lunedì 8 ottobre 2012

Stabile organizzazione anche per attività occasionali e periodi brevi?


di Michele BANA

L’art. 162 del D.P.R. n. 917/1986, la cui formulazione è trasfusa in numerose convenzioni internazionali contro la doppia imposizione fiscale, prevede che la stabile organizzazione rappresenta “una sede fissa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività”, comprendendo in particolare (co. 2 e 3):
·    una sede di direzione;
·    una succursale;
·    un ufficio;
·    un'officina;
·    un laboratorio;
·    un cantiere di costruzioni, montaggio od installazione, ovvero il connesso esercizio di attività di supervisione, la cui durata eccede i 3 mesi.
Il successivo co. 4, lett. e), della medesima disposizione contempla, tuttavia, una rilevante causa di esclusione dalla nozione di stabile organizzazione, che ricorre se “una sede fissa è utilizzata ai soli fini di svolgere, per l’impresa, qualsiasi altra attività che abbia carattere preparatorio o ausiliario”.  A ciò si aggiunga che il seguente co. 5 precisa, inoltre, che non costituisce di per sé stabile organizzazione la disponibilità a qualsiasi titolo di elaboratori elettronici e relativi impianti ausiliari che consentano la raccolta o la trasmissione di dati ed informazioni finalizzati alla vendita di beni e servizi”. Sul punto, la Corte di Giustizia della Comunità Europee (sentenza del 23 marzo 2006, causa C-210/04) ha affermato il principio secondo cui un centro di attività stabile, che non sia un ente giuridico distinto dalla società di cui fa parte, stabilito in altro Stato membro ed al quale la società fornisce prestazioni di servizi, non svolgendo una attività economica indipendente da quest’ultima, non deve essere considerato un soggetto passivo in ragione dei costi che gli vengono imputati a fronte di tali prestazioni. L’orientamento in parola – coerente con la precedente sentenza del 17 luglio 1997, causa C-190/95 (“affinchè un centro di attività possa essere preso a tal fine in considerazione […] è necessario che esso presenti un grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea, sul piano del corredo umano e tecnico, a rendere possibili in modo autonomo le prestazioni di servizi considerate”) – è stato altresì recepito dall’Agenzia delle Entrate, con la R.M. 16 giugno 2006, n. 81/E (a revoca della precedente Risoluzione del 20 marzo 1981, n. 330470). Successivamente, l’Amministrazione Finanziaria è intervenuta sul tema, fornendo alcune opportune precisazioni (R.M. 30 luglio 2008, n. 327/E): la configurazione di una stabile organizzazione presuppone necessariamente “un’attività imprenditoriale caratterizzata, oltre che dal collegamento non occasionale con luoghi del territorio nazionale e con persone ivi operanti, dall’effettivo impiego di beni e di attività lavorative, coordinati per la produzione e/o lo scambio di beni e di servizi, e da una effettiva, anche se limitata autonomia funzionale (Cass. 19 settembre 1990, n. 9580). Si consideri, inoltre, che la prassi, già in passato, aveva avuto modo di affermare che, ai fini della riferibilità di una stabile organizzazione all’estero di un’impresa italiana, l’attività svolta deve consistere in un “ciclo completo di attività imprenditoriale con un proprio risultato economico, autonomo rispetto a quello conseguito dalla sede centrale” (R.M. 10 febbraio 1983, n. 9/2398). Non è, quindi, sufficiente la mera presenza di impianti nel territorio in cui l’operazione è compiuta (Cass. 25 luglio 2002, n. 10925): l’accertamento dei requisiti del centro di attività stabile, compresi quelli di dipendenza e partecipazione alla conclusione di contratti, non deve essere condotto esclusivamente sul piano formale, ma soprattutto su quello sostanziale, attraverso una valutazione globale degli elementi rivelatori dello stesso, da considerare complessivamente e nella loro reciproca connessione. A questo proposito, la giurisprudenza di legittimità accorda preferenza al luogo in cui il prestatore ha stabilito la sede della propria attività economica: la considerazione di un altro centro di attività, a partire dal quale viene resa la prestazione di servizi, deve essere considerato esclusivamente nel caso in cui il riferimento a tale sede non conduca ad una soluzione razionale dal punto di vista fiscale, ovvero crei un conflitto con un altro Stato membro (Cass. 11 marzo 2003, n. 3570). Tale principio trae fondamento nel consolidato orientamento della Suprema Corte, ben delineato nella sentenza del 27 novembre 1987, n. 8820: “il requisito della stabile organizzazione in Italia di società estere […] doveva essere ritenuto esistente quando l’ente straniero svolgesse abitualmente attività nel territorio nazionale avvalendosi di una struttura organizzativa materiale e/o personale, qualunque ne fosse la dimensione, purchè non avesse carattere precario o temporaneo e costituisse, quindi, un centro di imputazione di rapporti e situazioni giuridiche riferibili al soggetto straniero”.
Si consideri, inoltre, che l’art. 5, co. 5, del Modello Ocse, richiede un’attenta valutazione dell’elemento temporale, sia in termini di durata effettiva che di intenzionalità nel mantenere la sede fissa per un certo periodo di tempo. Il relativo Commentario evidenzia, tuttavia, che difficilmente, nella pratica, gli Stati hanno accertato l’esistenza di una stabile organizzazione per sedi di affari con una durata inferiore ai 6 mesi. In altre parole, il termine “fissa” dovrebbe essere inteso in senso temporale, comportando la necessità che l’installazione sia utilizzata durevolmente dall’impresa: conseguentemente, dovrebbero essere escluse dal novero delle stabili organizzazioni le installazioni utilizzate per attività occasionali, come le esposizioni, o itineranti, i concerti musicali o gli spettacoli circensi o su ghiaccio, con brevi periodi di permanenza. In senso conforme, si veda, infine, anche la R.M. 13 novembre 2006, n. 131/E.

Nessun commento:

Posta un commento