lunedì 30 luglio 2012

Piani attestati e accordi di ristrutturazione: trattamento delle sopravvenienze attive

di Michele Bana

L’art. 33, co. 4 del D.L. n. 83/2012 – così come modificato dall’emendamento approvato in sede di conversione – ha sostituito integralmente l’art. 88, co. 4, del Tuir, riguardante il regime di non imponibilità, in sede di determinazione del reddito d’impresa, delle sopravvenienze attive derivanti dalla riduzione dei debiti. La novellata disposizione ha confermato il principio generale di integrale irrilevanza dei componenti positivi, imputati a conto economico, per effetto della decurtazione delle passività operata in occasione di un concordato preventivo o fallimentare. La variazione rispetto al passato riguarda, invece, la considerazione di altri strumenti della soluzione della crisi d’impresa, introdotti nella Legge Fallimentare dopo l’entrata in vigore del previgente art. 88, co. 4, del Tuir, ovvero i piani attestati di risanamento citati dall’art. 67, co. 3, lett. d), L.F. – purchè pubblicati nel registro delle imprese – e l’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato a norma dell’art. 182-bis del R.D. n. 267/1942. In particolare, è stato stabilito che il componente positivo derivante dalla riduzione dei debiti dell’impresa, in base ad uno di questi due istituti, “non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, di cui all’articolo 84”: è, quindi, riconosciuto un regime di non imponibilità delle sopravvenienze attive, ma in misura parziale. In altri termini, non è consentito al debitore beneficiare sia della non imponibilità integrale di tale componente positivo che dell’utilizzo delle perdite, pregresse e di periodo, riportabili.
Il contenuto letterale del novellato art. 88, co. 4, del D.P.R. n. 917/1986 pone, tuttavia, alcuni dubbi interpretativi, principalmente riconducibili ai seguenti aspetti:
·     la tecnica utilizzata dal legislatore è quello di qualificare le sopravvenienze attive non eccedenti come i “proventi esenti” di cui al co. 1, terzo periodo della predetta disposizione. In altri termini, le perdite fiscali non sono sostanzialmente utilizzabili sino a concorrenza dell’importo delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti. L’imposizione delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti, nel limite delle perdite fiscali utilizzate, appare, peraltro, incoerente – oltre che con la disciplina del concordato preventivo – con la ratio della modifica della disciplina delle perdite (art. 23, co. 9, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98), fondata sulla necessità delle imprese di superare la crisi senza decadere dal diritto di utilizzazione del perdite prodotte (relazione illustrativa al Decreto);
·     il limite delle perdite fiscali, in quanto non riguarda soltanto le eccedenze pregresse, ma anche quella di periodo, la quale, a propria volta, è influenzata dal trattamento delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti. Sul punto, nel silenzio della norma, ed in attesa di chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate, si potrebbe ritenere applicabile un principio analogo a quello adottato dalla stessa Amministrazione Finanziaria, per individuare l’utile d’esercizio nell’ambito del patrimonio netto costituente il limite massimo della variazione in aumento rilevante ai fini Ace (art. 11 del D.M. 14 marzo 2012): il provvedimento direttoriale n. 65721/2012 aveva, infatti, stabilito la necessità di determinare il risultato economico d’esercizio “teorico”, senza considerare l’applicazione dell’Ace. Attesa l’analogia del meccanismo introdotto dal legislatore, potrebbe essere invocabile il medesimo principio, considerando – oltre alle eccedenze pregresse – la perdita fiscale di periodo “teorica”, ovvero senza applicare il nuovo regime di non imponibilità delle sopravvenienze attive;
·     il generico richiamo alle perdite disciplinate dall’art. 84 del Tuir, e non alle loro modalità di utilizzo, non considera che una parte di tali eccedenze è soggetta al vincolo quantitativo dell’80,00% del reddito imponibile. In altri termini, le sopravvenienze attive sono imponibili sulla base dell’importo integrale delle perdite riportabili, sebbene soltanto una parte delle stesse sarà poi scomputabile dal reddito imponibile del periodo d’imposta. A ciò si aggiunga che il piano attestato di risanamento e l’accordo di ristrutturazione dei debiti può essere formulato da imprese (individuali, s.n.c. e s.a.s.) diverse dai contribuenti Ires, le quali – nel caso di realizzo di sopravvenienze attive contabili – applicano l’art. 88, co. 4, del D.P.R. n. 917/1986, ma non sono soggette alla disciplina delle eccedenze pregresse riportabili prevista dall’art. 84 del Tuir, salvo il caso di quelle prodotte in un momento in cui il debitore era costituito in forma di società di capitali e si è, poi, trasformato in s.n.c. o s.a.s. (rigo RF55, colonne 1 e 2, del Modello Unico – Società di Persone). In altri termini, la società di persone potrebbe non disporre di perdite di cui all’art. 84 del Tuir, con l’effetto che beneficerebbe dell’integrale esclusione da imposizione delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti, ed i soci utilizzare le perdite riportabili dalla stessa attribuite loro in base al principio di trasparenza.
Alla luce di quanto sopra riportato, appare evidente che il legislatore non ha risolto il problema di fondo: la persistente preferibilità fiscale del concordato preventivo, al quale è accordata l’integrale esclusione da imposizione diretta delle plusvalenze da cessione dei beni (art. 86, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986) e delle sopravvenienze attive da riduzioni dei debiti, nonché l’utilizzo delle perdite pregresse secondo le regole ordinarie dell’art. 84 del Tuir. Atteso che le imprese giungono alla soluzione della crisi dopo aver accumulato ingenti perdite fiscali riportabili, il beneficio introdotto dal D.L. n. 83/2012 rischia, infatti, di risultare particolarmente limitato, con palesi ripercussioni anche sulla soddisfazione dei creditori, rispetto all’alternativa ipotesi del concordato preventivo. Al fine di favorire la diffusione almeno dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, sarebbe stato opportuno equipararne la disciplina fiscale a quella del concordato preventivo, attraverso l’integrale esclusione da imposizione delle sopravvenienze attive da riduzione dei debiti (e delle plusvalenze da cessione dei beni), oppure introducendo il limite delle perdite anche per gli effetti reddituali dello stralcio delle passività del concordato preventivo.
Si consideri, infine, che – in virtù del principio della continuità aziendale, che ha ispirato l’intervento del D.L. n. 83/2012, in materia di crisi d’impresa – non è stata, invece, apportata alcuna modifica all’art. 86, co. 5, del Tuir, che continua a prevedere la totale irrilevanza fiscale delle cessioni di beni eseguite nell’ambito del solo concordato preventivo. Conseguentemente, nel caso di un piano attestato di risanamento o di un accordo di ristrutturazione dei debiti comportante – anche in ipotesi di soluzioni conservative o dilatorie, non necessariamente liquidatorie – l’alienazione di beni d’impresa, l’operazione può dare luogo al realizzo di plusvalenze imponibili (o minusvalenze deducibili): qualora si verifichi l’ipotesi plusvalente, spesso riscontrabile in presenza di cespiti caratterizzati da un avanzato stato di ammortamento fiscale, l’operazione può determinare l’emersione di un rilevante costo fiscale, che sottrae risorse alla soddisfazione dei creditori.

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