di Michele BANA
L’art. 162 del D.P.R. n. 917/1986, la cui
formulazione è trasfusa in numerose convenzioni internazionali contro la doppia
imposizione fiscale, prevede che la stabile organizzazione rappresenta “una sede fissa di affari in cui l’impresa
esercita in tutto o in parte la sua attività”, comprendendo in particolare
(co. 2 e 3):
·
una sede di direzione;
·
una succursale;
·
un ufficio;
·
un'officina;
·
un laboratorio;
·
un cantiere di costruzioni, montaggio od
installazione, ovvero il connesso esercizio di attività di supervisione, la cui
durata eccede i 3 mesi.
Il successivo co. 4, lett. e), della medesima
disposizione contempla, tuttavia, una rilevante causa di esclusione dalla nozione di stabile organizzazione, che
ricorre se “una sede fissa è utilizzata ai
soli fini di svolgere, per l’impresa, qualsiasi altra attività che abbia
carattere preparatorio o ausiliario”. A ciò si aggiunga che il seguente co. 5 precisa, inoltre, che
“non
costituisce di per sé stabile organizzazione la disponibilità a qualsiasi
titolo di elaboratori elettronici e relativi impianti ausiliari che consentano
la raccolta o la trasmissione di dati ed informazioni finalizzati alla vendita
di beni e servizi”. Sul punto, la Corte
di Giustizia della Comunità Europee (sentenza del 23 marzo 2006, causa
C-210/04) ha affermato il principio secondo cui un centro di attività stabile,
che non sia un ente giuridico distinto dalla società di cui fa parte, stabilito
in altro Stato membro ed al quale la società fornisce prestazioni di servizi,
non svolgendo una attività economica indipendente da quest’ultima, non deve essere considerato un soggetto
passivo in ragione dei costi che gli vengono imputati a fronte di tali
prestazioni. L’orientamento in parola – coerente con la precedente sentenza del
17 luglio 1997, causa C-190/95 (“affinchè
un centro di attività possa essere preso a tal fine in considerazione […] è necessario che esso presenti un grado
sufficiente di permanenza e una struttura idonea, sul piano del corredo
umano e tecnico, a rendere possibili in modo autonomo le prestazioni di servizi
considerate”) – è stato altresì recepito dall’Agenzia delle Entrate, con la
R.M. 16 giugno 2006, n. 81/E (a
revoca della precedente Risoluzione del 20 marzo 1981, n. 330470).
Successivamente, l’Amministrazione Finanziaria è intervenuta sul tema, fornendo
alcune opportune precisazioni (R.M. 30 luglio 2008, n. 327/E): la
configurazione di una stabile organizzazione presuppone necessariamente “un’attività
imprenditoriale caratterizzata, oltre che dal collegamento non occasionale con luoghi del territorio nazionale e
con persone ivi operanti, dall’effettivo impiego di beni e di attività
lavorative, coordinati per la produzione e/o lo scambio di beni e di servizi, e
da una effettiva, anche se limitata autonomia
funzionale” (Cass. 19 settembre 1990, n. 9580). Si consideri, inoltre,
che la prassi, già in passato, aveva avuto modo di affermare che, ai fini della
riferibilità di una stabile organizzazione
all’estero di un’impresa italiana, l’attività svolta deve consistere in un “ciclo completo di attività imprenditoriale
con un proprio risultato economico, autonomo rispetto a quello conseguito dalla
sede centrale” (R.M. 10 febbraio 1983, n. 9/2398). Non è, quindi,
sufficiente la mera presenza di impianti nel territorio in cui l’operazione è
compiuta (Cass. 25 luglio 2002, n. 10925):
l’accertamento dei requisiti del centro
di attività stabile, compresi quelli di dipendenza e partecipazione alla
conclusione di contratti, non deve essere condotto esclusivamente sul piano
formale, ma soprattutto su quello sostanziale,
attraverso una valutazione globale degli elementi rivelatori dello stesso, da
considerare complessivamente e nella loro reciproca connessione. A questo
proposito, la giurisprudenza di
legittimità accorda preferenza al luogo in cui il prestatore ha stabilito
la sede della propria attività economica: la considerazione di un altro centro
di attività, a partire dal quale viene resa la prestazione di servizi, deve
essere considerato esclusivamente nel caso in cui il riferimento a tale sede non conduca ad una soluzione razionale
dal punto di vista fiscale, ovvero crei
un conflitto con un altro Stato membro (Cass. 11 marzo 2003, n. 3570). Tale
principio trae fondamento nel consolidato orientamento della Suprema Corte, ben
delineato nella sentenza del 27 novembre
1987, n. 8820: “il requisito della
stabile organizzazione in Italia di società estere […] doveva essere ritenuto
esistente quando l’ente straniero svolgesse
abitualmente attività nel territorio nazionale avvalendosi di una struttura
organizzativa materiale e/o personale, qualunque ne fosse la dimensione, purchè non avesse carattere precario o
temporaneo e costituisse, quindi, un centro di imputazione di rapporti e
situazioni giuridiche riferibili al soggetto straniero”.
Si
consideri, inoltre, che l’art. 5, co. 5, del Modello Ocse, richiede un’attenta
valutazione dell’elemento temporale,
sia in termini di durata effettiva
che di intenzionalità nel mantenere la
sede fissa per un certo periodo di tempo. Il relativo Commentario
evidenzia, tuttavia, che difficilmente, nella pratica, gli Stati hanno
accertato l’esistenza di una stabile organizzazione per sedi di affari con una durata
inferiore ai 6 mesi. In altre parole, il termine “fissa” dovrebbe
essere inteso in senso temporale, comportando la necessità che l’installazione
sia utilizzata durevolmente
dall’impresa: conseguentemente, dovrebbero essere escluse dal novero delle
stabili organizzazioni le installazioni utilizzate per attività occasionali, come
le esposizioni, o itineranti, i concerti musicali o gli spettacoli circensi
o su ghiaccio, con brevi periodi di
permanenza. In senso conforme, si veda, infine, anche la R.M. 13 novembre 2006, n. 131/E.
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