nei confronti di enti pubblici e privati;
     agire, resistere e rappresentare la società in giudizio;
     conferire e revocare mandati a consulenti tecnici, legali e procuratori;
transigere e conciliare qualsiasi vertenza e pendenza relativa alla società, anche in sede giudiziale;
determinare le condizioni, i prezzi ed i termini di acquisto di beni e servizi;
riscuotere qualunque somma, a qualsiasi titolo, dovuta alla società,
sottoscrivere contratti di deposito bancario e titoli;
negoziare e stipulare aperture di credito, fidi, mutui e finanziamenti.
Aderendo alla tesi dell’Agenzia delle Entrate, dovrebbe, quindi, ritenersi esclusa anche la compatibilità tra il lavoro dipendente e la carica di presidente del consiglio di amministrazione, in quanto disponente del potere di generale rappresentanza della società. Si riscontra, tuttavia, l’orientamento contrario della giurisprudenza di legittimità, ormai consolidata, secondo cui è lecito il cumulo delle due funzioni, purchè risulti soddisfatta una condizione:  il presidente del consiglio di amministrazione non è titolare di poteri deliberativi, ma dispone soltanto della rappresentanza esterna e delle funzioni esecutive per cui, nella veste di dipendente, risponde del proprio operato all’organo collegiale (Cass. n. 7465/2002 e n. 706/1993).
La formale cumulabilità delle funzioni di lavoratore dipendente ed amministratore, presso la medesima impresa, non esonera, tuttavia, il soggetto interessato dal rischio di contestazione dell’effettiva sussistenza del vincolo di subordinazione, ovvero dell’assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare del consiglio di amministrazione dell’impresa nel complesso, nonostante la propria qualità di amministratore (Cass. n. 13018/2011  e 5418/1996). Conseguentemente, assumono un valore meramente indicativo, e non determinate, la previsione dell’osservanza di un orario, dell’assenza di rischio economico, della collaborazione e della forma di retribuzione. È, pertanto, necessario che il lavoratore subordinato svolga mansioni diverse da quelle proprie di amministratore, sottoposte ad un effettivo potere di supremazia gerarchica (Cass. n. 329/2002 e n. 5944/1991). In senso conforme, si è altresì espressa l’Agenzia delle Entrate, peraltro coerentemente con la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 24188/2006): “la sovrapposizione delle predette funzioni nell’ambito della stessa società deve ritenersi ammissibile solo nel caso in cui sussista un vincolo di subordinazione e l’attività svolta non rientri nel mandato di amministratore”.
Il sopravvenuto accertamento dell’insussistenza del rapporto di lavoro subordinato non inficia, naturalmente, la validità degli atti compiuti dal medesimo soggetto nell’esercizio delle proprie funzioni di amministratore: conseguentemente, i relativi effetti continuano a prodursi pienamente nei confronti dei terzi, ad eccezione di quelli eventualmente assunti in “conflitto d’interessi”. Tale situazione comporta, però, effetti di duplice natura:
fiscale: ripresa a tassazione dei costi dedotti dalla s.r.l., in virtù del disconosciuto rapporto di lavoro subordinato;
previdenziale: diniego all’erogazione del trattamento pensionistico di lavoro dipendente, restituzione dei contributi versati e dei relativi interessi.
A questo proposito, si riscontra una posizione particolarmente rigida da parte dell’Inps (Circolare n. 179/1989), che nega la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato in capo al soggetto che rivesta altresì, nell’ambito della medesima impresa, una delle seguenti funzioni gestorie: amministratore unico; amministratore delegato; presidente del consiglio di amministrazione; mero componente dell’organo collegiale, ma detentore anche della maggioranza del capitale sociale della medesima impresa amministrata: è, invece, ammessa la posizione del solo dipendente-socio di maggioranza, ma non amministratore (Cass. n. 21759/2004).
L’Inps ritiene, infatti, che tali soggetti rivestono una carica di gestione “tale da rendere evanescente la posizione di subordinazione rispetto agli altri” : in senso contrario, Cassazione e dottrina, che ritengono sussistente il rapporto di lavoratore dipendente dell’amministratore, se quest’ultimo non è unico, né dispone dei poteri di straordinaria amministrazione.
È, in ogni caso, ammessa la prova contraria,  sulla base delle procedure aziendali, dalle quali risulti che il lavoratore dipendente è stato assunto per svolgere attività diverse da quelle proprie di amministratore. È altresì necessario che ciò trovi riscontro in un atto – formatosi in assenza di conflitto d’interessi (Cass. 7 marzo 1996, n. 1793) – contenente, in modo preciso e dettagliato, alcune specifiche informazioni: le mansioni attribuite, ovvero la qualifica dirigenziale, in quanto maggiormente coerente con il conferimento dell’incarico di amministratore; il trattamento economico-normativo stabilito; il nominativo della persona a cui il lavoratore subordinato è gerarchicamente sottoposto.