L’imponibilità dell’indennità dal recesso è
disciplinata, in primo luogo, dall’art. 17, co. 1, lett. d), del Tuir, che
contempla la facoltà di tassazione in
forma separata (quadro RM del modello Unico), qualora siano trascorsi più
di cinque anni – rispetto alla data di costituzione dell’associazione
professionale – dal momento dell’esercizio del diritto di recesso. A
prescindere dal regime impositivo applicato, deve essere, in ogni caso,
osservata la prescrizione di cui al successivo art. 20-bis del D.P.R. n.
917/1986, che richiama l’adozione delle disposizioni, ove compatibili, previste
dall’art. 47, co. 7, del Tuir, “indipendentemente
dall’applicabilità della tassazione separata”. Sul punto, si rammenta che
il reddito in parola – avente natura professionale (CC.MM. n. 6/E/2006, par. 7.12, e n. 98/E/2000, par. 1.5.7., e R.M. n.
127/E/1995) – è determinato come differenza tra le somme ricevute ed il
costo fiscale della partecipazione: il reddito in parola rileva esclusivamente
per la parte che non costituisce la mera restituzione dell’apporto del
professionista e, quindi, limitatamente
all’avviamento riconosciuto al professionista. In altri termini, non è
ritenuta soggetta ad imposizione la parte di indennità corrispondente alla
quota iniziale di conferimento, nonché quella relativa agli utili già imputati per trasparenza,
così come già sostenuto, a suo tempo, dalla norma di comportamento ADC n.
111/1991.
La corresponsione della suddetta indennità di
recesso costituisce, in capo all’associazione professionale, un costo
deducibile (C.M. n. 98/E/2000, paragrafo 1.5.7), limitatamente all’importo
imponibile per l’associato.
Per quanto concerne, invece, l’eventuale ritenuta alla fonte da
applicare all’atto del pagamento della predetta indennità di recesso (art. 25,
co. 1, del D.P.R. n. 600/1973), non
sussistono specifici orientamenti di prassi, successivi alla modifica
dell’art. 54 del Tuir, operata dal D.L. n. 223/2006. La soluzione deve essere
ricercata nella qualificazione della fattispecie, che – così come rilevato
dall’Amministrazione Finanziaria (R.M. n. 142/E/2008) – rappresenta “una quota aggiuntiva idonea a tener conto
dell’apporto dato dal socio recedente all’acquisizione di clientela”,
disciplinata dal co. 1-quater della disposizione, quale speciale corrispettivo
imponibile, analogamente a quello derivante dalla cessione di elementi
immateriali, e non formalmente un compenso. In passato, l’Agenzia delle Entrate
– in assenza di una specifica disposizione di legge, ora contenuta nel citato
comma – aveva sostenuto che costituissero compensi per “obblighi di fare, non fare o permettere” (R.M. n. 108/E/2002), ovvero dei redditi diversi, con la conseguente operatività della ritenuta
fiscale, sebbene non espressamente riportata dall’Amministrazione Finanziaria:
la cessione di clientela viene ancora, quindi, ricompresa in tale ambito, a
prescindere dalla predetta evoluzione normativa, che li colloca ora nella sfera
professionale, con la conseguente applicazione della ritenuta d’acconto del
20,00%. In senso conforme, la giurisprudenza di legittimità, secondo cui, con
riferimento alla clientela, non è
configurabile una cessione in senso tecnico – essendo necessario il
conferimento di un nuovo incarico dal cliente al cessionario, in virtù del
rapporto personale e fiduciario – ma un complessivo
impegno del cedente a favorire la prosecuzione dell’originario rapporto, tra i
propri clienti e l’acquirente (Cass. n. 2860/2010). Analogamente, sembrerebbe allineata anche la
posizione della DRE Liguria,
riportata nella “Guida fiscale per i giovani avvocati” del 26 maggio 2010, secondo cui “i
compensi di qualsiasi natura che costituiscono componenti positivi del reddito
professionale sono sempre soggetti a ritenuta alla fonte nella misura del 20
per cento del loro ammontare”. Il condizionale è d’obbligo in quanto segue
una puntuale elencazione delle tipologie di compensi, che non comprende i
corrispettivi dalla cessione di clientela, richiamati, invece, successivamente
e separatamente: “in aggiunta agli
elementi di reddito indicati, più
propriamente collegati all’esercizio della professione, il D.L. n. 223/2006
ha dato rilevanza anche […] ai corrispettivi percepiti per la cessione della
clientela […], comunque riferibili all’attività artistica e professionale”.
È pur vero che il documento fornisce, poi, l’indicazione delle somme
espressamente escluse dall’applicazione della ritenuta d’accordo, circoscritte
ai rimborsi da anticipazioni ed ai contributi integrativi addebitati al
cliente. Si consideri, inoltre, la Circolare n. 1/IR/2008, emanata
dall’Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili,
nella quale i corrispettivi in parola vengono collocati all’interno dei redditi
di lavoro autonomo, senza, tuttavia, ricomprenderli espressamente tra i
“compensi”.
L’adozione del regime naturale della tassazione
separata consente, inoltre, di escludere l’indennità dall’imposizione
contributiva.
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